A distanza di giorni dal deturpamento con il marchio della vernice rossa alla statua dedicata ad Indro Montanelli – intervengo anche io.
Avevo quello che in Toscana (l’Indro avrebbe capito, da toscano) si chiama il classico “rospo in gola” (ossia qualcosa che necessariamente si deve sputar fuori).
A nulla sono valse le giornate e nottate turbolente che hanno accompagnato questi ultimi giorni e che mi hanno allontanata da carta e calamaio; io sul “caso Montanelli” sentivo di dover dire qualcosa – con la consueta abitudine a non ambire a convincere alcuno.
Non sia mai.
Chi scrive lo fa sempre per sé stesso, per il proprio ego smisurato: in più di una occasione ho affermato che i giornalisti e gli scrittori appartengano al genus degli irriducibili narcisisti ed egocentrici.
Neppure Montanelli non si sottrae al cliché, figuriamoci io.

Partiamo dal presupposto notorio che la sua statua sia stata imbrattata sull’onda delle contestazioni anti razzistiche importate dagli Stati Uniti; ma partiamo altrettanto parimenti dal punto di vista (incontestabile) che negli Stati Uniti esista da sempre un problema serio con un razzismo strisciante mai risolto; in Italia la polizia non ha ammazzato nessuno (per fortuna e finora) per il colore della pelle.
Sottintendo forse (domanda retorica) che certe manifestazioni siano solo frutto di mode emulatorie importate dagli States?
Propendo per il sì.
Il danneggiamento di statue, monumenti, simulacri e quant’altro non è mai un buon indicatore della civiltà della comunità ma se si oppone – in punta di fioretto – la giustezza morale del gesto, di questioni se ne potrebbero sollevare a iosa.
Legittimiamo per estensione analogica quindi anche i talebani che hanno distrutto nel 2001 i Buddha di Bamiyan? Perché questo è il rischio nell’accettare di distruggere tutto ciò che non ci aggrada.
Danneggiare una statua eretta nel 1600 seppur ad uno schiavista è corretto?
Io rispondo di “no” per un principio che – escludendo il valore storico e molto probabilmente artistico di quell’opera – si fonda sul principio romano della perpetuatio jurisdictionis: ossia tutto vale per l’epoca e limitatamente all’epoca in cui il fatto è avvenuto.
Tentiamo di far pace con le sinapsi.
Nel 1600 la schiavitù era un fatto pacifico e socialmente accettato, economicamente considerato proficuo e giusto.
Demolire la statua di Colombo che in quanto esploratore avrebbe poi inevitabilmente aperto la via ai traffici di schiavi? Un ossimoro per qualsiasi mente pensante.
Imbrattare di rosso la statua dedicata ad Indro Montanelli – che di certo non l’avrebbe manco voluta – perché poco più di ventenne avrebbe “sposato” (con la celeberrima formula del madamato locale) una tredicenne africana abissina?
Parimenti assurdo. Indro Montanelli ebbe la ruvida sfrontatezza di raccontare semmai un fatto che nel 1937 era pienamente legittimo e ritenuto normale – con un ritardo di anni e durante una intervista in televisione e proprio perché il coraggio non gli mancava, di certo, forse il modo più corretto.
E’ pacifico che il fatto dovesse essere contestualizzato nei tempi in cui si svolse.
Il telefono azzurro era ancora lontano decenni, idem qualsiasi tipo di tutela verso i minori come la consapevolezza che tredici anni fossero pochi per essere data in sposa a chicchessia.
Montanelli si sposò con Destà in un tempo lontano dal nostro, con usi e costumi diversi e modi di pensare divergenti da quelli contemporanei.
Solo che noi (per fortuna) siamo andati avanti – fino ad arrivare alla consapevolezza che legalmente occorra una determinata età per compiere atti giuridicamente rilevanti come quello di decidere se sposarsi o meno.
Pazzesco che si ambisca a fare l’esegesi delle vite di personaggi e delle loro azioni – ex post – a distanza di anni, senza contestualizzarle nei loro tempi.
Indro Montanelli si merita d’essere ricordato per il grandioso testimone che è stato attraverso i suoi scritti, le sue cronache, i suoi pezzi giornalistici. Punto.
E forse più che una statua – si sarebbe meritato di essere ricordato con maggior rispetto senza dover essere messo sul banco degli imputati – ora – da trapassato e quando non si può più difendere.

Agli amanti degli scheletri negli armadi e dei revisionisti delle vite altrui comunque vorrei ricordare che Pablo Neruda (poeta e scrittore sensibilissimo e amatissimo vincitore addirittura di un Nobel per la letteratura) ebbe una figlia nata idrocefalica che abbandonò in quanto la sua vista lo orripilava – che Mozart fosse addirittura coprofago a tempo perso – che Martin Luther King copiò pari pari la propria tesi di laurea – che Roosevelt fosse (prima di essere colpito dalla grave malattia che lo portò alla morte) un assatanato sessuomane.
Ecco perché io salvo l’Indro del 1937 in Abissinia ed il giornalista Montanelli dalla gambizzazione a tradimento postuma.