Un trafiletto incastonato in un foglio bianco infarcito di scritte. “Se il bambino pesa meno di 40 chilogrammi dovrebbe essere trattato con sospensione orale o bustine”. Nel foglio illustrativo non appare altra indicazione. Alla voce “effetti avversi” non c’è nessun riferimento a possibili conseguenze. Si chiama fenomeno off-label. Tradotto: somministrazione del farmaco senza alcuna sperimentazione. Un problema diffuso in Europa e USA. I dati parlano chiaro. Solo fino a 15 anni fa circa l’80 percento dei medicinali per bambini era in commercio senza sufficienti informazioni su dosaggi, tollerabilità ed efficacia. La situazione negli anni non è migliorata, basti pensare che negli Stati Uniti dal 1998 al 2012 la sperimentazione neonatale è stata eseguita solo su un caso. Le due principali Agenzie del Farmaco, quella europea e quella americana, hanno deciso di correre ai ripari, introducendo degli incentivi mirati a favore delle aziende farmaceutiche.
Ad ammettere il problema è Paolo Rossi, direttore del dipartimento pediatrico universitario-ospedaliero del Bambino Gesù di Roma: “Un farmaco somministrato in un adulto non è detto che abbia la stessa efficacia in un bambino”.
Come se non bastasse, ecco porsi una nuova incognita che prende il nome di off-label consolidato. In questo caso il farmaco viene messo in commercio sempre senza studi scientifici. È la somministrazione sui bambini dopo un lungo periodo di tempo ad accertare che non sia nocivo per la loro salute. Non sempre è così. Se i pediatri però ne hanno consapevolezza, molto spesso il mondo della scienza tratta i bambini come fossero “adulti in piccolo” con il rischio di mettere seriamente in pericolo la loro salute. Non solo. Per comprendere quanto si investa poco sul benessere delle generazioni del domani è necessario tornare ai dati. A dare risposte, questa volta, è il Rapporto Nazionale dell’Aifa. In base agli ultimi numeri forniti, i farmaci dove si effettuano meno trial clinici sono quelli che riguardano malattie cardiovascolari e oncologiche, il 4,2% nel primo caso e il 7% nel secondo.
In Italia si è tentato di correre ai ripari. Sempre il professore Paolo Rossi spiega: “Abbiamo avviato un network composto da 24 strutture ospedaliere italiane, centri di eccellenza in campo pediatrico”. Lo scopo di INCiPiT , questo il nome, è quello di ridurre e avviare la sperimentazione in modo tale che dosi e sicurezza possano diventare una garanzia per i minori.
Bisogna chiedersi perché le aziende farmaceutiche investono poco nei trial clinici pediatrici. Il primo problema, spiega il presidente di Farmindustria, Massimo Scaccabarozzi “è il reclutamento dei pazienti. Il secondo riguarda le spese per le cause farmaceutiche, elevatissime se si pensa che in Europa solo 4 percento dei farmaci che passano per il trial clinici vengono approvati per la vendita”. Il terzo, quello di maggiore peso, è di natura etica. Non è facile accettare una sperimentazione sui bambini.
Ma scavando maggiormente si scopre che in base al rapporto pubblicato dal Comitato di sperimentazione clinica delle province di Verona e Rovigo “più di un terzo dei trial clinici pediatrici arruola pazienti in Paesi in via di sviluppo. Questo avviene anche con farmaci che molto difficilmente potranno essere accessibili per quei pazienti”. Tutto ciò entra in contrasto con quanto previsto dalla Dichiarazione di Helsinki che specifica: “Tutti i pazienti arruolati in un trial clinico alla fine dello stesso devono avere accesso alla migliore terapia dimostrata dallo studio”.
Un cambiamento arriva dal Regolamento Europeo n. 536/2014. Il genitore non viene più citato tra coloro che devono rilasciare il consenso. Adesso spetta unicamente al “rappresentante legalmente designato”. Non finisce qui. Sempre nel documento viene data maggiore importanza alla volontà del bambino. Infatti, se prima chi effettuava i test doveva “tenere in considerazione” la volontà del minore, ora si parla di “rispettare” tale volontà. Altro aspetto è quello relativo ai benefici: viene preso in considerazione il fatto che chi partecipa allo studio possa anche non trarre alcun beneficio diretto e che la sperimentazione possa essere unicamente portata avanti perché ritiene che lo studio possa avere benefici sugli altri.
È sempre l’Europa a cercare la soluzione e lo fa imponendo alle industrie farmaceutiche di avviare studi clinici pediatrici qualora una molecola dimostri effetti terapeutici anche per l’età evolutiva. Nonostante questo ancora oggi solo un terzo dei medicinali disponibili per gli adulti arriva al paziente pediatrico. A peggiorare la situazione gli anni di ritardo in cui entra in commercio. Il fenomeno degli off-label riguarda tutti i settori: anche quello psichiatrico. Troppo spesso i bambini vengono curati con medicinali che si somministrano negli adulti. Le conseguenze in questo caso possono essere ancora più drammatiche.
L’Agenzia Italiana per il Farmaco ha tentato di promuovere una campagna di sensibilizzazione, ma poco è stato ancora fatto. E se la sperimentazione procede a rilento, sarebbe provvidenziale per la salute dei più piccoli almeno un foglio illustrativo che informasse i genitori sui possibili rischi. Informazioni che in alcuni casi potrebbero salvare la vita.