1 settembre 2013: “La TAV (il contestatissimo progetto dei Treni Alta Velocità in Val di Susa, Piemonte) va sabotata. Ecco perché le cesoie servivano: sono utili a tagliare le reti…”; così dice Erri De Luca, scrittore, schierato da sempre, indefettibilmente, in quella sinistra a sinistra della sinistra (è anche stato, a suo tempo, responsabile del cosiddetto servizio d’ordine di “Lotta Continua”), e paladino della causa No TAV. Cosa pensa di fare la LTF (la società italo-francese per la realizzazione del super-treno)? Incarica i suoi legali di presentare un esposto alla procura di Torino. Abilissima mossa, veri cervelloni, quelli della LTF; se si vuole creare un “caso”, un “martire”, chapeau: è così che si fa. Ma chapeau anche alla procura torinese; certo: c’è l’obbligatorietà dell’azione penale, e dunque un fascicolo lo si deve aprire; ma lo si può anche chiudere. Invece no: lo tengono ben aperto, scomodano il reato di istigazione a delinquere; e alla fine, in aula, chiedono una condanna a otto mesi. Il tribunale (è l’opinione di chi scrive), giustamente risponde picche, e manda assolto l’imputato. Ora tutti si spellano le mani, sospirano lieti che la libertà di opinione è salva. Un clap-clap e un bla-bla un po’ rituale, tutto sommato lascia il tempo che trova. Proviamo ad affrontare la questione da un altro versante.
La parola, innanzitutto: “Sabotare”. Ci aiuta la Treccani: viene dal francese “saboter”, e deriva da “sabot”: zoccolo; e in senso figurato: “fare un lavoro in fretta e male»] (io sabòto, ecc.)”; significa anche: “compiere atti di sabotaggio; distruggere o deteriorare gravemente edifici e impianti, opere e servizî militari, intralciare gli spostamenti e i rifornimenti di truppe nemiche, impedire o limitare il funzionamento di servizî pubblici, come azione di lotta o di rappresaglia economica, politica o militare: s. un macchinario; s. la produzione di un’azienda; i partigiani hanno sabotato la linea ferroviaria e le installazioni aeroportuali della zona; gli ambientalisti sono accusati di aver sabotato gli impianti di risalita per gli sport invernali”. Non solo: la meticolosa Treccani informa che sabotare va inteso anche come “Intralciare la realizzazione di qualche cosa, o fare in modo che un disegno, un progetto altrui non abbia successo: s. un’iniziativa; s. un negoziato; il vasto programma di riforme del direttore è stato sabotato dal consiglio di amministrazione. Anche, svalutare, denigrare lavorando male e con scarso impegno o non facendo quanto si dovrebbe fare: il comportamento di molti funzionari aveva lo scopo di s. l’immagine dell’azienda”.
Chiarito questo, bisogna riconoscere che un conto è il dire, altro il fare; e per restare al “fare”: se il “sabotare” consiste nell’agire in modo non violento, più propriamente nel “boicottare”, la questione non si pone neppure: ci mancherebbe che non si può invitare a non acquistare un prodotto, non si possano fare sit in, resistenze passive, e quant’altro i manuali della nonviolenza, da Thoreau a Gandhi, da M.L.King a Cesar Chavez ci insegnano. Ma anche sul terreno della propaganda del sabotaggio “attivo”, occorre fare molta attenzione. Si può cominciare con Erri De Luca, e si può finire, volendo, con il Vangelo e la Bibbia.
Chi parla, poi, probabilmente è influenzato, nel suo dire, da personali esperienze. Qualcuno di pelo grigio ricorderà che in Italia, per qualche anno si è pubblicato un settimanale satirico chiamato “Il Male”. Un qualcosa che somigliava molto a “Charlie Hebdo”, per intenderci. Per fortuna del “Male” e dei suoi giornalisti, nessun attentato; ma una quantità di denunce e querele di ogni tipo, da parte di ogni potere costituito. A chi scrive è accaduto di essere direttore del “Male” e di averlo fatto per consentire a quel giornale di poter uscire: occorre ancora oggi qualcuno che faccia il direttore responsabile, e per essere “responsabili” si deve essere iscritti all’albo dei giornalisti. Se non lo si ha, nisba, alla faccia della Costituzione che assicura a chiunque la libertà di potersi esprimere anche nella forma del giornale. Assunta la direzione “responsabile”, sono stato presto sommerso da un centinaio di querele e denunce, una più stravagante dell’altra. Per esempio aver violato il segreto militare pubblicando la cartina dell’isola della Maddalena, riprodotta dall’Enciclopedia Britannica e reperibile nella Biblioteca Nazionale di Roma. Tutto è finito in gloria, ma dopo anni, mille fastidi, tanto denaro speso. Ne ho ricavato una lezione personalissima: accusatemi di qualunque cosa, non sporgerò mai querela, fedele al motto: fai ad altri quello che vorresti fosse fatto a te stesso.
Chiusa la parentesi, che serve però a comprendere quale sia il mio punto di vista sulla questione De Luca: dice una quantità di fesserie (e quante ne dirà), ma deve essere lasciato libero, come ognuno di noi, di poterle dire.
Finita qui? No, due questioni ancora. Per stabilire che il “fatto non sussiste” ci hanno impiegato due anni. A parte il “fastidio” di De Luca, di cui ci si può infischiare, quanto è costato il processo alle casse dello Stato? Stipendio medio di un impiegato nella cancelleria di un Tribunale: circa 1200 euro al mese; magistrato di media anzianità in funzione di Pubblico Ministero, 3500 euro al mese; quello di un magistrato giudicante più o meno lo stesso; aggiungiamo i carabinieri per le indagini, i notificatori, gli assistenti di udienza; e ancora, le spese vive, anche le spicciole: carta, fotocopie, benzina, ecc. Tutta questa folla di persone, quanto tempo avrà dedicato al caso De Luca: facciamo per approssimazione, un mese del loro lavoro complessivo? Quantifichiamo: facciamo venti-trentamila euro? Magari di più, ma fossero anche mille, anche cento… Ora che il “fatto non sussiste” (e non occorrevano tre anni, non occorreva un processo, non occorreva un’indagine per stabilirlo), a chi facciamo pagare, alla LTF? E il tempo perso, sottratto ad altre vicende più urgenti e gravi? Negli Stati Uniti l’amministrazione della giustizia non è certo perfetta; ma almeno la pubblica accusa non procede in automatico, ci pensano bene prima di andare a processo, si vuole essere ragionevolmente sicuri che l’accusa regga la prova del dibattimento…
Seconda questione: chi scrive aborre con tutto il suo essere i nazisti. Anche comunisti, i fascisti di ogni latitudine, i fanatici religiosi, quando ci si mettono, sanno fare la loro parte; ma per i nazisti nutro una particolare avversione, e per ragioni che qui è inutile indagare. Rivoltanti i nazisti, rivoltanti le tesi di chi nega i loro crimini, dalle camere a gas alla persecuzione di massa di ebrei, zingari, omosessuali, ecc.; i “negazionisti”, per chi scrive, sono persone abominevoli, senza “se”, senza “ma”. Le loro abominevoli opinioni, hanno il diritto di esprimerle, oppure vanno perseguite, anche penalmente, anche in sede giudiziaria? In Italia è in discussione un testo di legge che punisce chi “nega”. Di “pancia” sono a favore di quel testo. Di testa, ho molti dubbi. Qui la contraddizione di chi vi scrive: se è giusto non punire De Luca, è giusto punire chi nega la shoah? Chi e come stabilire quando il grado di “istigazione” è tollerabile da quando non lo è più?