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December 15, 2018
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Da esponente della Generazione Erasmus a convinto Euroscettico

Come l'UE e i Nazionalismi hanno distrutto il sogno europeo in cui credevamo noi giovani Erasmus

Giuseppe De LauribyGiuseppe De Lauri
Da esponente della Generazione Erasmus a convinto Euroscettico

Stampa in 3D della statua di Erasmo a Rotterdam, in Olanda

Time: 7 mins read

C’è un qualcosa di vagamente masochista in una parte dell’intellighenzia italiana, in Patria e all’estero. Me ne sono reso conto qualche tempo fa, quando la sentivo blaterare sulla Generazione Erasmus che avrebbe finalmente cambiato l’Europa, ma che dico, il mondo! Ad essere onesto, io ho fatto l’Erasmus a Parigi ed è stata un’esperienza fantastica. Alla Sorbona seguivo dei corsi di Storia Politica e guardavo al  Manifesto di Spinelli come un’intuizione geniale. Del mio tempo parigino ricordo limpidamente di come la Storia venisse insegnata con parzialità, nel senso che la Francia era sempre protagonista. Ad esempio, si studiava l’Apartheid in Sud Africa? Beh, in quel periodo anche la Francia era occupata nelle lotte anti-razziste. Si approfondiva il movimento pacifista degli anni ’60 in America? In quel periodo Parigi era la San Francisco d’Europa. Si faceva una ricerca sul Partito comunista italiano, il più grande in Occidente? Beh anche la Francia non scherzava… Sembrava come quelle fiabe che si raccontano ai bambini, dove si narra di qualche avvenimento in un certo luogo in modo estemporaneo, come corollario alla trama principale. “Negli Stati Uniti alcuni giovanotti chiedevano più libertà e diritti; intanto, molto molto lontano, nel più importante regno di Francia…”.

Il programma Erasmus è un programma di mobilità studentesca dell’Unione europea, creato nel 1987.

Nonostante tutto mi sentivo parte della generazione Erasmus e scoprire queste bizzarrie mi divertiva. Conoscevo ragazzi da tutta Europa. Nonostante i nostri vent’anni, anche tra noi c’erano le prime avvisaglie di diversità che ci avrebbero caratterizzati da adulti. I tedeschi se la tiravano con dignità per l’essere locomotiva d’Europa. Gli austriaci e gli olandesi non lo facevano neanche più, tanta era la loro modernità. I portoghesi parlavano bene l’inglese, e per questo se la tiravano. I francesi se la tiravano perché avevamo scelto di studiare nel loro Paese. Gli italiani, non potendo addurre alcuna ragione contemporanea per cui tirarsela, entravano in modalità “io-sono-italiano-quindi-figo-per-definizione”. Una modalità molto utile se applicata con convinzione. Insomma, tutti se la tiravano per svariate ragioni, del resto il nostro motto era “uniti nella diversità”, no?

Quindi, rientrai a Roma per discutere la tesi con una maglietta blu e gialla con tutte le firme dei miei amici erasmus. Portai con me anche l’idea che si fosse fatta l’Europa, o meglio l’Unione Europea, e ora toccava fare gli Europei. L’Erasmus era una buona strada, dopotutto. Qualche tempo dopo Alexis Tzipras venne eletto in Grecia. Da quel Paese arrivavano notizie di una situazione disastrata: disoccupazione al 60%, assenza della minima assistenza sanitaria, sicurezza fuori controllo. Insomma, un Paese in ginocchio. Osservavo con attenzione le reazioni della UE. L’Europa dell’erasmus non avrebbe mai lasciato  fallire la Grecia, madre onoraria della cultura europea e occidentale. Invece, per volere dei governi del Nord, primi tra tutti i tedeschi, l’UE si è comportata come uno strozzino qualunque. Vuoi che ti salviamo? Allora prendi questi soldi e poi pagaci gli interessi. E così accadde. In un attimo la Grecia perse i suoi asset principali: privatizzazione del porto del Pireo, privatizzazione degli aeroporti, privatizzazione della sanità, privatizzazione delle banche. Una svendita totale e un paese ai saldi d’inverno. E indovinate chi ha comprato tutti questi asset neo-privatizzati? Germania e Francia in Europa, poi Cina. Leggevo su Bild “Atene venda le isole per rimborsare i prestiti”, e poco dopo l’emiro del Qatar acquistò 9 isole nello Jonio. Apprendevo dai talk show di mezz’Europa di come le lascive cicale greche avessero speso più di quanto potessero permettersi e che i debiti dei padri dovessero essere pagati dai figli. In quel momento ebbi la prima crisi d’identità: non era stata proprio la Germania a creare il mantra “i figli non paghino per l’errore dei padri”, con cui peraltro ha rifondato la prima industria esportatrice d’Europa? Va bene, può succedere. Dimentichiamoci di questa triste parentesi. Tutti sbagliano. Io, che non sono di lunga memoria, feci un nodo alla mia maglietta gialla e blu con le firme degli erasmus, così, per imperitura memoria.

