Molti politologi pensavano che Trump si sarebbe focalizzato sul successo economico degli Stati Uniti: crescita dei salari al 3.2%, disoccupazione in ribasso al 3.6%, disoccupazione ispanica e di colore ai minimi storici. Invece, nel raduno che sancisce l’inizio della campagna elettorale per la sua rielezione nel 2020, ’The Donald’, come di consueto, ha stupito tutti.
Basta ascoltare i primi 3 minuti, in cui Donald inveisce contro i ‘fake news media’ ben due volte, per capire che il discorso del Presidente degli Stati Uniti si trasformerà presto in una raffica di insulti e accuse contro quel gruppo di individui che i suoi supporter chiamano ‘the swamp’- la palude. Questo termine è ovviamente riferito agli acerrimi nemici di Trump, ma se nel 2016 erano rappresentati dal cosiddetto ‘Washington establishment’, nel 2019, dato che l’establishment è diventato lui, sono rappresentati dal Dipartimento di Giustizia, dai fake news media, e dalla sua nemica preferita, Hillary Clinton.
È sconcertante notare con quanta veemenza l’ex first lady occupi ancora i pensieri di Donald. Quella che dovrebbe oramai rappresentare un avversaria sconfitta e sepolta, viene ancora utilizzata costantemente, quasi con ossessione, da Trump per aizzare il suo popolo. Forse è semplicemente una questione di necessità; dopo la Clinton infatti, i Democratici non hanno ancora prodotto un avversario cosi odiato dai Trumpiani quanto Hillary. Sleepy Joe – nomignolo che Trump ha dato al candidato democratico Joe Biden – ad esempio, è stato nominato solamente due volte. Gli altri ventidue candidati alle primarie democratiche? Zero.
Bisogna pure ammettere che Hillary porta con se molto materiale facilmente criticabile e Trump, da buon opportunista qual è, non ci pensa due volte a far resuscitare la questione delle 33 mila mail cancellate che hanno messo l’ex Segretaria di Stato fuori dai giochi nel 2016. E proprio come nel 2016, i supporter di Donald invocano la prigione con lo schiamazzo ‘Lock her up!’, una delle promesse che Trump non è riuscito a mantenere da Presidente.
Meglio allora concentrarsi sulle promesse che sono state mantenute, e infatti Trump, dopo la bellezza di 20 minuti passati ad attaccare, si mette in difensiva e incomincia a citare gli ottimi dati economici del paese, come ad esempio i 6 milioni di nuovi posti di lavoro creati dal Novembre del 2016, tralasciando solo il fatto che la sua presidenza è effettivamente iniziata dal Gennaio 2017, ma tanto chi vuoi che se ne ricordi. Al popolo Trumpiano interessa lo slogan, la battuta fuorviante, l’imitazione rocambolesca. Ed ecco infatti che Donald, quasi annoiato, chiude repentinamente la partita dei dati economici, quasi fosse stato obbligato dai suoi consiglieri a citarli, e torna a fare quello che sa far meglio: attaccare. Perché alla fine si sa, la retorica populista che ha portato Donald alla Presidenza necessità sempre di un nemico, non può sopravvivere senza. E Trump, da bravo leader populista, la percepisce e la utilizza per attaccare il socialismo.
Si, avete letto bene, Trump ha attaccato le radici socialiste del nuovo corso del partito Democratico, che si affaccia alle elezioni del 2020 con una corrente molto radicale derivante dal successo della Alexandra Ocasio Cortez nelle elezioni di metà mandato del 2018. Questo sa tanto di essere uno dei grandi temi che Donald cavalcherà nel 2020, specialmente se i democratici dovessero finir per nominare uno dei loro candidati più estremisti come Bernie Sanders o la Elisabeth Warren. Pare quasi che Trump preferisca questo scenario, cosi da potersi auto-proclamare protettore della libertà e della bandiera a stelle e strisce, diventando l’unica soluzione per scacciare lo spettro socialista dal sogno Americano.
Dichiarando, come ieri sera, che l’America non è, e non sarà mai un paese socialista, Trump non solo mette d’accordo il suo partito conservatore, ma anche gli indipendenti e buona parte della base più anziana e moderata del partito Democratico, che non si rivede nelle proposte dei giovani radicali. Se Sanders o la Warren, che giovanotti non sono, venissero trascinati alla nomination dal movimento dei giovani radicali, Trump può giocarsi la carta del socialismo per convincere anche i meno simpatizzanti a votare per lui. Se invece la nomination verrà vinta da uno come Biden, aspettiamoci un Trump più aggressivo e vicino alla propria base. In ogni caso, Trump si è messo avanti dando il via alle danze, e che danze.