Bessemer, Alabama. In un sobborgo a sud di Birmingham, città più popolosa dello stato, si sta combattendo quella che da molti commentatori viene definita come la più importante lotta sindacale del secolo nel sud degli Stati Uniti. Qualcosa di paragonabile, con le dovute accortezze, alle lotte per i diritti civili. La località, i cui lavoratori sono per l’80% afroamericani, ospita uno stabilimento Amazon che nelle ultime settimane è finito al centro della cronaca locale e non solo. Dall’8 febbraio e fino al 29 marzo, i suoi 5.805 dipendenti sono chiamati a esprimere per posta la loro opinione sulla sindacalizzazione dello stabilimento, eventualità che, secondo le leggi federali, costringerebbe la multinazionale a trovare un accordo con la labor union coinvolta, la Retail, Wholesale and Department Store Union (RWDSU). Qualora i lavoratori dovessero votare a favore, quelli di Bessemer diventerebbero i primi dipendenti di uno stabilimento Amazon ad essere iscritti ad un sindacato in America. Il precedente tentativo, fallito, risaliva al 2014 nel Delaware.

La strada si sta rivelando tutta in salita. Il colosso dell’e-commerce, per scongiurare questa possibilità, ha deciso di mettere in campo tutte le risorse a sua disposizione, ingaggiando union busters e costruendo una propaganda anti-sindacato che, secondo alcune testimonianze, sta creando molta confusione soprattutto fra i dipendenti più giovani. Secondo una legge federale, Amazon può impedire l’accesso allo stabilimento a soggetti terzi, impedendo di fatto il dialogo fra sindacalisti e lavoratori. Per evitare che questi si possano incontrare anche fuori dal magazzino, secondo le testimonianze raccolte da More Perfect Union, la multinazionale avrebbe influenzato il comune per decongestionare il traffico fuori dallo stabilimento il più velocemente possibile, modificando il timer dei semafori.
Una storia incredibile, come lo sono anche le testimonianze dei dipendenti della struttura. Darryl Richardson, lavoratore presso il magazzino, ha rivelato al The Guardian “Non hai tempo di guardarti intorno. Vieni trattato come un numero. Non sei trattato come una persona. Ti fanno lavorare come un robot”. Sono molti coloro che hanno espresso lamentele, soprattutto per il controllo esercitato sui lavoratori. Il sistema di tracciamento rende difficile allontanarsi dalla postazione anche per andare in bagno o bere un sorso d’acqua. Fallire nel raggiungere la quantità minima di operazioni effettuate può portare a richiami o, nel caso peggiore, al licenziamento in tronco. Amazon negli Stati Uniti basa la sua politica anti-sindacato, sui benefits concessi ai dipendenti dal day-one, che in America si configurano come coperture sanitarie per cure dentistiche o altri aspetti che in Europa sono dati per scontati. Il salario, poi, è spesso propagandato come superiore alla media nazionale. Di fatto lo è: 15,5$ all’ora, come lo stipendio minimo proposto dal Partito Democratico. Peccato che il suo CEO, Jeff Bezos, sia l’uomo più ricco al mondo.

Le politiche di Amazon contro la sindacalizzazione dei suoi dipendenti sono famose negli Stati Uniti. Ma da quando a Bessemer il 30% dei lavoratori ha inoltrato richiesta alla National Labor Relations Board (NLRB), aprendo di fatto il percorso che ha portato alle odierne elezioni, la multinazionale ha investito molte risorse nel dissuaderli a sindacalizzarsi. Randy Hadler, Presidente del consiglio del Mid South per la RWDSU, ha dichiarato a More Perfect Union che gli union busters assoldati da Amazon hanno iniziato ad operare nello stabilimento già da metà novembre 2020. Questi agenti, pagati giornalmente, hanno introdotto una forte propaganda anti-sindacati, spaventando soprattutto i giovani lavoratori insinuando falsità sulla sindacalizzazione dello stabilimento. Secondo gli union busters, far entrare le unions significherebbe 500$ di trattenute in più sulla busta paga, dover dire addio ai benefits e salari più bassi. “Vengono da noi e ci fanno smettere di lavorare, praticamente per metterci in testa informazioni sul perché non dovremmo avere un sindacato”, racconta una lavoratrice nel reportage di More Perfect Union. E poi riunioni per spiegare gli svantaggi dei sindacati e volantini appesi davanti a tutti gli orinatoi dei bagni per scoraggiare i lavoratori dal votare. Una forma di “molestia”, come viene definita da alcuni. Infine, per ostacolare le votazioni, Amazon ha tentato di introdurre un ballottaggio in presenza, in barba alle normative anti-covid, ma fallendo.

Molti rappresentanti democratici, soprattutto affiliati alla sinistra del partito, appoggiano la votazione a favore della sindacalizzazione della sede di Bessemer. Assieme a loro il guru del socialismo americano, Bernie Sanders, e molte organizzazioni sindacali internazionali. In palio non c’è soltanto la tutela dei diritti dei lavoratori del magazzino in questione ma quella di tutti i dipendenti della multinazionale negli Stati Uniti. L’Alabama, poi, è una fortezza da espugnare. Il sud è una realtà da sempre avversa ai sindacati, in primis a causa delle politiche portate avanti dalle amministrazioni repubblicane. Lo stesso PRO Act, la nuova legge sui diritti dei lavoratori, è stata già respinta dai Repubblicani al senato attraverso la pratica del filibuster. Bessemer può essere una terra florida per un nuovo unionismo: quella parte dell’Alabama ha ospitato industrie pesanti tutelate da sindacati e lavoratori più maturi ne hanno ancora memoria; inoltre, la popolazione afroamericana solitamente guarda con favore ai sindacati.
Espugnare il sud potrebbe lanciare un messaggio a tutti gli Stati Uniti, mettendo in dubbio la politica finora portata avanti da Amazon. Per questo, anche a New York, si sono tenute manifestazioni a favore dei lavoratori di Bessemer. È la nascita, forse, di una coscienza collettiva contro lo strapotere delle multinazionali e di tutti quei big del settore hi-tech che, soprattutto nel biennio del covid, stanno accumulando ricchezze inimmaginabili aumentando la forbice delle disuguaglianze.