Andate a Parigi: o anche, se capita, a Lione, Marsiglia, Bordeaux, al Mont Saint Michel… C’è tanto da vedere, in Francia. Non ha la bellezza italiana, ma insomma: si difendono, e pazienza che ci sono anche i francesi, con la loro prosopopea, la loro altezzosità, il loro sentirsi e atteggiarsi l’ombelico del mondo. In fin dei conti ci hanno pur regalato Victor Hugo e Stendhal; Emile Zola e Gustav Flaubert, la Chanson de Roland, e l’ Encyclopédie di Denis Diderot e Jean Baptiste d’Alambert…; e anche molto buon cinema, anni ’50-’60-’70. Ci regalano, i “cugini” d’Oltralpe, anche un settimanale che, puntuale, ogni mercoledì esce dal 10 settembre 1915, fondatori Maurice e Jeanne Maréchal, e Henri-Paul Deyvaux-Gassier. E’ una sorta di istituzione, questo settimanale che per motto ha quello di “dire quello che gli altri non dicono”. Si chiama Le Canard Enchainé, ma basta dire Canard, ovviamente: capiscono tutti: dall’alto delle sue 400mila copie vendute, dai suoi oltre due milioni di utili, dal suo non avere una riga di pubblicità, dall’attaccare la destra con la stessa intensità con cui attacca la sinistra; dall’essere, infine, una cooperativa dove dal giornalista al tipografo, uguali doveri e diritti, Le Canard, su permette di guardare dall’alto in basso un po’ tutti, si chiamino De Gaulle, Giscard, Mitterrand, Sarkozy, e figuriamoci Hollande. Altro che “anatra incatenata”, come dice il nome: ti azzanna e dilania, come e quanto vuole.
Cento anni di morsi, e ancora non si stanca. Hanno provato in tanti, a imitarlo, nessuno ci riesce ancora. Ogni volta lo sfoglio e lo guardo con un divertimento mescolato da una punta di malinconia. Al Canard, per molti anni lavora il mio geniale amico che non c’è più: Pino Zac; credo sia stato l’unico disegnatore italiano di quel settimanale. Per inciso: devo a lui se per alcuni anni, giornalista che vive di occasionali collaborazioni, ottengo una retribuzione fissa e continuativa dal Canard. Le cose sono andate così. Una mattina uno degli editorialisti di punta, Bernard Thomas, spulciando la “mazzetta” dei giornali stranieri, legge un mio articolo ospitato sul Corriere della Sera. Racconto la storia di un dissidente russo, Jiri Kukk, rinchiuso in un gulag della Siberia; tanti si erano occupati, indignati, dell’irlandese Bobby Sands e dei suoi compagni; nessuno di Kukk. Bernard vuole riprendere la notizia, ma il suo italiano è incerto, chiede aiuto a Pino. Lui vede che l’autore dell’articolo sono io, pretende che riprendendolo sia citata la fonte, esige che sia pagato; mi introduce al giornale: sono soprattutto interessati a notizie su Vaticano e paesi dell’Est. Gli accordi sono questi: confeziono le notizie, le invio; Pino tra un disegno e l’altro, traduce; pubblicano, pagano. Anche bene: grazie a quei franchi tiro avanti per un bel po’ di tempo…
Lo dico per ricordare assieme al Canard, Pino Zac, di cui forse si rischia di smarrire la memoria. E’ l’autore, nel 1950, del Gatto Filippo, pubblicato per otto anni sul quotidiano romano Paese Sera. Me lo ricordo anche al cinema: La donna è una cosa meravigliosa, di Mauro Bolognini; Capriccio all’italiana, di Franco Rossi; Vogliamo i colonnelli, di Mario Monicelli…

Oltre che al Canard, Zac lavora a L’ècho des savanes, all’inglese Playtime, all’italiano Eureka… E ancora: è sua la splendida versione a fumetti dell’ Orlando Furioso, e la striscia Kirie & Leison: protagonisti un diavolo maldestro e un sacerdote satanico: ironia beffarda sul compromesso storico tra comunisti e democristiani…Una tavola per il mensile Prova Radicale mostra un compiaciuto Giulio Andreotti con un membro eretto che raffigura un Enrico Berlinguer berciante: viene subito sequestrata non so se per oltraggio o vilipendio. E’ la versione italiana di una vignetta che sul Canard ha per protagonisti il gollista Georges Pompidou e il comunista George Marchais. Oltralpe, però, nessun sequestro.
Me lo ricordo, Pino, tra i fondatori del mitico Il Male, e poi quando dà vita alla bella e sfortunata rivista di satira L’Anamorfico… E ricordo quando improvvisa giunge, il 25 agosto 1985, la notizia che un infarto lo stronca ad appena 55 anni.
Un giornale non è solo una raccolta di carta stampata. Naturalmente deve essere un vero giornale (e ormai ce ne sono pochi…).