Tom Stoppard, il poliedrico artista inglese, sceneggiatore, scrittore, regista e drammaturgo, nato in Cecoslovacchia nel ’37 da una famiglia ebrea, giornalista dall’età di diciassette anni impegnato nella critica teatrale, premiato nel ’91 con il Leone d’Oro a Venezia per il miglior film “Rosencratz e Guildenstern sono morti”, nonché premio Oscar nel ‘99 per la migliore sceneggiatura originale del film “Shakespeare in Love”, da anni è pubblicamente schierato in difesa dei diritti umani per gli artisti del Belarus Free Theatre, perseguitati ed imprigionati nel loro paese, la Bielorussia, ultima dittatura ancora esistente in Europa.
La città solidale e attenta accoglie l’artista e i teatranti bielorussi giunti al teatro India, quartiere Ostiense, alla presenza del direttore artistico del Teatro di Roma, Gabriele Lavia, in una sorta di incontro didattico con gli allievi dell’Accademia d’Arte Drammatica Silvio D’Amico.
Racconta Natalia Kaliada, produttrice e fondatrice insieme al giornalista e drammaturgo Nikolai Khalezin e al regista Vladimir Shcherban, della talentuosa compagnia teatrale, nata a Minsk sette anni orsono, che negli ultimi quindici mesi non hanno potuto fare molto teatro nel loro paese, per quello che sta accadendo politicamente da quando, nel 2010, è stato rieletto presidente della Repubblica il dittatore Alexander Lukashenko e molte persone sono state imprigionate, anche gente di loro conoscenza, non solo artisti, per cui è divenuto quasi insostenibile umanamente continuare a fare teatro come se nulla fosse. Si dichiara molto contenta di avere incontrato qui gli studenti dell’Accademia, perché è interessante “poter condividere il nostro lavoro con loro”, dice, ritenendosi soddisfatta come artista, con i suoi compagni, di aver portato l’attenzione sulla problematica di ciò che avviene in Bielorussia, anche perché, sostiene, gli artisti ovviamente possono fare qualcosa che altri lì non possono fare. Tom Stoppard dichiara apertamente che, rivelando la felicità di essere insieme con i suoi amici, ha praticamente esaurito la sua ragione di essere qui, appunto dicendolo, ma è fin troppo consapevole di quanto sia importante sensibilizzare incessantemente l’opinione pubblica sul rispetto dei diritti umani, ovunque e sempre.
Su quale aspetto è necessario porre l’accento nel caso specifico?
«Ritengo che bisogna prestare attenzione alle varie modalità con cui si può fare teatro, non è effettivamente un’equazione matematica, ed è anche un complimento il fatto che venga prestata così tanta attenzione al teatro, quindi dobbiamo anche ringraziare per questo. Nel caso presente questa compagnia si trova nella condizione non solo di aver bisogno, di essere in grado di avere l’attenzione necessaria richiesta, data la situazione in cui è costretta ad operare. Io mi ritengo fortunato perché nessuno mi deve dare il permesso per scrivere, ritengo che ci debba essere molta gratitudine sia nei confronti del Teatro India, ma anche a “Le Vie dei Festival” che hanno portato questa compagnia bielorussa in Italia. Tuttavia non sono venuto qui per fare un monologo».
Come intendono agire in questo contesto?
«La Bielorussia è l’ultima forma di dittatura ancora esistente in Europa, loro sono stati costretti a lasciare il paese in forma clandestina, quindici mesi fa, vorrebbero tanto rientrare, sotto certi aspetti, ma non possono perché è difficile e pericoloso e allora quello che possono fare, comunque, è mantenere i contatti con il resto della compagnia che ancora è presente lì e praticamente fare tutto attraverso Skype, per riuscire a lavorare, seppure in questo modo».
Cosa significa per questi artisti incontrare oggi la stampa e altri media?
