Nel paese dove non si dimette mai nessuno, la carica più alta dello Stato italiano mette una firma ed esce dal Quirinale, da quel Palazzo dove sarebbe potuto restare altri cinque anni da Presidente della Repubblica. Giorgio Napolitano, ormai 90enne ma ancora lucidissimo seppur un po' acciaccato, ha firmato la lettera di dimissioni oggi, mercoledì 14 gennaio, alle 10:35 del mattino. In poche righe, ha messo in atto quello che aveva già annunciato agli italiani la notte di capodanno. Napolitano lascia quindi il Quirinale dopo essere stato l'unico Presidente della Repubblica a conoscere il bis dell'elezione che gli ha fatto battere il record dei nove anni di "regno".
Cala il tricolore sulla torretta del Palazzo del Quirinale e la bandiera verrà rialzata soltanto alla elezione del nuovo presidente. La "reggenza" della Repubblica, per questo periodo di "interim", passa al Presidente del Senato, Pietro Grasso. La corsa alla successione è già partita: il primo voto è previsto il 29 gennaio, già il 31 potrebbe uscire il nuovo Capo dello Stato votato a maggioranza semplice. Il PD è il partito a cui tocca lanciare la prima rosa di nomi e da una riunione della sua segreteria tenuta proprio la mattina delle dimissioni di Napolitano, ecco che filtrano i primi "papabili" vistati da Matteo Renzi. Sono Giuliano Amato, Piero Fassino, Sergio Mattarella, Pier Carlo Padoan, Valter Veltroni e – sarebbe la prima donna presidente – Anna Finocchiaro. La vice segretaria del PD, la governatrice del Friuli-Venezia Giulia Debora Serracchiani, ha svelato i piani del suo partito: l'elezione dovrà arrivare “in tempi ragionevoli, al quarto o quinto scrutinio”, quindi non appena il quorum scenderà dai due terzi dell’assemblea alla maggioranza assoluta, che è di 505 voti. Il PD da solo può contare in circa 450 dei 1009 grandi elettori, ovvio che se votasse compatto avrebbe la scelta in tasca, basterebbe coinvolgere poche altre forze esterne. Ma tutti ricordano come il candidato di Pierluigi Bersani, Romano Prodi, due anni fa fu silurato da 101 franchi tiratori e come quell"'incidente" portò alla inedita conferma di Napolitano. Adesso questa opzione non esiste più. Il prolungamento irrisolto della questione presidenziale porterebbe alle elezioni anticipate per un nuovo Parlamento da eleggere senza ancora una nuova legge elettorale che possa "rassicurare" sia Renzi che Berlusconi, e quindi la coppia del "patto" non ci pensa proprio ad arrivare allo scioglimento della legislatura.
Ma quanto potere ha il presidente della Repubblica italiana? Come altre faccende di potere in Italia, dipende. Il limite di questo potere del presidente risulta essere flessibile, la Costituzione non precisa in modo esplicito i suoi limiti. Diciamo che la prassi dovrebbe far "riconoscere" i poteri al presidente, ma di fatto ogni capo dello Stato nell'era della Repubblica ha esteso i suoi poteri per come ha deciso di "interpretarli".
Napolitano, nell'esercitare i suoi poteri, è stato tra quelli più ossequiosi della prassi o ha anche lui preso strade inesplorate? In Italia, almeno dalla elezioni di Sandro Pertini nel 1978, i presidenti sono stati tutti "flessibilmente" estensori dei loro poteri (un po' meno Ciampi), e anche Napolitano non ha mancato di far sentire il peso delle sue "prerogative" nella storia italiana di questi ultime nove anni. E' stato bravo? E' stato di parte? E' stato, come dicono soprattutto dalla parte dei Cinquestelle di Beppe Grillo, il peggior presidente della Repubblica?
La storia, lo abbiamo già scritto, sarà più precisa in merito. Da New York ci sembra che Napolitano abbia "arbitrato" con la statura di chi ha cercato di svolgere la funzione costituzionale allargando i suoi poteri perché, in effetti, gli avvenimenti lo costringevamo ad esserlo "flessibile". Più l'Italia si ingarbugliava nella sua crisi e nel suo bisogno di stabilità politica, e più il presidente estendeva le sue prerogative. Almeno così da qui ci sono apparsi i nove anni di Napolitano. Ha fatto malissimo? Benissimo? Ripetiamo, toccherà agli storici riconoscere tra una ventina di anni, quale spinta all'Italia avrà dato Giorgio Napolitano, se verso la riscossa politica-economica-sociale o, e speriamo di no, verso il baratro di una crisi senza fine.

