È ufficiale: le indagini del procuratore speciale Robert Mueller sulle interferenze russe nelle elezioni del 2016 si sono ufficialmente concluse, e l’attesissimo report di cui la stampa americana parla da settimane è stato consegnato nelle mani del ministro della Giustizia William P. Barr. Si concludono così due anni di ombre e sospetti addensatisi intorno alla figura di Donald J. Trump, sospetti divenuti sempre più gravi man mano che la lama della giustizia si abbatteva sui suoi più stretti collaboratori: in primis, Paul Manafort, ex capo della campagna di Trump, George Papadopoulos, ex consigliere della campagna per la politica estera, Michael Flynn, già consigliere per la sicurezza nazionale, Michael Cohen, ex avvocato e braccio destro dell’attuale Presidente.
Barr ha dichiarato in una lettera ai leader del Congresso che li avrebbe aggiornati entro qualche giorno sui risultati delle indagini, ma ancora non è dato sapere se e quanto del rapporto verrà condiviso con il Congresso e con il pubblico americano. Dal canto suo, la Camera ha già votato una risoluzione, che però non è vincolante, che chiede che il documento venga reso pubblico: indice che tale posizione è in realtà diffusa in entrambi i partiti.
Un’indagine che Trump ha costantemente derubricato a una “caccia alle streghe”, ma che è sempre stata una spada di Damocle pendente sulla sua testa sin dall’inizio della sua presidenza: sono sei i suoi consiglieri e assistenti accusati o condannati per crimini vari, soprattutto per aver mentito agli investigatori federali e al Congresso. Altri ancora restano sotto la lente dei procuratori federali di New York. Inoltre, decine di ufficiali dell’intelligence russa, insieme a privati cittadini e a tre aziende del Paese, sono sotto accusa in processi destinati ad arenarsi nelle aule giudiziarie a causa dell’impossibilità di estradare gli imputati negli USA.
L’inchiesta si è in focalizzata sull’ipotesi che Trump abbia fatto ostruzione alla giustizia nel tentativo di proteggersi, ma mai i procuratori sono riusciti a sentire di persona il Presidente, i cui avvocati hanno autorizzato soltanto il rilascio di risposte in forma scritta alle domande di Mueller. Il rapporto del Procuratore Speciale, se sarà reso pubblico, potrebbe offrire un suo resoconto di ciò che potrebbe essere accaduto “dietro le quinte” delle elezioni del 2016, ma molti dubitano che quel documento possa assomigliare all’imponente rapporto di 500 pagine redatto da Kenneth Starr sul rapporto tra l’allora presidente Clinton e Monica Lewinsky. È anche possibile che Mueller abbia la possibilità di testimoniare davanti al Congresso una volta che avrà dismesso i panni di consigliere speciale. Il presidente della commissione di intelligence della Camera, Adam Schiff, ha già dichiarato ai giornalisti che una sua testimonianza possa essere richiesta dai democratici, nel caso in cui il Dipartimento di Giustizia cerchi di nascondere la sua relazione. Ma c’è già chi, come i candidati alle primarie democratiche Elizabeth Warren e Beto O’Rourke, sta chiedendo a gran voce che questa extrema ratio venga scongiurata, e che il rapporto venga fin da subito pubblicato integralmente.
Robert Mueller’s finished his report. He’s delivered it to Attorney General William Barr. The American people deserve the full report. Sign our petition to make the Mueller report public—immediately. https://t.co/kxhNh7GBWk
— Elizabeth Warren (@ewarren) March 22, 2019
Release the Mueller report to the American people.
— Beto O’Rourke (@BetoORourke) March 22, 2019