«Sono soddisfatti e rincuorati che ci siano dei giornalisti perché chiaramente questo è un modo di portare all’attenzione del mondo quello che sta succedendo nel loro paese, sono molto fieri anche di avere, negli anni passati, dato vita ad un manifesto che è stato firmato, tra gli altri, anche da Vaclav Havel e questo per loro è stato di grande importanza, perché era chiaramente una persona che poteva, a che se gravemente malata, condividere insieme a loro il pensiero, sottoscrivendo il loro manifesto, mettendo la sua presenza politica a loro favore. Oltre ad Havel sono scesi in campo anche altri noti artisti: il premio Nobel 2008 Harold Pinter, Mark Ravenhill, Arthur Kopit, Kevin Spacey, Jude Law, Mick Jagger, Ariane Mnouchkine».
Su quali progetti sta attualmente lavorando il Belarus Free Theatre?
«Posso dire che, per la prima volta, tratteranno un pezzo classico, il “King Lear”, sarà presentato in anteprima a Londra, durante il Festival Globe to Globe, dedicato ai giochi olimpici».
In che modo lei sta cercando di sostenere la causa della compagnia?
«La prima cosa che voglio dire è che io non scrivo per loro, tengo a precisare che quello che faccio è di presentarli in occasioni come questa in Italia, in realtà mi sto rendendo conto di quanto siano migliori di me, per certi aspetti. Ormai sono sette anni che li conosco, questo è uno dei modi in cui sostengo il Belarus Free Theatre, vado di persona e supporto il loro caso. Ci sono due cose fondamentali: da un lato c’è un gruppo di artisti e dall’altro c’è la situazione politica in Bielorussia, io cerco di portare l’attenzione su entrambe queste cose, chiaramente cercando di sensibilizzare l’opinione pubblica su questa forma di dittatura che esiste lì, ma soprattutto una cosa che per me è fondamentale è che non bisogna fare del vittimismo per questi artisti perché non ne hanno bisogno, loro sono degli artisti validi di per sé, indipendentemente dalla situazione nella quale sono costretti ad operare. La cosa fondamentale nel breve periodo è l’importanza che i media danno a quanto sta succedendo, però ancora più importante è quello che possono fare nel lungo termine, perciò è determinante la presenza di artisti conosciuti e apprezzati nel mondo. Loro dimostrano di stimare moltissimo il mio interessamento perché ritengono che io sia l’unico artista andato personalmente in Bielorussia a confrontarsi con una realtà , a cercare di fare qualcosa, incontrando le persone che erano state imprigionate».
Come è cambiata, rispetto a sette anni fa, l’azione del potere nei loro confronti?
«Prima li ignoravano, ma, da quando hannon no cominciato ad attirare un po’ di attenzione, c’è una posizione molto aggressiva nei loro confronti, è proprio per questo che una parte del gruppo non può tornare in Bielorussia, perché sarebbe perseguita penalmente. I media mondiali li hanno salvati fino all’elezione del dicembre 2010, ma dopo le ultime presidenziali la situazione è drasticamente cambiata, il paese si è chiuso e non bada così tanto a come è visto all’estero, si è verificato un ritorno alla politica sovietica nel trattenere le persone, tanti attivisti dell’opposizione non possono neanche uscire dalla Bielorussia, cosa che non era più avvenuta dai tempi sovietici».
Cosa teme il potere di Lukashenko?
«L’unica possibilità di fare pressione al governo, alla dittatura, sono le sanzioni economiche, però evocare delle sanzioni economiche è un reato penale in Russia e loro che lo fanno, saranno perseguiti anche per questo, perché chiedono che vengano introdotte tali sanzioni».
Che cosa apprezza maggiormente nel loro modo di fare teatro?
«Mi piace come svestono le cose fino all’essenza, nella loro drammaturgia non c’è nessun ornamento, che di regola maschera l’essenza delle cose. Ripeto ancora una volta che quello che ho visto a Minsk è molto vicino al teatro della verità, alle sue origini, al suo vero obiettivo».