Rassegniamoci: le “fake news” sono sempre esistite e sempre esisteranno. Un tempo si chiamavano semplicemente “bugie”. Poi, con l’avvento della stampa e dei mezzi di comunicazione di massa abbiamo scoperto le “disinformazioni” e i “falsi documentali” per lo più a fini politici. Tragicamente celebri, per esempio, sono i presunti Protocolli dei Savi di Sion, inventati di sana pianta dai servizi segreti dello Zar per giustificare pogrom e caccia agli ebrei e che ora, in Italia, un improvvido parlamentare del Movimento 5 Stelle ha nuovamente tirato fuori. Molti secoli prima, comunque, c’era stata la “furbata” di Ulisse con il Cavallo di Troia. Adesso, nell’era di internet e del suo linguaggio spesso volgare o comunque non interessato al politically correct e alla buona educazione linguistica siamo arrivati alle “bufale”. Ci sono poi le “frodi”, in tanti settori: da quello finanziario a quello agroalimentare. Insomma, forse si possono sintetizzare tutte chiamandole con il termine inglese che sta prevalendo internazionalmente: “fake news” appunto.
Accertato il dato di fatto, e cioè che ci sarà sempre chi cercherà di venderci bugie – tanto per dire: ci sono hacker, maschi e femmine, che sui social e non solo ne hanno fatto una lucrosa professione – la domanda è: c’è qualche modo per tentare di difendersi, soprattutto in questa epoca in cui la rivoluzione digitale sta radicalmente cambiando lo spazio informativo in cui viviamo?
La risposta è: sì, con due sistemi.
Il primo è semplicissimo: far ragionare il proprio cervello e il buon senso. Ovvero: prima di cliccare e contribuire a diffondere una notizia che in Rete ci ha indignato o entusiasmato, pensiamoci due volte, informiamoci, ascoltiamo altre voci.
Ed ecco, quindi, il secondo sistema: attivare seri professionisti della comunicazione, organizzare sistemi e parametri che certifichino la correttezza delle informazioni. Difficile? Certo! Ma è possibile. Se le bugie oggi corrono soprattutto in Rete, allora si possono contrastare o almeno attenuare usando soprattutto lo stesso mezzo: costruendo una rete tra addetti ai lavori, allargandola e coinvolgendo il mondo della scuola, dell’università, delle professioni e delle forze dell’ordine.
È questo il messaggio emerso chiaramente dall’interessantissimo e affollatissimo convegno svoltosi qualche giorno fa a Roma, nella sede del CNEL, il Consiglio Nazionale dell’Economia e del Lavoro. A Villa Lubin, bello e storico edificio di inizio Novecento all’interno di Villa Borghese, si sono radunati alcuni tra i principali esperti del settore. Il compito che dovevano svolgere era stimolante, a partire dal titolo dei lavori: «Vero o falso? Promuovere i luoghi affidabili del web, combattere le fake news. Fare rete per bonificare la Rete».
L’incontro è stato organizzato dall’associazione Qualitynews Italia che ha come obiettivo statutario il «promuovere la cultura della qualità dell’informazione su web e la diffusione di luoghi della comunicazione affidabili». Che l’appuntamento sia stato importante lo conferma non soltanto il patrocinio dato dal Senato e da Confassociazioni, organismo che raggruppa le rappresentanze delle professioni non organizzate in ordini e collegi, ma anche la partecipazione di media partners qualificati: dall’agenzia Adnkronos a RQL Network che raggruppa 60 testate locali online), da Radioinblu emittente della Conferenza episcopale italiana a cui fanno capo più di 100 radio sul territorio nazionale, ai portali affaritaliani.it e tribunapoliticaweb.it. E a questo giornale online, La Voce di New York, di cui al momento di collegarsi via Skype con il direttore Stefano Vaccara, è stata ricordata la recente assegnazione del prestigioso Premio Amerigo. E non a caso a Vaccara, che parlava dalla redazione all’interno delle Nazioni Unite, è stato chiesto di spiegare come, nel Paese emblema della democrazia e della libertà d’espressione, il Primo Emendamento della Costituzione possa tutelare dalle fake news, soprattutto in questo periodo in cui proprio l’attuale inquilino della Casa Bianca fa massiccio, personalissimo e non sempre (diciamo così) corretto ricorso ai social, Twitter in particolare.
Interventi tutti stimolanti, impossibile dire di tutti (qui il link con i video di tutti gli interventi dei relatori). Più importante è forse arrivare subito alle conclusioni, riferendo delle quattro proposte che, a sintesi dei numerosi interventi, ha avanzato Dario Tiengo, il presidente di Quality News Italia. «Non vogliamo fare una battaglia contro» ha premesso «ma tentare di dare una risposta positiva». Da qui, le proposte. Che sono:
1) La definizione di un percorso per inserire nell’insegnamento scolastico dell’educazione civica anche l’educazione all’individuazione e alla valutazione delle fonti. 2) La definizione di un marchio di qualità alle testate online che hanno caratteristiche di affidabilità e trasparenza. Per quanto riguarda le singole news, investire su coniugazione tra blockchain e fattore umano. 3) Rivedere i criteri di finanziamento all’editoria, inserendo testate on line che rispondano a criteri di affidabilità e verifica delle informazioni. 4) «Fare rete per bonificare la rete» per verificare informazioni. A questo riguardo la proposta è di costruire i comitati di “fake news hunters” rivolgendosi soprattutto ai giovani.
Progetto che, nel suo complesso, è sicuramente non facile. Perché, come ha detto Angelo Deiana, presidente di Confassociazioni: «La quantità di notizie e soprattutto la velocità crescente di diffusione generata dai social rendono veramente complesso anche per i più esperti trovare “il punto d’ombra” di una fake news. Si può comunque partire, “scremando” la Rete e andando a verificare la correttezza delle informazioni nei tre campi dove le bugie corrono di più: finanza, salute e sesso».
In effetti è in questi settori che operano massicciamente, praticamente in regime di «semi-monopolio, i cosiddetti over-the-tops che hanno la possibilità di filtrare in modo abusivo le notizie circolanti in rete» come ha spiegato il professor Giorgio De Michelis dell’Università degli Studi Milano-Bicocca. Che, peraltro, ha giustamente ricordato il lato buono della medaglia: è indubbio che se la democratizzazione dell’informazione apre varchi immensi alla diffusione di notizie false, dall’altra parte è anche giusto sottolineare che, appunto, l’informazione si va comunque sempre più democratizzando. E il merito è anche paradossalmente della stessa Rete, che permette nascita e diffusione di giornali online, di siti, di blog. Il tutto a costi un tempo impensabili.
Insomma: ai mali c’è – quasi sempre – un rimedio. Basta volerlo.