Se è vero che la vita imita l’arte, il pièce teatrale che si sta ora allestendo a Washington è Re Lear (1605-6), la tragedia più nera di William Shakespeare. Lear, afflitto dalla vanità senile, scatena nel suo delirio dei processi che portano alla guerra e alla morte atroce di tutti i principali protagonisti.
Boccheggia il tentativo di arrivare all’impeachment di Donald Trump attraverso l’ipotesi che sia in qualche modo manovrato dai servizi russi. Le interferenze nel processo elettorale Usa si rivelano molto somiglianti per la modesta entità a quelle americane messe in atto a loro volta contro Vladimir Putin nelle tornate elettorali russe: più che altro gesti di dispetto.
Il sistema americano non è di tipo parlamentare, con voti di “sfiducia”. Una volta eletti, i presidenti Usa sono pressoché inamovibili. Oltre all’impeachment, che non pare più percorribile, resta solo il ricorso al 25° emendamento della Costituzione, che prevede la rimozione per “disabilità”, cioè, la sostituzione per motivi di salute. È stato introdotto dopo l’assassinio Kennedy, quando il Congresso si accorse che un presidente rimasto in coma dopo un attentato avrebbe comunque mantenuto i suoi poteri formali, pur senza poterli esercitare.
Visto l’evidente rischio di abusi, il meccanismo è stato congegnato in maniera che la strada da percorrere sia ancora più in salita di quella dell’impeachment. Non è applicabile ai casi di semplice impopolarità o di incompetenza professionale – e nemmeno per i comportamenti criminali. Tuttavia, pare l’unica via ancora disponibile per riparare all’ “errore” dell’elettorato che ha portato Trump alla Presidenza. Il nuovo tema della pubblicistica d’opposizione è dunque quello del crollo mentale – “crollo” perché non basterebbe al caso una condizione pre-esistente.
La tesi, ampiamente illustrata nel nuovo libro “Fire and Fury” di Michael Wolff – di cui molto si parla – è che, impossibilitato a riconoscere la propria incapacità di condurre l’alto ufficio a cui, per sbaglio, è stato chiamato, Trump starebbe subendo un progressivo collasso mentale. Il tema spunta repentino anche sui grandi quotidiani e su periodici di peso come Vanity Fair e New Yorker.
È però un ripiego, un segno della crescente urgenza dei Democratici. Se Donald Trump non gronda di gravitas presidenziale, dimostra comunque di avere, come si dice volgarmente, “più culo che anima”. Da quando è Presidente, l’economia Usa va come un treno, il PIL cresce al 3% e l’indice di borsa Dow Jones ha da poco superato i 25mila punti, un record assoluto. Ci si mette perfino il clima. Trump, come molti suoi elettori, nega l’esistenza del riscaldamento globale – un’eresia per l’opposizione. Cosa fa poi la Natura? Porta nel Paese l’inverno più freddo della storia. Nel Minnesota, sono stati toccati i -43° C. A Cape Cod tre squali sono stati trovati morti e congelati su una spiaggia, uccisi in mare dal freddo. Gli elettori Usa possono essere a volte terribilmente “empirici”. Come il freddo troppo polare potrebbe inficiare le certezze climatiche, anche il successo economico potrebbe confondergli le idee…
La tragica conclusione del “Lear” di Shakespeare – con la morte sia dei “buoni” sia dei “cattivi” – venne criticata tra i secoli 17°e 18°. Furono scritte e rappresentate versioni alternative che imponevano invece un happy ending o comunque un preciso senso morale. Oggi si ricorda solo l’originale.