Un salto nel tempo di quasi vent’anni: è il marzo del 2001. Due statue vengono distrutte, sculture considerate idolatre. Cosa sia l’idolatria è qualcosa di vago, attiene alle opinioni, ma tant’è: così viene deciso. Un dispaccio dell’agenzia “France Press” rende noto: «In base al verdetto del clero e alla decisione della Corte Suprema dell’Emirato Islamico, tutte le statue in Afghanistan devono essere distrutte. Tutte le statue del paese devono essere distrutte perché queste statue sono state in passato usate come idoli dagli infedeli. Sono ora onorate e possono tornare a essere idoli in futuro. Solo Allah l’Onnipotente merita di essere adorato, e niente o nessun altro».
Due anni prima, nel luglio del 1999, in linea con una consolidata tradizione islamica che non distrugge le testimonianze archeologiche del passato fossero anche “idolatriche” come i monumenti della Mesopotamia, della Siria o dell’Egitto antichi, il mullah Mohammed Omar aveva emanato un decreto in favore della conservazione dei due Buddha di Bamiyan. Trova un escamotage, il mullah: la popolazione di fede buddista in Afghanistan non esiste più da tempo; impossibile dunque che le statue possano essere oggetto di culto infedele. Il mullah dichiara: “Il governo considera le statue di Bamiyan un esempio di una potenziale grande risorsa turistica per l’Afghanistan, quindi dichiara che il sito di Bamiyan non dovrà essere distrutto ma protetto”.
Non basta per mettere al riparo i due Buddha dalla furia iconoclasta dei Talebani. E’ noto che contro fanatismo e ignoranza non c’è forza di ragione che possa prevalere.
Curioso, tuttavia, che nel deprecare la furia con cui negli Stati Uniti e in altre parti del mondo ci si è scagliati contro certe statue “simbolo”, nessuno si sia ricordato dell’abominio consumato con i Buddha di Bamyan.
Vero è che si possono evocare altri non meno abominevoli scempi. Senza spingersi alle distruzioni della famosa biblioteca di Alessandria (più d’uno storico contesta l’autenticità delle versioni tramandateci), si può però fare riferimento alle cosiddette Bucherverbrennugen: i roghi organizzati nel 1933 dalla Deutsche Studentenshaft (gli studenti nazisti), durante i quali si danno alle fiamme tutti i libri “colpevoli” di “corruzione giudaica della letteratura tedesca”. Un ottimo modo “per eliminare con le fiamme lo spirito maligno del passato”: parola di Joseph Goebbels.
Come si vede, sempre le stesse parole d’ordine che ritornano, le stesse “imprese” delinquenziali; gli stessi fanatismi, le stesse ignoranze…
Passi, appena finita la Seconda guerra mondiale, l’abbattimento delle statue e dei monumenti dedicati a Mussolini, Hitler, ai gerarchi fascisti e nazisti. Si può anche capire la gioia dei russi che, caduto il regime comunista, abbattono le statue come quella davanti alla famigerata Lubianka, di Felks Dzierzynski, fondatore e primo direttore della CEKA, la polizia segreta sovietica da cui poi deriva il KGB. Nell’immediato, si può comprendere. Si può capire che siano abbattute le statue di Saddam, una volta caduto il dittatore iracheno…

Ma secoli dopo? Anni fa l’attuale sindaco di New York Bill Di Blasio, vai a sapere se per convinzione o se per ingraziarsi l’elettorato ispanico, ha definito Cristoforo Colombo “una figura controversa”; c’è chi ha chiesto di non celebrare il Columbus Day; il povero Colombo descritto come “usurpatore di una terra straniera, l’Hitler del XV secolo”.
Robert E. Lee, leggendario generale confederato (il suo genio militare è fuori discussione), è “scomunicato” in quanto schiavista.
D’accordo: occorre però andare a dare una buona ripulita alla grande parete rocciosa del Mount Rushmore National Memorial: George Washington e Thomas Jefferson vanno “raschiati” al pari dei Buddha di Bamyan: erano proprietari di schiavi.
Avvertire anche il ministero del tesoro: Washington compare nelle banconote da un dollaro; Jefferson nelle monete da cinque centesimi. Naturalmente va spogliata della “sacralità” che le viene riconosciuta, la tenuta di Jefferson a Monticello, in Virginia.

Ragazzi, c’è un lungo e paziente lavoro di revisione da compiere. In Francia, per dire: all’hotel de La Ville a Parigi va rimossa la statua di Voltaire, che non ha mai nascosto il suo antisemitismo (già che ci siamo, si dovrebbe anche dare una “ripulita” al Pantheon). In Italia urge fare i conti con Nino Bixio, braccio destro di Garibaldi, finito in Indonesia, schiavista; i Savoia vanno rubricati come “colonialisti”, erroneamente sono considerati, almeno da Carlo Alberto e Vittorio Emanuele II, tra i padri dell’unità d’Italia.
Si tratta di evidenti esempi di architettura razionalista fascista; e dunque “bonificare” il quartiere romano dell’EUR, la città di Mussolini, Predappio; Latina. Abbattere buona parte dei tribunali italiani: anche loro costruiti con lo stile “imperiale” mussoliniano… Non parliamo della romana (e fascistissima) via della Conciliazione.
Grande idea, quella di ostracizzare “Gone with the Wind”, di Victor Fleming, per via della Mamie, come fa “HBO”; e pazienza se tra i tanti Oscar che vinti, uno viene dato proprio a Hattie McDaniel (“Mamie”, appunto), prima donna nera a vincerlo.
Un contributo alla causa della bonifica cinematografica: emendare “She Wore a Yellow Ribbon”: il secondo film della trilogia che John Ford dedica alla cavalleria statunitense; nel finale, il pensionando capitano Nathan Brittles (interpretato da John Wayne), viene richiamato in servizio come scout; e si inneggia, esplicitamente, al generale Lee, accostandolo a Grant e Sherman…

Di tutto ciò, si può sorridere. Il fatto è che ovunque nel mondo, una quantità di persone queste cose le fanno sul serio.
Keir Starmer, successore alla guida dei laburisti britannici Jeremy Corbin dice che ridurre la cosa delle statue a un tweet sul Colosseo o la capanna dello zio Tom, e via a ridere o a indignarsi, fa di noi sicuramente uomini bianchi anziani; poi non ci si deve lamentare se non si capisce quello che succede: le statue degli schiavisti andavano spostate da tempo dalle piazze nei musei (lui però non si dia tante arie: è bianco, e ha 57 anni, non esattamente un millenian).
Per coerenza con l’appena assunto, pena non capire, Starmer si affretti a riporre in museo le statue della regina Vittoria, “Imperatrice delle Indie”; via anche Cecil Rhodes, che campeggia a Oxford. Una “bonifica” riguarda Horatio Nelson: sostenitore della tratta degli schiavi e del colonialismo imperiale; grazie alla sua influenza nella camera dei Lord mette i bastoni tra le ruote agli abolizionisti, ritardando almeno di un decennio la messa al bando della schiavitù. Per questo motivo un anno fa un gruppo di pan-africanisti chiede di rimuovere la statua di Nelson alle Barbados.
Chi scrive, è bianco di pelle, non ha merito o colpa: così l’hanno fatto nascere; anche gli anni: sono più quelli vissuti di quelli ancora da vivere. Sarà per questo che un po’ rido di queste cronache, e un po’ me ne indigno? A dirla tutta, il “comprensivismo” di Starmer mi appare una faccia della stessa medaglia dei fanatici ignoranti che abbattono le statue.
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