Alle 11.32 del 22 Febbraio 2014 ha giurato il nuovo governo della Repubblica Italiana, diretto da Matteo Renzi. Vedremo se le attese saranno coronate dai fatti. Per ora ci limitiamo a dire che è cambiato il ministro dell’Istruzione e della Ricerca, con Stefania Giannini che sostituisce Maria Chiara Carrozza, nel segno della continuità accademica.
Nel piano Renzi, per ora non si parla di ricerca, qualcosa sulla scuola, ma non di ricerca. Eppure se vogliamo far riprendere l’economia sarebbe non solo utile, ma d’obbligo parlare di ricerca e di come questa impatta sulla vita di un paese.
Il 15 Novembre 2013 William H. Press, ben noto al mondo scientifico per i suoi lavori in campo astrofisico, presidente della American Association for the Advancement of Science, pubblicava su Science un articolo dal titolo: What's So Special About Science (And How Much Should We Spend on It?). L’articolo dimostrava, se mai ce ne fosse stata la necessità, di come la Scienza entra nel reddito individuale americano, chiedendosi da dove derivasse la ricchezza che gli americani hanno. La risposta sostiene Press, viene dall’economista Sollow, premio Nobel, che dimostra come almeno la metà della ricchezza proviene da fattori noti, mentre almeno 85% della parte restante proviene dal progresso tecnologico. Continua Press: “la Tecnologia non è esattamente una forma di capitale (anche se esso è relativo al capitale umano e intellettuale), perché la tecnologia d'avanguardia non esattamente è di proprietà di qualcuno. Eppure è capace di generare un feedback positivo”.
L’articolo è dedicato prevalentemente alla ricerca di base, ma chiarisce che: “Il nostro messaggio è che la scienza è un'impresa singola, unificata, a lungo termine in cui le scoperte della scienza di base e della scienza applicata e dell'ingegneria, portano a un lavoro migliore e una vita migliore, a nuovi prodotti e nuove industrie”.
E’ un messaggio che mi sento di fare al nuovo Ministro dell’Istruzione e della Ricerca.
Ma vorrei aggiungere anche che non basta finanziare di più, bisogna anche e soprattutto razionalizzare il sistema ricerca sia esso Universitario sia degli Enti di Ricerca.
Per quanto riguarda il settore degli Enti di ricerca, che meglio conosco, avendo passato molta parte della mia vita all’interno di essi, al Consiglio Nazionale delle Ricerche, all’Agenzia Spaziale Italiana e all’Istituto di Geofisica e Vulcanologia, vorrei aggiungere alcune riflessioni.
Innanzi tutto se non sia il caso di rivedere l’organizzazione di tutti i 12 enti di ricerca dipendenti dal Ministero della Istruzione e della Ricerca (MIUR) e eventualmente ripensare al ruolo di ENEA, che dipende dal Ministero dell’Industria, e di ISPRA che dipende dal Ministero dell’ambiente, in relazione ad un quadro complessivo ed omogeneo della ricerca.
Un discorso a parte dovrebbe essere fatto sull’Agenzia Spaziale Italiana e delle sue consociate domandandosi se non sia il caso di farla diventare un ente di ricerca a tutti gli effetti, così come ha fatto la Germania che aveva una piccola agenzia, la DARA, e che è stata inglobata entro il DFVLR, un ente di ricerca del Ministero della Ricerca e della Difesa Tedesca, facendola diventare DLR, ora il secondo centro di ricerca Spaziale europeo dopo il CNES francese. Dei restanti 11 Enti di ricerca solo 4 hanno dimensioni accettabili, il CNR, l’INAF, l’INGV, l’INFN, gli altri sono piccoli o piccolissimi e quindi inadatti a competere con gli analoghi istituti europei, ancorché vi siano degli eccellenti ricercatori.
La razionalizzazione del comparto della ricerca (Università ed enti di Ricerca) permetterebbe d’attirare le risorse dell’Unione Europea cui anche noi contribuiamo. Un esempio per tutti. Il 14 gennaio l’European Research Council annunciava con un comunicato stampa l’assegnazione di 312 ERC Consolidator Grants 2013. Si trattava di fondi di ricerca attribuiti a scienziati nel pieno della loro carriera per progetti piuttosto onerosi. Un finanziamento massimo di 2,75 milioni di euro, per una media di 1,84 mln. Un totale di 575 milioni di euro di finanziamento.
Ebbene gli scienziati italiani (46) sono risultati secondi per numero di grant ricevuti, subito dopo la Germania (48) e di gran lunga superiori a Francia (33) e Gran Bretagna (31). Tuttavia leggendo la distribuzione dei fondi, più della metà dei fondi ottenuti dagli italiani era per italiani che lavorano all’estero (26). Questo è indicativo della bassa efficienza del sistema italiano.
Caro ministro non sarebbe meglio avere un sistema efficiente e capace di trattenere i nostri ricercatori, visto che sono in grado ottenere risorse, ma lavorando all’estero?
Quindi la prima azione del suo Ministero deve iniziare dalla Ricerca e dalla Università, se vogliamo che il nostro sistema economico torni a crescere.
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