In queste ore si discute sui risultati delle primarie del centrosinistra andate in scena domenica scorsa ad Agrigento. Sono le elezioni che hanno individuato il candidato sindaco di questo schieramento politico. Nel centrosinistra agrigentino, com’è noto, è finito un ‘pezzo’ di Forza Italia. Il tutto grazie a un accordo politico siglato dal Pd siciliano (e non solo il Pd di Agrigento) con il parlamentare nazionale di Forza Italia, Riccardo Gallo, e con il deputato regionale Michele Cimino (quest'ultimo, nei mesi scorsi, ha lasciato i berlusconiani per aderire al centrosinistra). Le elezioni le ha vinte Silvio Alessi, vicino a Gallo e a Cimino, con ampio margine di vantaggio sul candidato del Pd. Pur essendo elezioni con un esito scontato, le polemiche sono roventi.
Questa vicenda ci offre l’occasione per una riflessione sulle elezioni primarie nel nostro Paese. O meglio, su come, in Italia, nel giro di qualche anno, uno strumento considerato di democrazia sia già degenerato, creando confusione e offrendo spazio di azione a camarille politiche di ogni genere e specie. Con il dubbio che la situazione che si sta creando possa finire con il favorire la mafia. Ma andiamo per ordine.
Partiamo dalla confusione che ormai caratterizza queste consultazioni elettorali. In Liguria, alle primarie del Pd, c’è il dubbio, tutt’altro che infondato, che ci siano stati brogli. Ma questo non ha invalidato la consultazione. Ad Agrigento, invece, dove non ci sono stati brogli, paradossalmente, c’è chi chiede di invalidare le primarie. Perché? Perché dopo la consultazione a tanti dirigenti e simpatizzanti del Pd non va proprio giù l’idea di votare come sindaco un personaggio di centrodestra (cosa, questa, che avrebbero fatto bene a sottolineare prima delle primarie e non dopo!).
Così assistiamo a uno spettacolo tragicomico. Da una parte c’è Silvio Alessi che nega di essere vicino a Forza Italia. Tutto questo mentre la rete è invasa da centinaia di foto che ritraggono lo stesso Alessi sorridente accanto a Berlusconi e ad Angelino Alfano. Tutto questo mentre il suo vero mentore – e cioè il parlamentare nazionale Riccardo Gallo – rimane in Forza Italia, ricoprendo, proprio in Sicilia, ruoli di vertice. Insomma, tutti fanno finta di ignorare che Gallo, eletto al Parlamento nazionale nella lista di Forza Italia con il Porcellum grazie a Marcello Dell’Utri (oggi in galera per mafia), è rimasto nel suo partito dopo aver siglato l’accordo con il Pd, con l’avallo del segretario regionale di questo partito, Fausto Raciti.
Su Agrigento, di fatto, si è consumato un accordo politico tra Pd e Forza Italia. Con un obiettivo preciso: provare a tagliare le gambe al candidato sindaco Lillo Firetto – che piaccia o no, ma ad Agrigento e dintorni gode di consenso popolare – sol perché lo stesso Partito democratico non è riuscito a mettere il ‘cappello’ sulla sua candidatura. Raciti, i vertici del Pd agrigentino e, soprattutto, Gallo e Cimino sapevano benissimo che avrebbe vinto Alessi. Ma non si aspettavano la reazione furente della base del Pd. Persino i renziani siciliani – gente che si sta ‘inghiottendo’ le ‘indigeste’ riforme di Renzi, dal lavoro alla scuola – sono in rivolta.
Così, dopo aver siglato l’accordo con un ‘pezzo’ di Forza Italia (che rimane tale, lo ribadiamo, perché Gallo, che è uno dei principali artefici di tale operazione politica, non ha lasciato il partito di Berlusconi), nel Pd c’è chi, addirittura, vorrebbe annullare le primarie solo perché a vincerle non è stato il candidato del Pd. Cosa, questa, che, se dovesse verificarsi, comporterebbe le dimissioni del segretario regionale Raciti e del segretario del Pd di Agrigento, Peppe Zambito, che hanno gestito l’operazione per conto del Partito democratico.
Confusione, disorientamento degli elettori, malcontento. Ma quello di Agrigento è solo uno degli effetti visibili delle primarie in salsa italiana. Ce ne sono altri che, invece, passano inosservati, ma che sono più gravi. Ora citeremo un paio di esempi accaduti in Sicilia in occasione delle primarie.
Ci sono stati casi in cui, alle primarie, un partito ha raddoppiato i voti. Una cosa simile è successa a Palermo nella primavera del 2012, in occasione delle primarie del centrosinistra. Per bloccare la candidatura a sindaco di Rita Borsellino (candidatura che, detto per inciso, non piaceva alla mafia), i gazebo sono stati presi d’assalto da personaggi che, in tanti casi, non avevano nulla a che spartire con il Pd e con il centrosinistra di Palermo. Di fatto, le primarie del centrosinistra andate in scena nel capoluogo siciliano nel 2012, oltre che per ‘impiombare’ Rita Borsellino, sono servite per puntellare l’alleanza di una parte del Pd di allora (Antonello Cracolici e Giuseppe Lumia) con l’allora presidente della Regione, Raffaele Lombardo, poi condannato per mafia. Basta mettere assieme i tasselli di questa storia – l’eliminazione dalla ‘corsa’ a sindaco di Rita Borsellino e il sostegno al governo regionale di Raffaele Lombardo – per capire a chi e a quali ‘ambienti’ sono servite le primarie del centrosinistra di Palermo nel 2012.
