Quando i funzionari dell’Opera di S. Croce di Firenze hanno contattato per la prima volta i loro colleghi del Museo di Ellis Island per proporre la mostra Sisters in Liberty, che verrà inaugurata ad ottobre, non hanno ottenuto la risposta entusiastica che si aspettavano. In seguito hanno saputo che ogni anno decine di istituzioni propongono improbabili gemellaggi tra la Statua della Libertà e sculture più o meno simili in molte parti del mondo.
La storia è cambiata dopo che i curatori del museo americano hanno avuto modo di analizzare la ricca documentazione e soprattutto le fotografie inviate da Firenze. La statua in questione, opera dello scultore Pio Fedi, terminata nel 1883, fa parte del monumento funebre a Giovan Battista Niccolini, un ormai quasi sconosciuto poeta risorgimentale. Rappresenta la Libertà della Poesia ed è collocata sulla controfacciata della basilica. Come si sa, però, la concorrenza a S. Croce, è spietata: tra i sepolcri ci sono quelli di Galileo, Foscolo, Michelangelo e Machiavelli, oltre alle opere di Cimabue, Giotto, Brunelleschi e Donatello e così i poveri Niccolini e Fedi sono stati un po’ dimenticati. L’occasione per riportare la statua di Fedi sotto le luci della ribalta è stata la celebrazione del duecentesimo anniversario delle relazioni diplomatiche fra Firenze, allora capitale del Granducato di Toscana e gli Stati Uniti. E così, dopo una paziente opera di pulitura, finanziata dai Friends of Florence e appena conclusa, la Libertà di Fedi è pronta per tornare sotto le luci della ribalta e per compiere, simbolicamente, il lungo viaggio intercontinentale di ricongiungimento con la sorella, maggiore di taglia, ma minore di anni che dal 1886 svetta sulla baia di New York. ‘Simbolicamente’ visto che il complesso monumentale è ancorato al pavimento di s. Croce e non potrà viaggiare. Arriverà a New York una copia esatta in resina, realizzata dalla Kent State University utilizzando le più sofisticate tecniche di scansione a 3D sviluppate finora per usi medico-diagnostici.
Le somiglianze tra le due statue sono piuttosto straordinarie, così com’è chiaro il comune messaggio allegorico. Entrambe sono formalmente ispirate a modelli classici greco-romani: la libertà è una donna giovane ma già forte e con fattezze matronali, è togata e porta con fierezza una corona a raggiera, con le mani mostra simboli allegorici: Lady Liberty ,la torcia della ragione e la Dichiarazione di Indipendenza, la Signora Libertà una catena spezzata (che si trova anche ai piedi del colosso americano) e una corona d’alloro.
Non è una certezza, ma appare molto probabile che Frédéric Bartholdi, l’autore della statua della libertà, fervente repubblicano, massone e ammiratore incondizionato di Garibaldi, abbia potuto ispirarsi alla scultura di Fedi, durante i suoi viaggi in Italia. La mostra di Ellis Island, curata da David G. Wilkins, Ann Thomas Wilkins, Giuseppe De Micheli e Paola Vojnovic, forse non darà una risposta certa, ma senz’altro darà un contributo alla comprensione di questo dialogo triangolare (Italia-Francia-Stati Uniti) sul concetto di libertà e la sua rappresentazione plastica nell’800. Un dialogo nutrito degli ideali illuministici, democratici e repubblicani, che Fedi, Bartholdi e il dimenticato Niccolini, condividevano.
Raccontano le agiografie che, nel 1889, al termine del suo primo viaggio transoceanico, Madre Cabrini e le sue consorelle, entrando nel porto di New York e vedendo Lady Liberty in tutta la sua maestà con la sua torcia illuminata, caddero in ginocchio e intonarono l’inno Ave Maris Stella. Per loro quel simbolo illuminista e massonico della ragione che illumina il cammino alla libertà era un’immagine della Madonna che avrebbe accompagnato la loro missione tra gli emigranti italiani. Sono sicuro che né Lady Liberty, né la Vergine Maria, entrambe donne di assai larghe vedute, si sono offese per il fraintendimento.