Il Presidente Giorgio Napolitano con la moglie Clio mentre esce dal Quirinale
Matteo Renzi ha detto ieri su Napolitano quello che viene difficile non condividere: "Credo che tutti, quelli che lo apprezzano e quelli che lo apprezzano meno, riconoscano a questo presidente il fatto che ha segnato un’epoca in modo straordinario".
Sicuramente il passaggio dal governo di Silvio Berlusconi a quello di Mario Monti, è stato il momento di massima estensione dei poteri del presidente Napolitano, in cui l'Italia è sembrata tornare alle scelte del "re". Che sono continuati con gli ulteriori passaggi dei governi Letta e infine Renzi. Un "regno" giusto? Sbagliato? Prima o poi la storia ce lo dirà.
Da New York, pensiamo anche che sia stato sul fronte della giustizia che Napolitano abbia avuto le difficoltà maggiori della sua presidenza, ma che queste difficoltà, riviste sempre con le lenti della storia, potrebbero trasformarsi anche in uno dei suoi momenti di gloria. Napolitano è stato infatti un acceso "migliorista" del sistema giudiziario italiano: "La giustizia ha bisogno di un profondo ed organico processo innovatore, inserito in una più complessiva visione strategica proiettata nel futuro, poiché il sistema giudiziario è un meccanismo teso ad equilibrare le controversie, ristabilendo l'imperio della legge". Parole rivolte ai magistrati e ai politici qualche giorno prima la chiusura dell'anno appena passato, in cui ha ribadito che il "paralizzante conflitto tra maggioranza e opposizione in Parlamento sui temi della giustizia e sulla sua riforma, non ha giovato né alla qualità della politica né all'immagine della magistratura". E Napolitano non ha esitato ad attaccare quei magistrati ritenuti da lui troppo protagonisti: "Per la tutela del prestigio e della dignità dei magistrati sono fondamentali comportamenti appropriati", perché i giudici e i pubblici ministeri devono mantenere atteggiamenti "ispirati a discrezione, misura, equilibrio, senza cedimenti a esposizioni mediatiche o a tentazioni di missioni improprie. Non è ammissibile che si oscuri il fine da perseguire, che è quello di applicare e far rispettare le leggi".
Sempre in tema di giustizia, Napolitano è stato coinvolto nella questione della cosiddetta "trattativa" tra stato e mafia. Come ne è uscito? Noi abbiamo già scritto che non c'era nulla di nuovo sulla "trattativa". La mafia che non tratta con lo Stato allora non è mafia. Poteva dire di più Napolitano ai magistrati che lo hanno interrogato e agli italiani? Qui, la cosiddetta "ragione di stato" non fa miracoli. Pur credendo che sia errato addossare i peccati degli oltre 150 anni di rapporto tra stato italiano e mafia a Napolitano, forse a venticinque anni dalla fine della Guerra Fredda, ci saremmo potuti aspettare di più anche da lui, per cercare di spiegare agli italiani anni bui della loro storia. Ma forse sarebbe stato aspettarsi troppo dallo "statista" Napolitano.

28 marzo 2011: Giorgio Napolitano parla all’Assemblea Generale dell’ONU
Chi scrive, ha molto vivi tre ricordi di Giorgio Napolitano. Uno nel dicembre del 2007, alla conferenza stampa in consolato a New York, in cui si lamentava di un articolo uscito proprio il giorno del suo arrivo nel NYT, articolo che nella rassegna stampa dovevano averglielo presentato male perché, a nostro parere, non era affatto così negativo sull'Italia già in crisi soprattuto per i suoi giovani senza lavoro, ma pur sempre pronta, secondo il Times, "alla riscossa". Allora facemmo notare al presidente che un articolo ben più grave era quello uscito lo stesso giorno sul Wall Street Journal. Napolitano apprezzò con una battuta: "Vedo che lei è più informato di me…". E quindi Napolitano ci piacque ascoltarlo quattro anni dopo, nel suo successivo intervento alla New York University, quando rispondendo ad una mitragliata di domande del Prof. J.H.H. Weiler, rispose su come l'Europa dovrebbe essere e anche sui poteri del Quirinale, dicendo che a lui tocca soprattutto di "sottolineare tutto ciò che unisce l'Italia, e non ciò che la divide… Il mio è un potere neutro che viene esercitato allo scopo di garantire la Costituzione e l'equilibrio tra i poteri". Ma soprattutto lo ricordiamo Napolitano alle Nazioni Unite, sempre in quella visita newyorchese del marzo del 2011, pronunciare un discorso che ricevette un lungo applauso dell'Assemblea Generale. Il presidente degli italiani era stato presentato dal Segretario Generale Ban Ki-moon così: "Figura storica dell'Italia del dopoguerra… per decenni una delle principali voci morali del suo paese e non solo… Un campione dei principi pubblici, del buon governo, della trasparenza e dell'onestà, la democrazia ai massimi del bene".

Il presidente Giorgio Napolitano, nel 2011 alla New York University, tra il Professor J.H.H. Weiler della School of Law e la Baronessa Mariuccia Zerilli Marim├▓, fondatrice della Casa Italiana della NYU
Se le meritava quelle lodi Giorgio Napolitano? Secondo il nostro modesto parere sì, anche se poi la storia ci dovesse dire chissà quali errori egli abbia potuto commettere nei suoi nove anni da presidente. Infatti Napolitano, almeno, non ha mai smesso di apparire all'estero come lo statista degno di rappresentare un grande paese come l'Italia. E per l'Italia che in quegli anni veniva derisa dai bunga bunga e quant'altro Silvio Berlusconi gli riusciva di combinare, riteniamo questo un aspetto altrettanto importante della sua presidenza: avere avuto sul Colle qualcuno su cui gli italiani potessero rispecchiarsi all'estero, con una immagine più consona ad un paese come l'Italia.
Quindi lo ringraziamo Giorgio Napolitano, per aver salvato agli italiani, soprattuto quelli all'estero, la faccia quando a molti veniva voglia di nasconderla. Al successore, chiediamo di fare altrettanto e riuscire a restare, nelle sue funzioni di garanzia pensate dai costituenti, quell'arbitro imparziale ma anche severo che possa aiutare invece di ostacolare la difficile e prolungata transizione della Repubblica, in modo che questa possa così tornare a servire i bisogni e proteggere i diritti degli italiani.