Durante il mandato del Presidente messicano Andrés Manuel López Obrador 30 giornalisti sono stati vittima della criminalità messicana. Dall’inizio dell’anno 8 giornalisti sono stati uccisi per il loro attivismo contro il crimine dilagante nello Stato, circa uno ogni settimana; le autorità non sono in grado di proteggere i loro cittadini e sono sempre più complici delle organizzazioni criminali.
L’ultimo giornalista ucciso, Armando Linares, è stato assassinato martedì a Zitácuaro, nello stato di Michoacán, secondo l’ufficio del procuratore statale. L’attacco ha avuto luogo martedì sera (ora locale) presso la sua abitazione. Il giornalista, direttore del giornale online Monitor Michoacán, aveva già denunciato le minacce ricevute in seguito all’assassinio di Roberto Toledo, un collaboratore regolare dello stesso media ucciso a gennaio. Linares è ad oggi l’ottavo giornalista ad essere vittima della criminalità organizzata in Messico.
Anche prima di quest’anno, il Messico era uno dei paesi più pericolosi al mondo per i giornalisti, con almeno sette reporter uccisi nel 2021 e 15 attualmente dichiarati scomparsi. L’amministrazione del Presidente López Obrador ha ampliato il programma di protezione della stampa nel Paese, ma i gruppi per i diritti e i giornalisti affermano che i criminali possono ancora commettere gravi crimini senza nessuna ripercussione.
Una delle aggressioni più recenti risale alla mattina del 26 gennaio, quando degli assalitori armati hanno aperto il fuoco contro Josè Ignacio Santiago Martínez, il direttore di Pluma Digital Noticias, mentre guidava lungo l’autostrada Yosonicaje-Tlaxiaco nel sud dello stato di Oaxaca. All’indomani dell’aggressione, il Difensore Civico dei diritti umani del popolo di Oaxaca (Defensoría de los Derechos Humanos del Pueblo de Oaxaca) ha comunicato in una conferenza stampa che Martinez è sopravvissuto. La scorta assegnatagli grazie al Meccanismo di Protezione per i Difensori dei Diritti Umani e per i Giornalisti è riuscita ad evitare il peggio. Tuttavia, molto spesso le cose in Messico seguono una strada diversa.
Il 17 gennaio il fotoreporter Margarito Martines è stato colpito e ucciso con un’arma da fuoco fuori dalla sua abitazione nella città di Tijuana mentre fotografava alcune scene del crimine. Anche lui, come Martinez, aveva chiesto il meccanismo di protezione per i giornalisti, ma questa volta non ha funzionato.
Pochi giorni dopo, il 23 gennaio, la stessa sorte è toccata a Lourdes Maldonado López, anche lui freddato fuori da casa sua a Tijuana. Nel marzo 2019 Maldonado si era recato a Città del Messico per chiedere protezione al Presidente Andres Manuel López Obrador, ma le sue richieste sono rimaste inascoltate.
Gli omicidi dei giornalisti, oltre ad indicare che i cartelli sono più vivi che mai, rappresentano l’incapacità delle autorità messicane, sempre più corrotte e sempre meno vicine alla popolazione.
Anche se in Messico il tasso di omicidi è diminuito negli ultimi due anni, complice anche la pandemia, la violenza dei cartelli non ha avuto tregua.
Il 17 febbraio a Tijuana in centinaia sono scesi in piazza per protestare contro le violenze nei confronti dei giornalisti e l’impunità riservata agli assassini. In particolare, le proteste erano rivolte contro il Presidente che, pochi giorni prima, aveva pesantemente attaccato il giornalista Loret de Mola, editorialista per la sezione in lingua spagnola del Washington Post, nome noto sia in Messico che negli Stati Uniti. De Mola aveva recentemente pubblicato un’inchiesta che indagava sulle frequentazioni del figlio del Presidente. Secondo De Mola, quest’ultimo viveva in una casa in Texas di proprietà di un dirigente di una società in affari con la compagnia petrolifera statale Petroleos Mexicanos (Pemex). L’inchiesta evidenziava il contrasto tra lo stile di vita apparentemente sfarzoso del figlio e la professata umiltà del padre.

