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Se questo è un Presidente? No, Donald Trump non è nemmeno un uomo

Diffamare il manifestante Martin Gugino ferito dalla polizia di Buffalo, è oggi solo l'ultima della serie di provocazioni di un anti-leader che sa solo dividere

Isabella Weiss di ValbrancabyIsabella Weiss di Valbranca
Se questo è un Presidente? No, Donald Trump non è nemmeno un uomo

Trump nella caricatura di Donkey Hotey

Time: 4 mins read

In un momento in cui le teorie cospirazioniste stanno inquinando menti e web, il presidente degli Stati Uniti non ha di meglio da fare che alimentarle con un twit senza alcun fondamento o prova, accusando un 75enne di essere un pericoloso Antifa che stava cercando di bloccare le strumentazioni della polizia con il suo telefono.

Il Twit di Trump in cui sospetta Martin Gugino di essere un provocatore di Antifa

Il video del 75enne Martin Gugino ha fatto il giro del mondo: un signore anziano si avvicina ad un poliziotto a Buffalo, durante una manifestazione, mostra il suo cellulare e viene di conseguenza spintonato così forte che cadendo sbatte la testa e perde sangue copiosamente. Nessuno se lo fila più e lui rimane a terra. In seguito arriverà una ambulanza che lo porterà al pronto soccorso.  Due poliziotti verranno poi sospesi. Tutti gli si dimettono dal corpo speciale a cui appartenevano per solidarietà ai loro colleghi affermando: “Eseguivamo solo gli ordini”.

Gugino è un attivista da decenni, dice la sua famiglia. Vero è che è stato visto davanti alla city hall di Buffalo mentre parlava con alcune persone, cercando forse di agitare gli animi, vero è che spesso durante le proteste poneva domande scomode, ma da qui ad accusarlo di aver fatto finta di cadere male (quindi di essere anche uno stunt man) e di essersi ferito gravemente per mettere in atto una sceneggiata davvero ce ne vuole.

Il governatore dello Stato di New York Andrew Cuomo ha definito il twit “riprorevole e stupido”. L’avvocato di Gugino ha detto che le accuse del presidente sono “dark, dangerous e untrue”. Sul fatto che siano “untrue” e quindi non vere, potremmo anche soprassedere, ma ci vorrebbero prove concrete prima di twittare una simile accusa, soprattutto se si è il presidente degli Stati Uniti.

Sul fatto che siano “dangerous”, pericolose e “dark”, oscure, non c’è dubbio. Accusare un cittadino di terrorismo e allo stesso tempo propagare e avallare teorie complottiste, da Obamagate ad antifa, che riverberano Quanon ( già posta sotto controllo dell’FBI) è molto pericoloso. Perché manipola una parte di popolazione che crede ancora a tutto ciò che lui dice ed è pronta a sacrificare anche la razionalità e l’obiettività al sacro falò del culto personale di Trump. Un culto che si basa su una supposta “grandezza dell’America” persa, quindi da recuperare.

E quale sarebbe questa “grandezza” da recuperare? Questa grandezza si basa solo sull’economia o su altro? L’economia andava già molto bene prima di Trump e andrà bene anche senza di lui, ma a quale “grandezza” si riferisce? Perché vede l’America in declino? Davvero lui, come persona, si può porre su un piedistallo di moralità? Il Donald Trump che diceva “I grab the women by the pussy”?

President Donald Trump in the illustration by Antonella Martino

La moralità di qualcuno si giudica da una foto con la Bibbia? E quindi, dove si intravede il declino degli Stati Uniti? Nei troppi immigrati alle porte con il Messico contro i quali si deve ergere un muro? Ma senza immigrati cosa sarebbe l’America? Non sarebbe neanche nata. Ci si riferisce ad un’America dove dovrebbe regnare il “law and order” inteso come repressione di diritti civili (quelli di protestare pacificamente) con l’invio di truppe, o quello dove la polizia dovrebbe eliminare con ogni mezzo dei sospettati di qualsiasi crimine o infrazione e poi non pagarne mai alcuna conseguenza? E sul razzismo cosa ha detto Trump? Lo ha condannato duramente? Ha mai condannato i suprematisti bianchi di Charlottesville, uno dei quali ha guidato una macchina a tutta velocità nelle fila di chi protestava contro i suprematisti, uccidendo una donna? A Charlottesville, nel 2017, ci fu un rally di suprematisti bianchi, ai quali si unirono membri del KKK e di neo Nazi, con leader come David Duke e Richard Spencer. Trump descrisse le due parti (suprematisti e chi non li desiderava in città) come entrambe piene di “very fine people”.  

Disse: “You had some very bad people in that group, but you also had people that were very fine people, on both sides”. 

Diffamare Martin Gugino è oggi solo l’ultima della serie di provocazioni di un presidente che non sa fare altro che dividere, gettare benzina sul fuoco e cercare di fare gaslighting. Gettare ombre e accuse di cospirazione su tutti coloro che osano criticarlo, parlare di complotti, solo per nascondere bugie ed errori. Usare soprannomi volti a sminuire e bullizzare gli avversari, solo per cercare di delegittimarli, una tecnica più consona a bambini delle elementari che ad un presidente degli Stati Uniti. Ricordo ancora quando si chiamavano i compagni di scuola “quattrocchi” se portavano occhiali o lo storpiamento di cognomi o nomi, per cui io ero “Isabrutta” o un altro “Ernesto sparalesto”. 

Ma questo di stamattina è un twit che arriva nel giorno del funerale di George Floyd, mentre centinaia di migliaia di persone stanno sfilando per chiedere più giustizia e meno razzismo. 

Questa è la profonda riflessione che lui propone ai suoi cittadini, quello di cui davvero l’America ha urgente bisogno: cioè di sentir diffamare un 75enne caduto e feritosi gravemente dopo una spinta di un poliziotto. Possiamo parafrasare Primo Levi dicendo “questo non è un uomo”, ma soprattutto non è un Presidente perché non sa dove stia di casa la leadership. Leadership vuol dire unire, tenere insieme e al contempo offrire una visione, il più possibile condivisa da tutti, una speranza. La sua visione di “greatness” per l’America, invece, sta dimostrandosi sempre più condivisibile solo per pochi, bianchi, privilegiati e cinici,  che evidentemente non pensano che il razzismo sia un problema. 

—

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Isabella Weiss di Valbranca

Isabella Weiss di Valbranca

Isabella Weiss di Valbranca è nata a Roma, ha studiato, vissuto e lavorato in Italia, Singapore e Stati Uniti. Laureata in Giurisprudenza, è giornalista pubblicista, ha collaborato per varie testate e per Rai International. Ha conseguito il Master in Ingegneria dell'impresa all'Università Tor Vergata di Roma con 110 e lode. Attualmente residente a San Francisco, è molto attiva nella comunità italo americana e ha fatto parte del board della Leonardo Da Vinci Society.

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