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Julian Assange, il caso è chiuso: la Gran Bretagna per l’estradizione negli USA

Il fondatore di Wikileaks ha esaurito tutti gli appelli: la giustizia britannica ha confermato la sentenza di estradizione, in America rischia 175 anni di galera

Alessandro LogroscinobyAlessandro Logroscino
L’arresto di Julian Assange e le ripercussioni sulla libertà d’informazione

L'arresto di Julian Assange a Londra nell'aprile del 2019 - YouTube

Time: 3 mins read

La giustizia britannica ha chiuso l’ultima porta alle speranze di Julian Assange di sfuggire alla vendetta americana, e ha confermato la sentenza d’appello favorevole all’estradizione oltre oceano del cofondatore di WikiLeaks, che a questo punto potrebbe essere questione di poche settimane salvo colpi di coda o sorprese procedurali clamorose. Per il 50enne attivista australiano (inseguito da oltre un decennio dalle autorità Usa per aver contribuito alla diffusione dal 2010-2011 di una montagna di file classificati sottratti agli archivi Usa, Pentagono incluso, e a svelare prove di crimini di guerra commessi tra Afghanistan e Iraq) si è trattato dell’epilogo più prevedibile.

Julian Assange – Ansa

La Corte Suprema del Regno, a cui i suoi avvocati erano stati autorizzati a rivolgersi con un’istanza da ultima chance a gennaio, si è infatti rifiutata di riesaminare il caso, liquidando come insussistenti “i punti di diritto” invocati dalla difesa per una revisione del verdetto di secondo grado: quello col quale i magistrati d’appello avevano ribaltato a dicembre il no all’estradizione opposto in prima istanza dalla giudice Vanessa Baraister sulla base delle condizioni di salute e psichiche di Assange – che ha trascorso sette anni da rifugiato nell’ambasciata dell’Ecuador a Londra e poi altri tre nel penitenziario di massima sicurezza londinese del Belmarsh in attesa di giudizio, malgrado nel frattempo fossero cadute le controverse accuse di stupro presentate in parallelo nei suoi confronti dalla magistratura svedese – e di una perizia che lo indicava a rischio di suicidio se lasciato ai rigori della giustizia statunitense. A questo punto il dossier è destinato a tornare sul tavolo di Baraister, che non potrà fare altro se non prendere atto della decisione finale e trasferire le carte al ministro dell’Interno per il necessario placet politico (scontato da parte della titolare attuale dell’Home Office nel governo di Boris Johnson, Priti Patel) all’esecuzione del contestatissimo provvedimento d’estradizione al grande alleato di Washington: entro un termine di 28 giorni che scatterà anche laddove gli avvocati difensori tentassero di rivolgersi a una Corte internazionale.

A group of people gather for a small rally in front of the building that houses the British Consulate in New York – ANSA/EPA/JUSTIN LANE

Il tutto, in barba alle denunce di sostenitori, attivisti dei diritti umani legati all’Onu e associazioni come Amnesty International o Reporters Sans Frontiers contro quella che da tempo viene additata come una forma di persecuzione, oltre che di minaccia alla libertà d’informazione in sé: tanto più se si considera che i file ‘incriminati’ di WikiLeaks furono resi pubblici attraverso alcune delle più prestigiose testate giornalistiche dell’Occidente.

In sostanza la svolta di oggi segna dunque il destino dell’ex primula rossa australiana, forse per sempre. In un contesto internazionale da nuova guerra fredda con la Russia, innescata dall’invasione dell’Ucraina ordinata da Vladimir Putin, che per una voce giudicata ormai da tempo ‘anti-occidentale’ come Assange, potrebbe rivelarsi una sorta di colpo di grazia.

A sua tutela – fra le perplessità e le proteste di chi lo difende – restano solo le rassicurazioni date dalle autorità americane alla Corte d’Appello britannica, impegnatesi sulla carta – per allontanare il timore del suicidio – a evitargli la detenzione in isolamento in un carcere duro e a prospettare una condanna inferiore al massimo.

Julian Assange (Flickr.com).

Negli Usa, dove gli si dà la caccia da oltre un decennio, Julian – che quasi come l’ultimo desiderio di un condannato a morte è stato appena autorizzato a sposarsi il 23 marzo nella prigione di Belmarsh con l’avvocato sudafricana Stella Morris, la compagna che gli ha dato due figli durante il periodo d’asilo nell’ambasciata ecuadoriana – rischia in ogni modo grosso. In teoria fino a una potenziale pena pari a 175 anni di galera, dato che gli viene imputato non solo il presunto reato di complicità nell’hackeraggio dell’archivio del Pentagono, bensì persino un’accusa di violazione della legge sullo spionaggio (l’Espionage Act del 1917): del tutto inedita nella storia americana moderna per una vicenda di diffusione di documenti riservati, o anche top secret, sui media.

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Alessandro Logroscino

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