Una newsroom no-profit a New York, che produce notizie che altri non producono e che scrive storie nell’interesse del pubblico. Da undici anni, ProPublica è faro silenzioso e credibile a difesa della democrazia e del giornalismo investigativo, in tutta America. E in un giorno come il World Press Freedom Day, rappresenta un esempio da seguire.

Correva l’anno 2007. A New York a ricoprire la carica di sindaco è ancora Michael Bloomberg, mentre presidente degli Stati Uniti è George W. Bush. Un altro mondo, rispetto a quello di oggi. Proprio a New York, in quei mesi di transizione che avrebbero portato all’elezione del primo presidente afro-americano della storia degli USA, Barack Obama, ProPublica inizia a muovere i suoi primi passi. Grazie a una donazione di 10 milioni di dollari all’anno, Herbert e Marion Sandler, ex chief executives della Golden West Financial Corporation e ricca coppia di donatori Democratici in pensione, decidono di intraprendere una nuova avventura: destinare parte dei propri risparmi personali al giornalismo libero e indipendente, e investire sul peso e sul ruolo dei giornalisti nel mondo attraverso un’organizzazione no-profit capace di scavare oltre la superficialità dei fatti. Il team iniziale di ProPublica è composto da 28 persone, tra reporter ed editor. Oltre a questi, vengono assunti 12 giornalisti professionisti, scelti in qualità di consulenti nella creazione di un advisory board a supporto della redazione. Il direttore nel 2007 è l’ex Managing Editor del The Wall Street Journal Paul Steiger, ruolo che ricopre fino al 2012. Dal 2013, Steiger diventerà Executive Chairman dell’organizzazione.

Da quel 2007, di fatti se ne sono susseguiti parecchi. Bloomberg non è più sindaco di New York e oggi è diventato Presidente un candidato impensabile, undici anni fa: Donald Trump. Undici anni in cui la storia del mondo e degli Stati Uniti è cambiata, e durante i quali la crescita di ProPublica è stata costante. Oggi l’organizzazione può contare su circa 75 dipendenti, ha aperto una seconda sede a Chicago, Illinois, e ha lavorato per la costruzione di un network di local reporting, da cui emergono fatti e verità altrimenti destinate a rimanere nell’ombra, dai piccoli centri degli Stati Uniti. L’organizzazione è partner di più di 90 differenti organizzazioni, con cui lavora fianco a fianco ogni giorno nella realizzazione di storie condivise, e ha annunciato nel 2015 una partnership con Yelp. Negli ultimi nove anni ha vinto quattro Premi Pulitzer, primo giornale no-profit online nella storia del giornalismo statunitense a riuscirci: nel 2010 con la storia “The Deadly Choices At Memorial” di Sheri Fink, nel 2011 grazie alla serie “The Wall Street Money Machine” a cura di Jesse Eisinger e Jae Bernstein, nel 2016 con l’inchiesta “Machine Bias” in collaborazione con The Marshall Project e nel 2017 per una serie di inchieste sull’uso della “eviction rule” da parte della New York City Police Department.

La vision di ProPublica è quella di migliorare la qualità della vita negli Stati Uniti e dei suoi cittadini, attraverso la produzione di storie capaci di svelare ingiustizie e scandali. La mission quotidiana, invece, è di permettere al proprio staff di reporter ed editor, in tempi di crisi e di tagli al personale nel mondo dell’editoria, di focalizzare la propria attenzione solo ed esclusivamente al giornalismo d’inchiesta. Nessun doppia mansione, nessun doppio ruolo. Nessuna breaking news, nessuna cronaca. Solo inchieste e approfondimenti. Ogni giornalista, reporter o editor che sia, viene pagato e assunto per le capacità che ha dimostrato di saper avere. E gli viene richiesto di focalizzarsi sulle proprie indagini ogni giorno, tutto il giorno. Il direttore di oggi è Stephen Engelberg, tra i managing editor di ProPublica nel quinquennio 2008-2012, con un passato al The Oregonian a Portland e al New York Times per diciotto anni. Engelberg dirige il giornale dall’1 gennaio 2013, prendendo il posto di Steiger, affiancato dal presidente Richard Tofel e dal Managing Editor Robin Fields, per nove anni al Los Angeles Times, fino al 2008.
Negli anni, ProPublica si è fatta notare sempre di più dal pubblico e ha costruito la propria credibilità per l’accuratezza delle sue storie, attraverso le quali sono stati scoperchiati scandali e verità. Ma è diventata un’organizzazione giornalistica sempre più apprezzata, grazie anche alla sua capacità di rompere il ciclo tradizionale della notizia. Quanto viene pubblicato dall’organizzazione è infatti aperto a tutti e ri-utilizzabile gratuitamente sul web. E le storie pubblicate dal team di giornalisti sono spesso basate su database multimediali, archiviati in una specifica sezione del sito, in cui reporter ed editor lavorano fianco a fianco con data-journalist esperti di dati, specializzati nella realizzazione di grafici e app.

Nel corso degli undici anni di storia, ovviamente non sono mancate le critiche. Può un’organizzazione no-profit fondata e finanziata da due donatori Democratici essere davvero indipendente e sopra le parti? La domanda è stata fatta più volte. Tra i primi a porla, il Capital Research Center, l’organizzazione conservatrice che nel 2011 accusò ProPublica in un documento di sei pagine (e, in realtà, con poche prove a suo sostegno) di essere di parte, e di non aver coperto volutamente alcune storie che coinvolgevano associazioni democratiche. Tra gli ultimi a criticare ProPublica, invece, l’ex portavoce di Donald Trump alla Casa Bianca Sean Spicer, che definì l’organizzazione “un blog di sinistra” e a cui ProPublica rispose in modo puntiglioso e deciso sui social media.
Ma non solo Capital Research Center e Sean Spice. La domanda sull’effettiva capacità dell’organizzazione di essere libera e indipendente, in realtà, è stata posta prima di tutti ai due fondatori Herbert e Marion Sandler, proprio dal giornalista che ne sarebbe diventato direttore: Paul Steiger. “Quando ci incontrammo la prima volta”, raccontò lo stesso Steiger a Newshour with Jim Lehrer, “dissi ai Sandler: ‘Poniamo di aver fatto una scoperta su alcune organizzazioni di sinistra che avete sostenuto in passato o che siano amiche di quelle che avete sostenuto in passato: mi lascerete lavorare?’. Mi dissero: ‘Sì nessun problema’. Decisi di credergli”. E in effetti, la qualità delle storie e la profondità delle indagini, l’accuratezza dei particolari e il ferreo rispetto del codice deontologico, dimostrati da ProPublica e dai suoi giornalisti negli anni, sembrano aver dato ragione a Steiger. E a un’organizzazione che ha fatto della credibilità il suo biglietto da visita in tutto il mondo, così come dell’organizzazione del lavoro il modus operandi per produrre giornalismo di estrema qualità negli Stati Uniti. Sia in ambito nazionale, sia in ambito locale. E sempre con lo stesso obiettivo: scavare là dove nessuno avrebbe pensato di scavare, per portare in superficie scandali altrimenti finiti nel dimenticatoio. Anche questa storia, in un giorno in cui si celebra il giornalismo libero e indipendente, va proprio raccontata.