Mentre entriamo in una fase di bonaccia della vita politica, con Renzi vincente su tutti i tavoli e gli avversari in rotta, si può ragionevolmente provare a fissare alcuni punti rispetto alla vicenda aperta poco più di un anno fa dall’irruzione sulla scena nazionale dell’allora sindaco di Firenze.
La prima considerazione è che il capo del governo gode dell’appoggio dell’opinione pubblica, anche se non su tutte le questioni sulle quali si sta spendendo. Nel dossier scuola, per esempio, sta registrando un dissenso che farebbe male a sottovalutare, anche perché proprio la riforma della scuola e più in generale della formazione dei giovani alla vita lavorativa, fu considerata dal suo programma di governo una delle priorità da soddisfare.
Renzi si è presentato come uomo “del fare”, e sta alacremente facendo. Ma sta facendo “bene”? Ad oggi nessuna delle questioni che contribuiscono a rendere l’Italia paese a rischio, per i suoi cittadini prima ancora che per i partner europei e gli alleati, è stata minimamente scalfita dall’operato di questo governo. Debito pubblico, corruzione, criminalità, elevata tassazione e coeva evasione fiscale, disoccupazione di lungo periodo, insicurezza cittadina, arroganza delle corporazioni, inefficienza giudiziaria, impoverimento di vaste fette di popolazione a favore del ristretto numero dei privilegiati, continuano a farla da padrone. E questo, senza nulla togliere alle riforme che Renzi ha realizzato: dal jobs act all’italicum agli 80 euro ai sottosalariati, alla revisione del falso in bilancio e via citando sino alla recente cancellazione del vitalizio dei politici condannati.
L’impressione che molti registrano, da tanto forsennato attivismo, è che Renzi punti ad edificare un sistema a sua misura nel quale albergare per decenni, nella migliore delle ipotesi per cambiare in bene l’Italia, nella peggiore (già visto, in più epoche, nella storia patria) per garantirsi una poltrona dalla quale nessuno possa rimuoverlo. Sarà il futuro a rispondere. Per ora si può osservare che il mastice con il quale Renzi salda il rapporto carismatico con l’elettorato è, in ambedue le ipotesi, la cascata di ottimismo di cui inonda il paese, per motivarlo e convincerlo a collaborare. Il fatto è che l’ottimismo senza ragioni non è solo stupido, è anche dannoso, perché altera la visione della realtà e confonde aspettative morali e irrazionali con la dura replica del vero. L’ottimismo non può risolvere i problemi la cui esistenza nega.
Lo stile di governo offre continui esempi di questa sciagurata situazione. L’ultimo caso viene dalla sentenza della corte costituzionale che costringe lo stato a risarcire pensionati penalizzati da precedenti leggi. La sentenza scardina l’equilibrio di finanza pubblica messo faticosamente in piedi da Padoan, ma nessuna seria preoccupazione viene espressa dal primo ministro. Stesso atteggiamento sulla forbice di ingiustizia e disoccupazione che colloca l’Italia tra i casi peggiori dei paesi Ocse, con giovani che devono scegliere tra emigrazione o precariato. Continuare a propalare ottimismo su una popolazione stremata da una recessione che solo ora appare conclusa, è certamente demagogia, ma può diventare autolesionismo. Solo sulla soluzione dei suoi concreti problemi il paese può ritrovarsi, smettendola di dividersi su tutto, fiaccato nel morale prima ancora che nella borsa. Renzi chiami le cose con il loro nome, guardi ai numeri tragici dell’esclusione sociale, della criminalità, dei fallimenti imprenditoriali, della corruzione di giudici e burocrati, e se ne occupi. Avrà vere ragioni d’ottimismo.