In questi giorni d’estate la temperatura continua a essere torrida dalle parti di Pennsylvania Avenue. Tra Russiagate, velenose polemiche e continui cambiamenti all’interno della squadra di governo, a poco più di duecento giorni dal suo insediamento Donald Trump rimane nell’occhio del ciclone.
Nella maggior parte dei casi, come già avvenuto più volte durante la campagna elettorale, alcune sparate del presidente non fanno che peggiorare le cose, scatenando una micidiale reazione mediatica e surriscaldando il già bollente clima politico.
L’esempio più recente è arrivato poche ore fa. Dal suo ormai noto account twitter, caricato come sempre a pallettoni, è uscita una dichiarazione che nessuno si aspettava: “dopo aver consultato i miei generali ed esperti, vi informo che il governo degli Stati Uniti non accetterà o permetterà a individui transessuali di servire in qualsiasi ruolo all’interno delle forze armate. Le nostre forze armate dovrebbero essere concentrate sulla decisiva e completa vittoria e non possono essere appesantite dagli enormi costi medici e disagi che comporterebbero i transgender. Grazie”.

Un annuncio che oltre a cogliere di sorpresa persino il Pentagono e il partito repubblicano, ha ovviamente sollevato un vespaio di polemiche. All’indomani della strage terrorista di Orlando, avvenuta a giugno dell’anno scorso, Trump sembrava infatti attestato su posizioni molto più tolleranti rispetto al GOP sul tema dei diritti civili. Tra l’altro, il fenomeno dei transessuali nelle forze armate è marginale (i numeri sono davvero esigui) e non era affatto al centro del dibattito. Per quale motivo è allora avvenuto questo cambiamento improvviso di rotta? Alcuni pensano sia un modo per ricompattare la base elettorale più tradizionalista, altri una sparata causata dalle ben note intemperanze caratteriali del presidente. Chi vi scrive, invece, propende per l’ipotesi del diversivo. In altri termini, come già avvenuto qualche tempo fa (quando di punto in bianco Trump attaccò Mika Brzezinski e Joe Scarborough, noti conduttori del programma televisivo Morning Joe), i tweet giungono nel bel mezzo di importanti mutamenti negli equilibri interni all’amministrazione o per distogliere l’attenzione dalla palude in cui spesso inciampa il Congresso a maggioranza repubblicana.
Negli ultimi giorni, almeno due avvenimenti hanno scosso l’amministrazione Trump. Il primo è stato la nomina del finanziere Anthony Scaramucci a capo della comunicazione, a quanto pare avvenuta senza il parere preventivo del capo di gabinetto Rience Priebus. Cinquantatré anni, newyorkese di origini italiane, Scaramucci sembra aver messo in campo una strategia molto più aggressiva del predecessore e ha subito dichiarato di voler andare a fondo nella questione dei “leaks”, fermando l’emorragia di notizie sensibili che ormai da mesi mette a rischio la sicurezza nazionale (e in serio imbarazzo l’entourage di Trump).
Il secondo evento degno di nota è poi la sempre più probabile sostituzione dell’Attoney General (ministro della giustizia) Jeff Sessions, finito sotto il tiro dei micidiali tweet presidenziali. Il licenziamento di uno dei più fidati sostenitori di The Donald fin dai tempi della campagna elettorale è roba scottante. Ufficialmente, il motivo sarebbe l’insoddisfazione manifestata da Trump nei confronti dell’atto con cui Sessions si è ricusato dalle indagini relative al Russiagate, che però risale all’inizio di marzo.
Anche in questa circostanza, è probabile che il sostituto sia un fedelissimo del presidente (alcune fonti parlano dell’ex sindaco di New York Rudy Giuliani) in grado di passare al contrattacco rompendo la neutralità fino a ora mantenuta riguardo all’operato dell’FBI sulle presunte ingerenze di Mosca durante le elezioni.
Le ulteriori evoluzioni del Russiagate hanno visto infatti coinvolti il figlio maggiore di Trump e il genero Jared Kushner (accusati di aver avuto contatti compromettenti con personaggi legati al Cremlino). E per quanto ancora oscura, pompata da molti media mainstream a livelli inaccettabili di Maccartismo 2.0, è indubbio negli ultimi tempi la questione abbia messo sotto pressione il presidente.
Insomma continua a ritmi sostenuti lo scontro sotterraneo di poteri che sta dilaniando gli USA, e che vede una guerra totale tra parte dei servizi e il governo.
Non bastassero tali grane, il GOP è per l’ennesima volta in grave difficoltà al Senato, dove la riforma sanitaria che dovrebbe sostituire Obamacare continua ad arrancare penosamente.
Tuttavia, se sul piano della politica interna regna il caos, quest’estate è stata positiva almeno nell’ambito della politica estera. Con il discorso pronunciato a Varsavia, tutto incentrato sulla difesa della civiltà occidentale dalle minacce che attraversa in questo momento storico, Trump si è posto ufficialmente a capo del mondo libero, con una chiarezza ideale che lo ha reso (una volta tanto) “presidenziale”. Anche nello scenario siriano le cose sembrano mettersi un po’ meglio. Lì, oltre al cessate il fuoco messo in campo all’indomani dell’incontro tra Trump e Putin durante il G20, la buona notizia (rimbalzata pochissimo sui media) è stato il ritiro dell’appoggio americano alle frange della resistenza più estrema ad Assad compromesse con l’ideologia fondamentalista. La collaborazione con Mosca gioverebbe alla stabilità mondiale, se non fosse che appena ieri il Congresso ha costretto l’amministrazione ad appesantire le sanzioni economiche comminate alla Russia in un gioco allo sfascio dannoso per tutti.
Speriamo solo che l’isteria anti-russa mostrata da una parte dell’establishment non porti in futuro a conseguenze nefaste.