Referendum greco 2015: manifestazione per il NO in piazza Syntagma ad Atene, Grecia.

 

Qualche tempo dopo la Russia si annetté la Crimea. L’Unione Europea riunisce i suoi Ministri degli Esteri e insieme decidono di parlare con una sola voce: finalmente! Si! Tutti uniti! Salvo poi decidere ad un tavolo chiuso Francia-Germania-Russia l’accordo di pace (Protocollo di Minsk, che poi non ha funzionato) a nome di tutta l’UE. Mi venne in mente uno scritto di Oriana Fallaci, ribattezzata dall’intellighenzia la fascio-comunista (giusto per non farsi mancare niente), che metteva in guardia dalla consorteria europea al servizio dei “due Paesi da sempre padroni dell’Europa, ovvero Francia e Germania”. Anche allora ingoiai il rospo e mi limitai a fare un secondo nodo alla mia maglia gialla e blu con le firme dell’erasmus. Non ebbi neanche il tempo di lasciare il mio Paese (per mancanza di lavoro) che divampò la Primavera Araba. Il Nordafrica era in subbuglio e Gheddafi, che fino a poco tempo prima aveva il lasciapassare all’Eliseo (sede del Presidente francese), divenne un nemico. L’ONU stava votando una mozione per inviare i caschi blu e fermare la guerra civile, ma la Francia pensò bene, unilateralmente, di bombardare Tripoli e consegnare la Libia al caos. Secondo i francesi la Libia ora sta benone, ha addirittura 3 diversi governi e un’infinità di tribù che controllano i territori del Fezzan. L’ONU, per metterci una pezza, decise di appoggiare il nuovo governo di Tripoli, ma ovviamente la Francia sceglie il suo competitor, il colonnello Haftar, uno che delle velleità dittatoriali non ne fa un segreto. Io aggiunsi altri due nodi alla mia maglia gialla e blu con le firme dell’erasmus.

Vladimir Putin, Angela Merkel, Francois Hollande e il presidente dell’Ucraina Petro Poroshenko prendono parte ai colloqui di Minsk.

 

Gli anni a seguire vedono l’Italia stringere la cinghia con l’austerity, mentre più di 600mila disperati arrivano sulle nostre coste. Altri 15mila muoiono i mare dall’inizio dell’esodo. L’Italia chiede aiuto all’Europa che, per citare De Andrè, si costerna, s’indigna, s’impegna poi getta la spugna con gran dignità. Vivevo a Berlino da circa un anno e solo in un paio di occasioni ho sentito parlare della crisi migratoria sui media nazionali tedeschi. La vita procedeva tranquilla e sicura tra feste e balocchi in quel di Berlino, mentre il popolo tedesco si accorgeva dell’arrivo dei migranti solo perché avevano trovato una via di passaggio ad Est. Allora la Merkel, la paladina dell’inclusione, colei che aveva accolto 40mila migranti dall’Italia (poi rivelatisi molti di meno e solo siriani, perché di buona istruzione, manco fossimo al mercato), l’Angela internazionale si reca in Turchia e decide di dare, motu proprio, 6 miliardi di soldi europei al “democratico” Erdogan per aprire campi profughi (dicasi galere) in Anatolia. Così, senza nessun mandato. Nessuno in Europa dice nulla. Tutti con la “faccia sotto i tuoi piedi e puoi muoverti quanto ti pare e piace, e noi zitti sotto” (per citare Non ci resta che piangere). Ed ecco che si aggiungono altri due nodi alla maglia gialla e blu con le firme dell’erasmus.

