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October 13, 2015
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Per una sinistra populista

Francesco ErspamerbyFrancesco Erspamer
Time: 4 mins read

A cosa serve una sinistra autentica, capace di lottare per un programma radicale anche se sa bene che sarà contrastato in tutti i modi dallo strapotere finanziario e da quello mediatico? A cosa serve una sinistra che non possa vincere le elezioni e che tuttavia decida di non cedere, di non snaturarsi e prostituirsi per ottenere il potere, come fatto dai laburisti inglesi al tempo di Blair, dai socialisti francesi di Hollande, dai democratici americani di Bill Clinton e di Obama, dal Pd italiano di oggi? Serve a spostare l'equilibrio politico verso sinistra. 

Negli Stati Uniti la partecipazione di Bernie Sanders alle primarie democratiche, l'entusiasmo dei suoi sostenitori, molti dei quali sono giovanissimi, e la sua crescente popolarità malgrado, appunto, il boicottaggio delle corporation e della stampa (assordante il silenzio del New York Times e continui gli attacchi del Washington Post e, ovvio, del Wall Street Journal), ha costretto Hillary Clinton a sterzare decisamente verso sinistra. Resta una candidata del sistema ma adesso dice di opporsi al TTP e al TTIP e di voler far passare leggi che mettano sotto controllo Wall Street.

Non mi fido, anche se il fatto che di conseguenza i media abbiano dovuto parlarne e implicitamente mettere in dubbio gli assiomi del liberismo (illimitata globalizzazione e illimitata speculazione finanziaria), è un ottimo segno. Ma come giustamente ha scritto Robert Reich, sarebbe accaduto se martedì Hillary non avesse un importante dibattito elettorale con Sanders?

In Italia le straordinarie conquiste civili e sociali degli anni della seconda metà del novecento furono ottenute, tutte, perché la DC, che avrebbe preferito già allora fare le riforme liberiste e repressive che ora sta facendo Renzi, fu costretta a farne di ben diverse a causa della pressione del PCI e della minaccia che rappresentava. Gli speculatori e i manager senza qualità che con la scusa della concorrenza globale oggi fanno soldi facili facili delocalizzando le fabbriche, licenziando i lavoratori e svendendo le imprese alle multinazionali, agiscono così solo perché non rischiano nulla, né personalmente né come classe. Pochi decenni fa il pericolo di scioperi, occupazioni, sommosse e la presenza di un modello radicalmente alternativo rappresentato, con tutti i suoi difetti, dall’Unione Sovietica, gli consigliava ben diversi comportamenti e strategie. Per esempio erano loro a chiedere protezionismo commerciale, tasse di importazione, divieti all’esportazione di capitali, interventi statali a difesa dell’occupazione (non regali a chi assume e sfrutta i precari, come fa il Jobs Act renziano), accordi con i sindacati e ampie concessioni (non la loro soppressione, come nei programmi del Pd e dell’attuale Confindustria). 

Bisogna ricostruire al più presto una sinistra vera, unita e populista, alla quale non interessi vincere (per ora non può) bensì risucchiare il centro dalla sua parte, gradatamente marginalizzando la destra. Cioè l'esatto opposto di quello che in Italia succede da un ventennio. Ma per farlo occorrono determinazione, coraggio e idee; e occorre mandare in pensione tutti i protagonisti, vecchi e meno vecchi, di questa disastrosa stagione.

