Un ircocervo. Così Silvio Berlusconi, leader di Forza Italia e alleato di Matteo Salvini, ha definito un eventuale governo tra Lega e Movimento Cinque Stelle, dopo la riuscita dell’intesa sui presidenti delle Camere. Si parla di un animale mitologico, a metà fra un caprone (hircus) e un cervo (cervus), citato per primo dal grande Aristotele nel suo De Interpretatione, per argomentare la tesi, di platoniana memoria, che un nome di per sé non ha valore di verità o falsità. Dire che un esecutivo tra i leghisti e i grillini sarebbe un ircocervo significa – con una metafora un po’ ardita – attribuire all’opzione i caratteri dell’assurdità. Un’assurdità, in particolare, data dalla coesistenza di due elementi opposti e inconciliabili. Lo scetticismo di Berlusconi – che in occasione della elezione del presidente del Senato aveva già dichiarato finito il matrimonio con Salvini, salvo poi ripensarci – non è altro che una valutazione precisamente politica. Interessata, certo: perché, dopo aver perso la leadership del Centrodestra e essere stato costretto ad arretrare a anche sulla seconda carica dello Stato, il Cavaliere (in queste ore rinviato a giudizio nel processo Ruby ter) non può accettare di diventare la stampella di seconda mano di un governo grillino-leghista. Così, nelle trame fittissime in cui si negozia per la formazione di un nuovo governo, si profila quello che, prendendo in prestito il gergo pop e di costume, potremmo ribattezzare un “triangolo”.
Salvini, Di Maio, Berlusconi: e mai triangolo fu tanto problematico. Perché sì, in politica, e in Italia, siamo abituati agli inciuci: ma che dire di uno, ipotetico, tra il Carroccio nazionale – evoluzione del partito nordista che bollava l’Italia da Roma in giù come “ladrona” -, i pentastellati – incoronati proprio dal Sud e neofiti di una politica praticata al grido di “onestà” che ha perso il cursus honorum per strada -, e Berlusconi – nemico giurato dei grillini, specialmente per il suo approccio “ad personam” agli argomenti che hanno a che fare con la giustizia – ?
Lo sdegno di Di Maio nei confronti di Berlusconi è ormai parecchio datato. L’ultima sua manifestazione, il gran rifiuto di parlare con il Cavaliere durante le trattative per il presidente del Senato. Ma gli episodi precedenti si farebbe fatica a contarli sulle dita di una mano. Qualche esempio dei più recenti? L’ha annoverato tra i “traditori di questa nazione”insieme a Renzi, accusandolo di aver creato la bomba sociale dell’immigrazione; ha definito lui e il suo partito svariate volte “impresentabili”; lo ha imputato di aver “versato soldi alla mafia” (sulla falsariga dell’appunto di Falcone assurto agli onori delle cronache qualche mese fa); si è offerto di pagargli un biglietto di solo andata per andar via dall’Italia e, in occasione delle elezioni siciliane, lo ha provocato sostenendo che il Movimento Cinque Stelle non avrebbe avuto bisogno dei “voti dei corrotti” per vincere.
Intendiamoci: non che Silvio Berlusconi, dal canto suo, nutra grande ammirazione per Di Maio. Più volte, lo ha accusato di scarsa preparazione: “Un faccino pulito”, disse di lui il Cav, “ma guardando al suo curriculum si è iscritto a Legge e ha fallito, si è iscritto a Ingegneria e ha fallito. Ha fatto un solo mestiere: steward allo stadio San Paolo per vedersi gratis le partite del Napoli”. Ecco perché la prospettiva di un esecutivo Lega-M5S, per Berlusconi, è semplicemente un’assurdità. Per scongiurarla, il Cavaliere è disposto a tutto: forse anche, come ultima spiaggia, lasciare che l’accordo avvenga, ma nel più ampio cappello del Centrodestra, e non per formare un esecutivo organico, ma unicamente sotto forma di un appoggio esterno a un programma attentamente condiviso.
Anche perché, a ben vedere, le ricette economiche di Centrodestra e Movimento Cinque Stelle si incontrano in un solo punto: l’eliminazione, o la revisione, della Legge Fornero. Per il resto, flat tax e reddito di cittadinanza sono misure costosissime, che dunque – ammesso che siano attuabili anche singolarmente – di certo si escludono a vicenda. Al di là dei contenuti, il prossimo possibile matrimonio tra Di Maio e Salvini si fonderebbe su un passato piuttosto litigarello. Perché, se è vero che, nelle ultime ore e in vista di una collaborazione, Grillo e Di Maio hanno definito Salvini “uomo di parola”, lo stesso fondatore del Movimento, solo qualche mese fa (ottobre 2017) aveva tuonato contro il leader della Lega dalle colonne del suo blog, definendolo un “traditore politico”, e accusandolo di fare “più schifo di Renzi e Berlusconi messi assieme”.
Il motivo di tanto livore? “La sua Lega Nord dopo gli scandali degli investimenti in Tanzania e dei diamanti comprati da Belsito con i soldi pubblici era arrivata al 3%. Per risollevarsi Salvini in questi mesi ha fatto un lavoro sporco: ha copiato e si è appropriato dei temi e di gran parte del programma politico-elettorale del MoVimento 5 Stelle ed ha iniziato una finta campagna elettorale contro il sistema dei partiti. Ma è tutto un bluff”, si leggeva. Dal canto suo, non molti mesi fa (maggio 2017), Salvini dichiarava a favor di telecamere che “Di Maio non è adatto a governare”.
Dovessimo quindi basare la nostra analisi sul concetto di coerenza e onestà – parole sbandierate per anni dai grillini, che hanno fatto della “lotta all’inciucio” tra le loro principali bandiere politiche -, dovremmo dunque dare ragione a Berlusconi: qualsiasi tentativo di formare un governo tra Lega (e centrodestra) e Cinque Stelle assomiglierebbe al mostro mitologico assurto a metafora dell’assurdità. Ma come disse un profetico Oscar Wild, la coerenza altro non è che l’ultimo rifugio delle persone prive di immaginazione. E in politica, l’immaginazione conta. Facile, con un pizzico di fantasia e una buona disposizione al compromesso, ritoccare un po’ qua e un po’ là i punti di programma incompatibili (anche grazie alla provvidenziale vaghezza grillina su temi quali europeismo e immigrazione), e cancellare con un colpo di spugna gli insulti di un passato focoso. Salvini, d’altronde, è già riuscito (con un certo successo) a farlo con gli sbeffeggi che fino ad alcuni anni fa andava rivolgendo ai napoletani, adottando una strategia elementare: trovare un altro nemico, che sia comune allo sbeffeggiante e agli sbeffeggiati. Con i migranti, il colpo di spugna è servito. Qualcosa del genere potrebbe dunque profilarsi tra i presunti futuri alleati politici. Che, in fondo, condividono più di quello che potrebbe separarli: l’occasione, imperdibile, di passare dall’opposizione al governo. E che inciucio sia…
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