Prima delle proteste il Presidente López Obrador aveva definito coloro che pubblicano articoli critici “teppisti, mercenari [e] venditori“. L’episodio è indice del costante deterioramento del rapporto tra istituzioni e media nel Paese. Obrador si è infatti spesso lamentato delle critiche che lo hanno investito, definendosi “il presidente più attaccato degli ultimi 100 anni“. Il suo atteggiamento non fa che incoraggiare coloro che attaccano i giornalisti in un periodo già costellato da episodi di violenza contro reporter e informatori.
Nonostante siano passati molti anni e siano stati spesi milioni di dollari dal Governo americano, la War on Drugs non è ancora vinta. Nel 2022 il territorio messicano è ancora conteso tra più di otto cartelli della droga da anni in guerra tra di loro.
Nel marzo 2019, il deputato repubblicano del Texas Chip Roy ha introdotto un disegno di legge al fine di far rientrare alcuni tra i più pericolosi cartelli messicani – tra cui il Jalisco New Generation (CJNJ), il cartello del Golfo e la fazione Cártel del Noreste dei Los Zetas – nell’elenco delle organizzazioni terroristiche straniere. Anche l’ex Presidente degli Stati Uniti Donald Trump aveva chiesto di designare i cartelli come organizzazioni terroristiche. Tuttavia, la proposta è stata scartata su richiesta del Presidente messicano.
A spiccare tra le organizzazioni criminali è il cartello di Jalisco. Dal 2018 al 2020, il CJNG ha commesso più di 298 atti di violenza tra omicidi e intimidazioni: più di qualsiasi altro cartello durante lo stesso periodo. Entro il 2020, i funzionari antidroga degli Stati Uniti hanno considerato il CJNG la “più grande minaccia criminale legata al traffico di droga” e l’ex commissario per la sicurezza del Messico ha definito il gruppo “la minaccia più urgente per la sicurezza nazionale del Messico“.
Secondo alcuni, il CJNJ negli ultimi anni si è rivolto ad organizzazioni terroristiche mediorientali per supporto tecnico e logistico, ispirandosi ad alcune tattiche di guerriglia precedentemente usate dai Taliban in Afghanistan.
Le forze di sicurezza messicane hanno osservato che nell’ultimo anno sono stati utilizzati droni e mine carichi di esplosivi dal Jalisco New Generation Cartel per uccidere poliziotti e soldati in una selvaggia campagna di omicidi. Secondo fonti delle forze dell’ordine e di sicurezza messicane, l’organizzazione criminale sta anche lavorando con “consiglieri tecnici” della jihad nel Medio Oriente.
Il Cartello utilizza tattiche sempre più feroci nel suo uso indiscriminato della forza; basti pensare che l’esercito messicano ha disinnescato 12 mine antiuomo ad inizio febbraio nei pressi di Tepalcatepec, nello stato di Michoacan, interamente controllato dal CJNG. Nella regione il CJNG è particolarmente noto per i suoi attacchi alle forze di sicurezza messicane; tra gli episodi più noti, un’imboscata nel 2015 in cui sono morti 15 agenti di polizia. Il gruppo nel 2020 è stato inoltre accusato del tentativo di assassinio del capo della polizia di Città del Messico Omar Garcia Harfuch.
Nonostante il Covid abbia ridotto le statistiche relative alla criminalità, il Messico è ancora un paese estremamente pericoloso per giornalisti e cittadini. In un momento storico in cui gli Stati Uniti tendono al disimpegno internazionale, forse maggiore attenzione dovrebbe essere rivolta verso i loro confini; la libertà di espressione ed i diritti fondamentali non sono in pericolo solo in Asia.
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