Palermo non è un caso isolato. Ormai i casi di primarie dove nel centrosinistra, ai gazebo, si presentano il 40, il 50 e, talvolta, il 100 per 100 di elettori in più rispetto ai voti che poi spunteranno ad aperture delle urne non si contano più. Insomma, il Pd, per essere chiari, in certi centri dove, di solito, non supera i mille voti, raccoglie alle primarie il doppio degli elettori; per poi riconfermare i circa mille voti alle successive elezioni!
Ma ancora più sofisticato è il metodo che i ‘professionisti’ delle primarie (che, per lo più, sono gli ex democristiani, praticamente irraggiungibili in questo genere di ‘operazioni’) definiscono “accerchiamento”. Seguiteci perché è sociologicamente interessante capire la tecnica, per certi versi anche psicologica, con la quale viene, di fatto, alterato il consenso popolare.
Supponiamo che in una provincia un candidato sia particolarmente forte e radicato. Intanto si parte da una dettagliata analisi delle consultazioni elettorali precedenti. Per studiare, numeri alla mano, quanti voti il candidato da ‘fregare’ prende in ogni centro della provincia. Fatto questo studio, il gruppo di pressione che deve eliminare il candidato forte piazza un proprio candidato in ogni centro della provincia dove il candidato forte prende di solito i voti.
Qui entra in scena la psicologia. E’ noto che nelle elezioni comunali – soprattutto nelle elezioni per i Consigli comunali – a orientare gli elettori non sono, spesso, le considerazioni politiche, ma i gradi di parentela e le amicizie. Piazzando un candidato in ogni piccolo centro, ovviamente facendo ricorso a personaggi conosciuti in ogni centro, e sfruttando le parentele, le amicizie e altri elementi che nulla hanno a che vedere con la politica, il gruppo di pressione indebolisce il candidato forte.
Quando il candidato forte gira per i centri della propria provincia comincia a capire che cosa gli stanno combinando. Perché interpellando quelli che sono i suoi elettori tradizionali si sente rispondere: “Purtroppo questa volta in queste primarie non ti posso votare perché in lista c’è mio fratello”; oppure il cugino, o il cognato, o lo zio, o un amico. Piaccia o no, ma i candidati locali, messi in lista solo per prendere voti nel proprio centro, alla fine, sommandoli tutti, fanno perdere al candidato forte una barca di voti. Con motivazioni non hanno poco o punto di politico.
Viceversa, il gruppo che deve eliminare il candidato forte deve solo canalizzare sul proprio candidato i consensi che servono a quest’ultimo per battere l’avversario. Un avversario che, in condizioni normali e senza questi sotterfugi, prenderebbe il doppio se non il triplo di voti rispetto a lui. Così si verifica un fatto paradossale: il candidato che in una provincia prenderebbe, in condizioni normali, per esempio 50 mila voti, perché conosciuto e ben voluto dagli elettori, si ferma a 16-18 mila voti. Mentre il candidato più debole, che può contare, per esempio, su circa 20 mila voti deve solo confermare i propri voti per vincere le primarie e diventare matematicamente parlamentare. In pratica, grazie a primarie che non è esagerato definire truffaldine, il candidato che vincerebbe sia con elezioni con sistema proporzionale, sia con il maggioritario perde; mentre il candidato che, matematicamente, perderebbe sia con il proporzionale, sia con il maggioritario invece vince. Di fatto, le primarie utilizzate in un certo modo hanno alterato il risultato delle elezioni.
Ribadiamo: non ci stiamo inventando nulla. I casi che vi abbiamo descritto si sono verificati in Sicilia alle primarie del centrosinistra e del Pd. In un caso di “accerchiamento” sono stati contati fino a 16 candidati. Tutti piazzati come 'soldatini' per fare perdere il candidato forte. Operazione elettorale ‘scientifica’ a tutti gli effetti.
Secondo alcuni osservatori, l’utilizzazione truffaldina delle primarie potrebbe diventare la seconda fase della ‘rottamazione’ di Renzi. In effetti, i ‘professionisti’ di questi raggiri elettorali non si ritrovano tra gli ex Pci, ma tra gli ex democristiani, che in questi giochi di preferenze, raddoppio degli elettori nei gazebo e “accerchiamenti” ci sguazzano da sempre. Il timore di tanti dirigenti e militanti del Pd è che, con questi metodi, nel giro di qualche anno, gli ex democristiani o comunque personaggi che nulla hanno a che spartire con la sinistra si impossessino del partito attraverso il gioco perverso delle candidature alle primarie.
Insomma, Agrigento potrebbe non essere un caso, ma un ‘disegno’ già in parte sperimentato che adesso si manifesta con segni più nitidi. Non è un caso che, proprio in Sicilia, nelle scorse settimane, abbiano aderito al Pd cinque parlamentari regionali. Personaggi che, nel gioco dei voti, sia alle elezioni regionali, sia alle primarie per le nazionali, hanno molti più voti e sono molto più organizzati della parte del Pd di sinistra. Il timore, per dirla in breve, è che i nuovi arrivati, nel giro di qualche anno, soppiantino la deputazione nazionale e regionale del Partito democratico. Sotto questo profilo, la Sicilia starebbe facendo da apripista, o da ‘Laboratorio politico’, come veniva definita nel passato.
Ma per potere realizzare questo ‘disegno’ deve restare il Porcellum o una legge elettorale che gli somigli. E non è un caso – perché nulla in questa vicenda è casuale – che Renzi e Berlusconi stiano difendendo a spada tratta le liste bloccate, Porcellum o Italicum che siano. Perché senza le liste bloccate cade tutto il castello che è stato costruito fino ad oggi.
Detto questo, non abbiamo parlato del ruolo che sta giocando la mafia e, in generale, la criminalità organizzata con questo sistema elettorale. Vi anticipiamo che i mafiosi hanno tratto grande giovamento da questo sistema elettorale. Argomento, questo, che tratteremo in un prossimo articolo.