Per chi si occupa prevalentemente di questioni economico finanziarie, come chi vi scrive da queste pagine newyorkesi, ritiene di dover dire la sua dopo i fiumi di parole sul povero Afghanistan ritenendo che pochi hanno centrato appieno il titanico scontro che realmente sta accadendo anzi che è già accaduto e di cui Kabul rappresenta solo la punta dell’iceberg. Premessa: chi si occupa di finanza e di economia deve essere anche un buon conoscitore della storia contemporanea altrimenti si perderebbe e non troverebbe un nesso logico fra ciò che avviene oggi ed il suo recente passato da dove è nato il fatto economico in oggetto.
Tutto iniziò il 18 dicembre 1978 in quel giorno Deng Xiaoping tenne un discorso, ormai storico, sulla nuova “politica di apertura economica” dove illustrò la strada che la Cina avrebbe dovuto seguire: “riformare un sistema economico asfittico basato su un’industria pesante e le comuni agricole nelle campagne per aprirsi al mondo”. Ed infatti solo l’anno dopo fu varata una prima legge sulle joint venture sino-straniere scritta in modo chiaro e semplice e, subito dopo, ci fu il totale smantellamento delle comuni agricole fino ad arrivare alla separazione tra gestione e proprietà delle aziende di Stato.
Questa rivoluzione economica ha prodotto che dalla fame del 1978, con un reddito pro-capite di soli $ 160 USA, si è passati nel 2018 ad oltre $ 16.000 USA in termini di potere di acquisto, un balzo senza precedenti in confronto a tutti i Paesi del capitalismo occidentale e la corsa al benessere non si è ancora conclusa, tutt’altro.
Ciò che è emerso negli ultimi 20/25 anni è stata la “penetrazione” cinese in tutte le salse che, approfittando della caduta dell’URSS e la fine della “guerra fredda”, ha introdotto, su scala planetaria, una nuova forma di imperialismo coloniale che non è stato certamente un colonialismo ideologico bensì un colonialismo fisico fatto di uomini, know how, soldi e tant’altro. Nello stesso periodo, più o meno, gli Stati Uniti si sono preoccupati, nella sostanza, di difendere i propri legittimi interessi seguiti a ruota dall’intero blocco dei Paesi occidentali che non si sono più posti il problema di guidare il mondo libero ma solo di difendere, quasi prevalentemente, gli interessi americani che se non collocati in un quadro mondiale alla lunga hanno fatto prevalere la volontà di pensare prima agli USA e poi, forse, a tutto il resto.
L’abbattimento della “cortina di ferro” fra il 1989 ed il 1992 aveva convinto la Casa Bianca da Bush padre fino a Biden che l’azione congiunta e a tenaglia dell’unica grande potenza, gli USA, e la globalizzazione del capitalismo liberale avrebbero consegnato nelle loro mani il controllo quasi totale delle cose del mondo. Purtroppo, per loro o più precisamente per tutti, questo non si è realizzato e all’orizzonte si è imposto, vieppiù, un solido capitalismo comunista che, oltre a fare da contraltare, si è imposto in altre aree anche come modello.
Questo mastodontico cambiamento l’ha perfettamente avvertito il mio direttore, Stefano Vaccara, che in uno dei suoi ultimi articoli ha scritto che non c’è più tempo da perdere perchè: “Quello che qui si sta cercando di spiegare è che tra “l’America First” di Trump e l’”America is Back” di Biden c’è molta meno differenza che tra la Coca Cola e la Pepsi Cola, come ai tempi della Guerra Fredda gli analisti europei amavano paragonare le differenze tra le amministrazioni democratiche e repubblicane.” Il sempre presente galileiano pendolo della politica statunitense fra “isolazionismo e multilateralismo” si rifà alle due leggi di Galileo: la prima stabilisce che il periodo di oscillazione non dipende dal peso della pallina mentre, la seconda, afferma che il periodo di oscillazione dipende dalla
lunghezza del filo. Se nella metafora galileiana sostituiamo alla pallina il peso ridotto degli USA e la lunghezza del filo con il capitalismo comunista si capirà che anche l’economia globale risente della legge del pendolo ovvero che c’è in atto un conflitto crescente fra il capitalismo democratico e quello autoritario foriero di sviluppi ancora non totalmente prevedibili.
Gli americani avevano pensato ad un ordine mondiale alla fine della guerra fredda ormai stabilizzato nella convinzione, a ragion veduta, che fosse divenuto secondario rispetto alle ragioni della tutela e della difesa dall’aggressività del capitalismo comunista cinese che minaccia il capitalismo liberale. In un modo poco diplomatico Trump si era fatto portavoce esplicito di questa sfida planetaria in cui il capitalismo americano per resistere a quello cinese chiedeva e chiede tuttora alcune “riduzioni di democrazia”. E, come ha sottolineato Vaccara, citando Charles Kubchan, “Against a backdrop of decades of economic discontent among US workers, recently exacerbated by the devastating impact of the pandemic, voters want their tax dollars to go to Kansas, not Kandahar” ( “Sullo sfondo di decenni di malcontento economico tra i lavoratori statunitensi, recentemente esacerbato dall’impatto devastante della pandemia, gli elettori vogliono che i loro soldi delle tasse vadano in Kansas, non a Kandahar.”)
In questo complicato contesto si evidenzia, sempre più, la solita totale assenza dell’Europa che, fuori da ogni retorica unitaria, non esiste come Unione Europea in quanto conserva per intero i difetti del nazionalismo rivisto in salsa moderna. Allora sarebbe opportuno che, prendendo atto definitivamente che la Gran Bretagna è uscita dall’UE, occorrerebbe che i tre Paesi più grandi e più forti rimasti, Germania Francia e Italia, si facessero carico di avviare rapidamente un processo unitario per creare un forte nucleo europeo dove allocare un unico esercito ed un’unica economia per poter iniziare ad esercitare una geopolitica che aiuterebbe noi stessi e gli americani. Anche perché, non va dimenticato, in Afghanistan non c’è, anche se importantissimo, il solo problema delle donne ce n’è uno più importante: le sue ricchezze minerali!
Nelle apparenti desolate terre afgane ci sono il rame, il litio e le terre rare un vero e proprio tesoro e fra poco partirà una corsa a cui molti stanno già lavorando coperti dai forti problemi sociali e religiosi dei talebani. Per quanti non avessero dimestichezza con questi minerali va specificato che quelli presenti nelle terre rare sono usati fondamentalmente in molti apparecchi tecnologici come i superconduttori, i magneti, i componenti per i veicoli ibridi, i catalizzatori, senza dimenticare gli alliganti per la composizione di numerose leghe metalliche, molte applicazioni di optoelettronica, le fibre ottiche ed infine gli ossidi delle terre rare sono mescolati al tungsteno per migliorare le sue proprietà alle più alte temperature per saldature, rimpiazzando il torio che può risultare pericoloso da lavorare.
La lista completa dei componenti degli elementi delle terre rare sono il lantanio, il cerio, lutezio, praseodimio, neodimio, prometio, il samario, l’europio, il gadolinio, terbio, disprosio, l’olmio, l’erbio, il tulio e l’itterbio su cui si scontreranno oppure troveranno un’intesa il capitalismo liberale e quello comunista.