Le polemiche che continuano ad accompagnare i dibattiti TV repubblicani sono tante quanto quelle sollevate dalla candidatura di Donald Trump. Eppure, i criteri che ne regolano lo svolgimento sembrano essere semplici.
Primo, la visibilità televisiva dei candidati dipende dal consenso elettorale. Prima e dopo ogni dibattito si svolgono sondaggi elettorali su scala nazionale: i candidati con un punteggio di gradimento sopra l’1% passano, mentre gli altri vengono gradualmente esclusi dal dibattito TV ufficiale. Secondo, i candidati sono suddivisi in due fasce: quelli che sono in fondo ai sondaggi nazionali vanno in onda nel pomeriggio, mentre i dieci candidati in testa vanno in onda in prima serata. Niente di più semplice insomma. Eppure mercoledì 16 settembre alle ore 8pm (New York), sul palco allestito nella Reagan Library in California, vedremo undici candidati. Fiorina, infatti, è stata ripescata proprio a causa della mancanza di dati elettorali.
Dopo il primo dibattito TV del 6 agosto sono stati condotti solo tre sondaggi nazionali, un numero troppo basso per decidere la sorte televisiva dei candidati secondo la CNN. Nelle prime due settimane di settembre quindi è stato fatto un nuovo sondaggio, che ha confermato il consenso crescente attorno alla figura di Carly Fiorina.
Il punteggio ottenuto nei sondaggi nazionali, come riportato dalla CNN , servirà anche per stabilire l’ordine in cui saranno disposti i candidati sul palco. Il favorito Trump sarà al centro, con Ben Carson alla sua sinistra e Jeb Bush alla sua destra. Gli altri via via saranno disposti allo stesso modo, fino ad arrivare a Chris Christie e Rand Paul, gli sfavoriti, agli estremi opposti del palco. I candidati quindi saranno realmente esposti in vetrina, alla mercé dello sguardo di potenziali investitori. È questo il motivo per cui i dibattiti televisivi sono tanto importanti, la ragione principe per cui il loro svolgimento ha sollevato tante polemiche. Secondo quanto riportato dal The Daily Beast , le regole per finanziare le campagne elettorali sono cambiate radicalmente nel corso degli ultimi anni. Prima la raccolta fondi veniva svolta da volontari che potevano chiedere contributi individuali fino a 5,400 dollari. Il singolo donatore non poteva sforare questa cifra e doveva unirsi ad altri donatori se voleva veder prevalere il candidato da lui sostenuto. Il che serviva a garantire una certa indipendenza politica al candidato. Una legge stabilita nel 2010 dalla Corte Suprema invece, ha stravolto completamente la pratica tradizionale. Oggi non esiste più un limite alle donazioni e i donatori (raggruppati in super PACs) possono arrivare a influenzare la politica in modo tale da costituire un vero e proprio parlamento esterno a quello ufficiale. I donatori inoltre possono decidere di nascondere il loro nome dietro quello di un gruppo, in modo da mantenere l’anonimato.
Mettiamo che il donatore sia un certo magnate Paul Smith, che controlla casinò e vuole deregolamentare il mercato del gioco d’azzardo. Il nostro Paul Smith non avrà alcun interesse a essere sotto gli occhi del pubblico, quindi preferirà devolvere i soldi a un gruppo che si chiama “America unita per la libertà”. Magari l’85% del fondo è costituito dalle donazioni di Smith, ma questo il pubblico non lo sa. Il problema di queste elezioni, complice la mancanza di un’appropriata regolamentazione, è che questa consuetudine rischia di far collassare il sistema elettorale americano, trasformando la corsa alla presidenza in un’impresa aristocratica più che democratica.
Per ora, gli unici candidati immuni alla logica dei super PACs sono Trump e Bush. Trump sta finanziando la sua campagna elettorale in stile “luxury” praticamente da solo, mentre Bush, secondo un’analisi condotta da Business Insider , ha raccolto 100 milioni di dollari in sei mesi dall’annuncio della sua candidatura. Carson, il secondo favorito, fatica a ottenere fondi. Eppure potrebbe essere proprio lui la vera sorpresa di queste presidenziali. Carson infatti, secondo The New York Times , sta gradualmente catturando il plauso degli elettori repubblicani e soprattutto di quelli appartenenti alla chiesa evangelica. Finora l’ex neurochirurgo ha raccolto 23 milioni di dollari, sei dei quali nel mese di agosto, dopo il primo dibattito TV. Gli altri candidati invece stanno perdendo terreno nella corsa ai finanziamenti, ma non è escluso che le cose possano cambiare da un momento all’altro. Lo stesso Trump potrebbe essere sconfitto proprio a colpi di investimenti. Pare infatti che un gruppo di repubblicani contrari alla candidatura del multimilionario stia progettando la creazione di un super Pacs per osteggiarlo. La stanza dei bottoni si sta lentamente affollando e potrebbe esserci qualche capovolgimento inatteso. Staremo a vedere.