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January 12, 2018
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Lode a Donald Trump, il Re Lear d’America che ha più fortuna che anima

Quanto sta succedendo a Washington sembra la trasposizione nella vita vera della tragedia più nera di William Shakespeare, Re Lear

James HansenbyJames Hansen
Lode a Donald Trump, il Re Lear d’America che ha più fortuna che anima

A sinistra, il Re Lear di Shakespeare. A destra, il Presidente Donald Trump

Time: 3 mins read

Se è vero che la vita imita l’arte, il pièce teatrale che si sta ora allestendo a Washington è Re Lear (1605-6), la tragedia più nera di William Shakespeare. Lear, afflitto dalla vanità senile, scatena nel suo delirio dei processi che portano alla guerra e alla morte atroce di tutti i principali protagonisti.

Boccheggia il tentativo di arrivare all’impeachment di Donald Trump attraverso l’ipotesi che sia in qualche modo manovrato dai servizi russi. Le interferenze nel processo elettorale Usa si rivelano molto somiglianti per la modesta entità a quelle americane messe in atto a loro volta contro Vladimir Putin nelle tornate elettorali russe: più che altro gesti di dispetto.

Il sistema americano non è di tipo parlamentare, con voti di “sfiducia”. Una volta eletti, i presidenti  Usa  sono  pressoché  inamovibili.  Oltre  all’impeachment,  che  non  pare  più percorribile,  resta  solo  il  ricorso  al  25°  emendamento  della  Costituzione,  che  prevede  la rimozione per “disabilità”, cioè, la sostituzione per motivi di salute. È stato introdotto dopo l’assassinio Kennedy, quando il Congresso si accorse che un presidente rimasto in coma dopo un attentato avrebbe comunque mantenuto i suoi poteri formali, pur senza poterli esercitare.

Visto l’evidente rischio di abusi, il meccanismo è stato congegnato in maniera che la strada da percorrere sia ancora più in salita di quella dell’impeachment. Non è applicabile ai casi di semplice impopolarità o di incompetenza professionale – e nemmeno per i comportamenti criminali. Tuttavia, pare l’unica via ancora disponibile per riparare all’ “errore” dell’elettorato che ha portato Trump alla Presidenza. Il nuovo tema della pubblicistica d’opposizione è dunque quello del crollo mentale – “crollo” perché non basterebbe al caso una condizione pre-esistente.

La tesi, ampiamente illustrata nel nuovo libro “Fire and Fury” di Michael Wolff – di cui molto si parla – è che, impossibilitato a riconoscere la propria incapacità di condurre l’alto ufficio a cui, per sbaglio, è stato chiamato, Trump starebbe subendo un progressivo collasso mentale. Il tema spunta repentino anche sui grandi quotidiani e su periodici di peso come Vanity Fair e New Yorker.

È però un ripiego, un segno della crescente urgenza dei Democratici. Se Donald Trump non gronda di gravitas presidenziale, dimostra comunque di avere, come si dice volgarmente, “più culo che anima”. Da quando è Presidente, l’economia Usa va come un treno, il PIL cresce al 3% e l’indice di borsa Dow Jones ha da poco superato i 25mila punti, un record assoluto. Ci si mette perfino il clima. Trump, come molti suoi elettori, nega l’esistenza del riscaldamento globale – un’eresia per l’opposizione. Cosa fa poi la Natura? Porta nel Paese l’inverno più freddo della storia. Nel Minnesota, sono stati toccati i -43° C. A Cape Cod tre squali sono stati trovati morti e congelati su una spiaggia, uccisi in mare dal freddo. Gli elettori Usa possono essere a volte terribilmente “empirici”. Come il freddo troppo polare potrebbe inficiare le certezze climatiche, anche il successo economico potrebbe confondergli le idee…

La tragica conclusione del “Lear” di Shakespeare – con la morte sia dei “buoni” sia dei “cattivi” – venne criticata tra i secoli 17°e 18°. Furono scritte e rappresentate versioni alternative che imponevano invece un happy ending o comunque un preciso senso morale. Oggi si ricorda solo l’originale.

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James Hansen

James Hansen

Americano della West Coast, vivo in Italia da molti anni. Sono arrivato, giovane, nel servizio diplomatico USA come vice console a Napoli. Lì ho capito che “da grande” non volevo fare l’ambasciatore. Sono passato al giornalismo come corrispondente dell’International Herald Tribune e del Daily Telegraph, in seguito spostandomi “dall’altra parte della scrivania” come capoufficio stampa di Olivetti, di Fininvest e infine di Telecom Italia. Da tempo mi occupo di “diplomazia privata”, accompagnando grandi aziende italiane nelle loro avventure internazionali. È la diplomazia che mi immaginavo da ragazzo, con obiettivi più o meno chiari e i mezzi e l’autonomia per perseguirli. An American from the West Coast, I have been living in Italy for many years. I got here young, with the diplomatic service as the US vice consul in Naples. There I realized that, as a grown up, I didn't want to be an ambassador. I turned to journalism as a correspondent for the International Herald Tribune and the Daily Telegraph, and later on, I moved to the “other side of the desk” as chief of press for Olivetti, Fininvest and finally Telecom Italia. I deal with "private diplomacy", backing up large Italian companies in their international adventures. It's the diplomacy as I imagined it when I was young, with more or less clear goals and the means and autonomy to pursue them.

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