E soprattutto occorre liberarsi da una retorica vecchia, superata, resa inutile dagli abusi a cui l’hanno sottoposta le finte sinistre di cui sopra (in Italia i renziani e prima di loro i veltroniani, i rutelliani, i miglioristi alla Napolitano): l’internazionalismo, in particolare, è finito, assorbito e distorto dal globalismo; e così il progetto illuminista di un’élite politica e intellettuale in grado di guidare il popolo e vigilare sul comportamento morale delle classi dominanti: anche questa aspirazione è stata annientata dalla deriva etica e culturale indotta dal neocapitalismo, con la distruzione programmatica delle discipline storiche, l’appiattimento sull’attualità, la feticizzazione dei prodotti commerciali, il culto delle celebrity – a tutti i livelli, di massa e di dirigenti. Serve invece populismo, un nuovo populismo: come nel paese in cui il liberismo è più egemonico, gli Stati Uniti, la sinistra ha finalmente compreso, sulla spinta di Occupy Wall Street. Per questo occorre osservare con molta attenzione i tentativi di Sanders e di Elizabeth Warren (il suo intervento alla “New Populism Conference” ), per questo occorre seguire la discussione che si svolge su giornali come The Nation o Truth-Out, leggere i libri e articoli di attivisti come Naomi Klein, Robert Reich (i suoi “Sei fondamenti di un nuovo populismo – e l’incubo del potere” ) o George Lakoff (la sua serrata denuncia del monopolio liberista del linguaggio e delle strutture analitiche e comunicative dovrebbe essere un punto di partenza per la rinascita della sinistra).

In gioco è la stessa sopravvivenza del pianeta e prima ancora della civiltà – che non è mai universale, come i globalisti vogliono farci credere con il loro modello di multiculturalismo da supermercato (tanti prodotti, comportamenti e idee fra cui scegliere ma prescelti dalle corporation e da esse plastificati, anestetizzati, resi di moda) bensì locale, come del resto l’etica. La nuova sinistra avrà dunque un compito quasi impossibile: smantellare in poco tempo (non ce n’è molto) il sistema neocapitalista e i suoi fondamenti ideologici, ossia la globalizzazione, la deregulation e il consumismo compulsivo. Non per fare la rivoluzione comunista bensì per ricreare condizioni normali di esistenza sociale ed economica: per uscire insomma dalla dittatura del potere unico finanziario sovranazionale (e dunque totalmente irresponsabile: non è un caso che una delle clausole-chiave del TTP e del TTIP è che ogni controversia venga decisa non dalla magistratura dei paesi interessati ma da una corte privata extraterritoriale). 

Dici poco. È velleitario pensare di riuscirci senza utilizzare alcune pulsioni umane ancora forti, le uniche che ancora possono spingere la gente a uscire dal rincoglionimento mediatico e consumistico in cui si trova. Queste pulsioni sono il nazionalismo (e il patriottismo), la religione, il tradizionalismo, il senso di appartenenza e il bisogno di identità: sfruttarle politicamente è ciò che si è sempre definito populismo. Lasciare il populismo alla destra, che lo assorbe e canalizza in modo da impedire che minacci il potere, è sempre stato un errore (giustamente Gramsci lo rivendicava al partito comunista con l’etichetta di nazionale-popolare); oggi è demenziale. Va usato da sinistra, abbandonando stupidi purismi e idealismi. La discussione sui limiti di questo nuovo populismo è aperta e non penso affatto che debba diventare demagogia; infatti a controllarlo servono partiti ben organizzati e con ideologie rigorose, non accozzaglie di cani sciolti né confederazioni di interessi di nicchia. Ma senza una decisa svolta verso un populismo in grado di contrastare quello dei media liberisti, non c'è speranza.

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Francesco Erspamer

Francesco Erspamer

Nato a Bari, cresciuto a Parma e in Trentino, laureato a Roma, professore a Harvard. Mi interesso di letteratura, politica, storia delle idee e cambiamenti culturali. Insegno corsi su estetica, romanzo moderno e contemporaneo, Rinascimento, calcio. Di recente ho scritto: La creazione del passato, Sulla modernità culturale e paura di cambiare, Crisi e critica del concetto di cultura. Come Gramsci, penso che al pessimismo della ragione occorra accompagnare l’ottimismo della volontà, e come James Baldwin, che la libertà non la si possa ricevere in dono: bisogna prendersela.

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