
Ogni tanto la cronaca aiuta i politici; basti osservare la scalata del consenso elettorale di Salvini dopo il caso Diciotti nell’Agosto del 2018. In un solo mese il capitano incrementò il suo consenso di quasi il 2%, sfondando quota 30% nelle preferenze a livello nazionale e sancendo definitivamente il sorpasso leghista sui 5 Stelle. Ma nello stesso modo in cui la cronaca può portarti all’apice, ti può anche trascinare sottoterra. È il caso di Luca Lotti, passato in pochissimo tempo da membro riconosciuto e stimato del Giglio Magico, a baluardo di resistenza filo-renziana nel PD di Zingaretti, a doversi difendere da intercettazioni che lo mettono nei guai per il caso Consip. Ma mentre Lotti veniva trascinato sotto terra dalle sue inchieste personali, tutta l’ala ‘lottiana’, assieme a quella renziana recentemente capitanata da Giachetti, veniva lasciata fuori dalla nuova Segreteria del PD. Venerdì, infatti, Zingaretti ha stilato la Segreteria che verrà, lasciando fuori tutte le correnti minoritarie del partito. Nove dei quindici incarichi assegnati fanno capo a esponenti della componente di sinistra; a confronto l’AreaDem di Franceschini si aggiudica solo 3 incarichi. A capo della segreteria rimane il fedelissimo zingarettiano Marco Miccoli. L’unica scelta azzardata di Zingaretti è stata quella di affidare a Maurizio Martina – certamente non un suo Garibaldi – il ruolo di Capo della Commissione per le Riforme dello Statuto del Partito. Evidentemente hanno fatto notare al neo-leader che se non cedeva niente di sostanzioso a una minoranza del partito, la rottura di una o più correnti sarebbe stata pressoché inevitabile. A sto punto meglio dare qualcosa di poco concreto – il cambio dello statuto non è riuscito ne a Bersani ne a Renzi, figurarsi a Martina – a uno come Maurizio Martina, piuttosto che a un renziano; ci mancherebbe.
Per ora, le reazioni alle nomine di Zingaretti sono state contenute. A parte qualche tumulto da compagini renziane di poco conto, è arrivata la prova d’orgoglio di Andrea Marcucci, Capogruppo dem al Senato e renziano doc, il quale accusa Zingaretti di fare scelte in base a “una matrice identitaria”. Andrea Marcucci rappresenta alla perfezione il problema contro cui prima o poi il nuovo corso zingarettiano si dovrà confrontare: i gruppi parlamentari del PD rimangono in mano a Matteo Renzi, e finche non ci saranno nuove elezioni politiche, o uno stacco dell’ala renziana dal PD, ci saranno dissidi giornalieri tra parlamento e neo-segreteria. Dato che le elezioni politiche continuano ad apparire come un miraggio, – vista la nuova love story anti-europeista di Di Maio e Salvini – rimane l’opzione dello staccamento dell’ala renziana, che andrebbe a formare un nuovo partito liberale e moderato. Un’opzione che prende quota grazie alla provocazione di Zingaretti, che con la nomina della nuova segreteria ha dato la scusa perfetta a Renzi per rompere: che senso ha stare in un partito che non ti rappresenta? Che senso ha mettere la faccia senza avere nessun potere decisionale. Te lo dico io Matteo, nessuno.
È ormai chiaro a tutti che lo spazio c’è. Con Forza Italia prosciugata dal dominio mediatico di Salvini, e con un centrosinistra che prova a tornare sui suoi passi, cercando disperatamente di cancellare l’esperienza ‘third way’ – come se fosse una cosa sbagliata aver toccato i livelli democristiani del 40% -, si è creato uno spazio moderato e liberale su cui nessuno ha ancora capitalizzato. Si è parlato di Cairo, si è parlato di Calenda, si è addirittura parlato di un’alleanza tra le componenti più moderate di Forza Italia e PD, in una sorta di Nazareno bis guidato da individui come Micicche e Rotondi….ma vuoi mettere il ritorno del figliol prodigo! Eh già, possiamo odiarlo o possiamo amarlo, ma dobbiamo tutti ammettere che Matteo Renzi, nell’Italia che ci ritroviamo oggi, rimane uno dei politici con più carisma. Nell’era del vaffa, degli impeachment lanciati e poi ritirati, del Vinci Salvini; la smorfietta e la battutina con l’accento toscano non ci sembrano più tanto male. Dopo il Referendum del 2016 nessuno avrebbe pensato a un suo ritorno; eppure, eccoci qua a fantasticare su sul come e sul quando; forse per necessità, forse per malinconia, o forse semplicemente per avere un avversario degno alla destra populista che sta invadendo il paese. In qualsiasi caso, ora è il momento. Zingaretti te l’ha servita su un piatto d’argento. Matteo, ora o mai più.