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Donald Trump usa l’alibi coronavirus per assassinare il sogno americano

Il Presidente affida a un suo tweet l'annuncio che anche l'immigrazione legale negli Stati Uniti verrà bloccata per "proteggere i posti di lavoro"

Stefano VaccarabyStefano Vaccara
Perché Trump, sull’immigrazione, ha ragione (con buona pace degli hipster)

Donald Trump (by Antonio Giambanco/VNY).

Time: 4 mins read

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“Alla luce dell’attacco dal Nemico Invisibile e per proteggere i posti di lavoro dei nostri Grandi Cittadini Americani, firmerò un Ordine Esecutivo per sospendere temporaneamente l’immigrazione negli Stati Uniti!”.

Così, Donald Trump, con un tweet nella tarda sera di lunedì, decide di sparare al sogno americano per uccidere l’idea stessa d’America. Per questo suo tentato assassinio non si degna neanche di sparare la notizia durante la giornaliera conferenza stampa, anzi meglio chiamarlo comizio elettorale che ormai tiene alla Casa Bianca insultando quei giornalisti che si permettono di fargli le domande vere invece di inginocchiarsi al presidente e accettare che lui ha sempre ragione perché  “fa tutto giusto”. No, per l’ultimo suo delitto Trump ancora una volta preme il grilletto di twitter, in modo da non essere poi il bersaglio delle domande “fake” (macché, le domande sono vere, false sono le risposte!) dei giornalisti . Spara Trump da quell’arma di comunicazione di massa che raggiunge quell’elettorato sensibile alla sua propaganda più efficace.

Non aveva avuto bisogno del coronavirus Trump per cominciare a sognare di poter uccidere il sogno americano. Lo fece già con i suoi decreti anti immigrazione appena entrato alla Casa Bianca che colpivano i musulmani, praticamente facendoli diventare tutti sospetti terroristi. Poi lo scorso gennaio l’occasione ghiotta, questa sì grazie al coronavirus, di bloccare i voli dalla Cina. A marzo ecco la chiusura degli USA ai voli con cittadini dall’Unione Europea, anche se ancora non poteva farlo con i titolari di Green Card (residenza legale con permesso di lavoro) perché sicuramente le aziende dove questi cittadini europei lavoravano gli si sarebbero rivoltate contro. Infine Trump non vedeva l’ora di chiudere il confine con Canada e Messico, mossa perfettamente riuscita per preparare, ora, l’annuncio più importante sempre via twitter: niente più immigrati, zero, anche quelli legali resteranno fuori dagli USA, finalmente il muro si alza per tutti gli stranieri! 

donald trump
Un’immagine delle prime proteste a New York contro Donald Trump subito dopo la sua entrata alla Casa Bianca (Foto VNY)

Così per la sua campagna elettorale, unica cosa che veramente interessa a Trump in questo momento,  il peggior presidente della storia americana accelera sul suo pedale preferito della propaganda elettorale, la xenofobia. Già la paura e l’odio per lo straniero, un virus contagiosissimo tra quelle classi di fasce sociali che hanno perso o hanno paura di perdere il posto di lavoro, ma che in realtà non è messo in pericolo dagli immigrati ma è stato reso obsoleto da quell’economia globale di cui lo stesso Trump, con i suoi alberghi fino a quelle bruttissime sue cravatte made in China, è stato grande profittatore.

Trump annuncia armato di twitter di “proteggere i posti di lavoro”, un ritorno alla retorica da “Make America Great Again”.  Ma la perdita record dei posti di lavoro nelle ultime settimane, arrivata a numeri che ricordano ormai la Grande Depressione del ’29, non c’entra nulla con l’immigrazione illegale o legale che sia: è stata causata dal lockdown necessario a fermare una pandemia che Trump ha colpevolmente ritardato a capire con conseguenze gravissime.

Trump, ormai in piena campagna elettorale e spaventato dalle conseguenze che la sua fallimentare preparazione al coronavirus stanno causando ai suoi indici di gradimento, preso dal panico per un Joe Biden nei poll a 6-7 punti di distacco, cambia lo slogan elettorale, trasformandolo dal “muro” per tenere fuori i poveri emigranti illegali, alla cacciata dell’ immigrato legale. All’americano da cui Trump cerca il voto,  manda il messaggio che non solo riavrà il suo posto di lavoro, ma non si contaminerà più col “nemico invisibile” importato dallo straniero….

Il Presidente Donald J. Trump alla Casa Bianca durante una delle conferenze stampa per la pandemia COVID-19. (Official White House Photo by Tia Dufour).

Che irriconoscibile è l’America che il peggior presidente della sua storia sta plasmando a sua immagine e somiglianza. Ma non è ancora troppo tardi, i milioni di cittadini elettori che lo detestano proprio perché hanno sempre percepito Trump come il nemico-in-chief dei più sani valori americani, possono ancora cacciarlo via a novembre. Ma se i “trump haters” (gli odiatori di Trump) falliranno non riunendosi compatti attorno a Joe Biden, allora gli USA col suo secondo mandato si specchieranno in Trump, e con la sua resurrezione del “nativismo” diventeranno una nazione chiusa, egoista, grezza, razzista, xenofoba, ignorante!

Trump ha bruciato a colpi di twitter tutta quell’attrattiva di ideali una volta contagiosi e che avevano fatto degli Stati Uniti la più desiderata meta per l’emigrante in cerca di riscatto. A novembre non si sceglierà più solo un presidente: se rivincerà Trump, quell’ideale d’America che ha attratto l’immaginario di generazioni di popoli, morirà col suo trionfo. Trump è l’assassino del sogno americano e la sua vittoria sarebbe la sentenza di condanna a morte dell’idea d’America. 

 

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Stefano Vaccara

Stefano Vaccara

Sono nato e cresciuto in Sicilia, la chiave di tutto secondo un romantico tedesco. Infanzia rincorrendo un pallone dai Salesiani e liceo a Palermo, laurea a Siena, master a Boston. L'incontro col giornalismo avviene in America, per Il Giornale di Montanelli, poi tanti anni ad America Oggi e il mio weekly USItalia. Vivo a New York con la mia famiglia americana e dal Palazzo di Vetro ho raccontato l’ONU per Radio Radicale. Amo insegnare: prima downtown, alla New School, ora nel Bronx, al Lehman College della CUNY. Alle verità comode non ci credo e così ho scritto Carlos Marcello: The Man Behind the JFK Assassination (Enigma Books 2013 e 2015). Ho fondato e dirigo La VOCE di New York, convinto che la chiave di tutto sia l’incontro fra "liberty & beauty" e con cui ho vinto il Premio Amerigo 2018.

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