Nel 2016 la STX Corporation, un’azienda coreana che deteneva il controllo dei cantieri navali di Saint Nazaire, va in bancarotta. Lo stesso anno l’italiana Fincantieri decide di acquistare il cantiere, creando un polo europeo leader nella costruzione di grandi navi. Il presidente Hollande dà il suo beneplacito. Tutto sembra andare bene, finché non viene eletto il napoleonico (nella statura) Macron. Il presidente neoeletto appoggia le proteste violente degli operai (in Francia si usa cosí) e immediatamente blocca l’acquisizione, adducendo il fatto che non si potesse dare in mano straniera un asset così importante (precedentemente era stato della norvegese Alstom e della coreana STX, che evidentemente Macron considera ancora Territori Francesi d’Oltremare). Negli ultimi 30 anni gli imprenditori francesi, anche con aiuti di stato, avevano fatto sciacallaggio nell’outlet Italia, acquisendo nell’ordine la Saiwa, la Galbani, il marchio Agnesi, Gucci, Bottega Veneta, Brioni, Pomellato, Emilio Pucci, Fendi, Bulgari, Loro Piana, Luxottica, Telecom, Edison Energia, Parmalat, Eridiana, la catena dei supermercati GS, Banca Nazionale del Lavoro, Carifarma, mezza Unicredit. In pratica, a fronte di acquisizioni francesi, in Italia, pari a 52,3 miliardi, l’Italia ha controreplicato con soli 7,6 miliardi. La maglia gialla e blu con le firme dell’erasmus era quasi un brandello, ma comunque sono riuscito a fare un altro nodo. Nel 2018 alcuni poliziotti francesi hanno pensato di scaricare 4 migranti in un bosco fuori confine e in territorio italiano. Con un’imbarazzante nonchalance hanno fatto intendere che non era la prima volta, per poi dire di “essersi persi”. Un insulto all’intelligenza.

Scontri ai Cantieri Saint-Nazaire dopo l’annuncio dell’acquisizione di Fincantieri

 

Pochi giorni fa Macron ha dichiarato che la Francia sforerà il 3% del debito/Pil, subito appoggiata dal Commissario al Bilancio UE, il francese Moscovici. Dai giornali italiani scoccano articoli per giustificare “perché lo sforamento francese è tollerabile” (Corriere della Sera), approfondimenti sul perché “la Francia può permetterselo e l’Italia no” (La Repubblica), interviste chiarificatrici sui “due casi molto diversi” (Il Sole 24 Ore). La questione che nessuno pare voler affrontare, surrettiziamente, sta nel processo istituzionale europeo totalmente sballato e ambiguo. L’andamento del debito francese è più preoccupante di quello italiano. Senza parlare del fatto che la Francia è uscita da 9 anni di procedura di infrazione per deficit eccessivo, e che in due di quegli anni il Ministro dell’Economia si chiamava Moscovici. Le regole possono diventare elastiche, per alcuni: qualche anno fa qualcuno chiese a Junker che cosa avesse intenzione di fare sulla Francia che continuava a violare tutte le regole. Junker allargò le braccia dicendo: “mais la France est la France”. Nel caso italiano, ad Agosto l’UE non aveva ancora letto il DEF, cioè non conosceva quanti soldi e dove il governo voleva investire, e già si parlava di procedura di infrazione. Con la Francia non sono passate nemmeno 24 ore, senza leggere i numeri, e subito ci sono state aperture della Commissione: prego, s’il vous plaît, il tappeto rosso è srotolato. Del resto è proprio l’europeista Romano Prodi conferma la regola che vige nella UE: “Francia e Germania mi dissero: comandiamo noi” (min. 12:20) e “la Francia si comanda la politica estera europea, la Germania quella economica, e ognuno si fa i fatti suoi” (13:04).

 

 

Il rispetto della regola Deficit/Pil negli anni – da http://www.patriaecostituzione.it/

 

L’attacco della Commissione si è rivelato piú politico che economico, cioè contro i sovranisti cattivi e a fianco del buon Macron europeista convinto. Come si può chiamare un tale consorteria se non anti-democratica? Come giudicare il comportamento dell’intellighenzia di cui sopra, che continua imperterrita a gridare “più Europa, più Europa”, e che giustifica di tutto pur di non perdere la faccia? È come se dei delinquenti ti entrano in casa, ti ammazzano il cane, ti bruciano il salotto, ti violentano la figlia e tu dici “si però alla nonna non hanno fatto niente, in fondo sono bravi ragazzi!”. Ho aggiunto altri due nodi alla maglia gialla e blu. Mi sono accorto che le firme degli amici erasmus sono tutte attorcigliate. In mano, questo tessuto bitorzoluto è pesante e lo guardo pendolare da una parte all’altra come un cappio. Sembra una corda, anzi una frusta, che sulla carne vivida può fare molto male.

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Giuseppe De Lauri

Giuseppe De Lauri

Ho passato gli ultimi anni errando di città in città. Oggi sono a New York, dove mi occupo di politica, di comunicazione, tecnologia e dei loro innesti mutuali. Al giorno d’oggi c’è poco che possa prescindere da questi tre fattori.

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