Oltre alle enormi questioni di geopolitica ed economico-finanziarie segnalate nel precedente articolo vanno evidenziati che Joe Biden avrà, davanti a sé, due elementi finanziari di livello planetario che, solo con una visione rooseveltiana, potranno essere affrontati e, poi, superati.
Mi riferisco, in particolar modo, all’abrogazione del Glass-Steagall Act del 1933 e alla vertiginosa esplosione del debito pubblico mondiale per il Covid.

Il Glass-Steagall Act, approvato dal Congresso degli Stati Uniti, fu la risposta politico-economica alla crisi finanziaria iniziata nel 1929 che già agli albori del 1933 aveva messo in ginocchio numerose banche americane e quasi l’intero sistema produttivo ed industriale degli USA. La legge bancaria Glass-Steagall del 1933 aveva come obiettivo quello di introdurre, nel sistema creditizio statunitense, tutte le misure idonee per contenere la speculazione da parte degli intermediari finanziari con operazioni spesso a spese del “parco buoi” delle banche, i clienti risparmiatori.
Con questo importantissimo atto legislativo il Congresso americano fece nascere due strumenti fondamentali che avrebbero, di lì in avanti, regolato e calmato il mercato finanziario americano prima e del mondo poi agendo, oltretutto, da leva per il mondo industriale caduto in ginocchio per il protarsi della depressione.
Il primo provvedimento fu quello di varare la nascita della Federal Deposit Insurance Corporation con lo scopo precipuo di garantire i depositi dei clienti e di prevenire, quindi, le corse allo sportello delle banche ed eliminare, di conseguenza, il rischio da panico bancario, come nel 1929, che vide i clienti precipitarsi in massa presso gli sportelli per cercare di recuperare e salvare i propri risparmi. Il secondo provvedimento prevedeva, invece, anche l’introduzione di una netta separazione tra l’attività bancaria tradizionale e l’attività bancaria di investimento. Le due attività non potevano essere esercitate dallo stesso intermediario finanziario come era stato fino ad allora.
Questo vitale provvedimento realizzò così la separazione tra le banche commerciali e quelle di investimento. E per 66 anni, questa norma, è stata la base del sistema bancario e finanziario mondiale la qual cosa evitava, sul nascere, qualsiasi forma di conflitto di interesse ovvero la consolidata e truffaldina abitudine di usare i soldi dei risparmiatori in deposito per scorribande e investimenti cartacei nel mondo della finanza.
Finché il 12 novembre 1999 non ci pensò il Presidente Bill Clinton a promulgare una nuova legge, nota con il nome di Gramm-Leach-Bliley Act, che abrogava buona parte delle disposizioni del Glass-Steagall Act del 1933 e che, come si è visto, prevedeva una netta e totale separazione tra attività bancaria tradizionale e banca d’investimento (investment banking), salvaguardando invece tutte le disposizioni che riguardavano la Federal Deposit Insurance Corporation. In tal modo Bill Clinton passa alla storia restituendo ai lupi di Wall Street la possibilità di speculare ed arricchirsi in modo smisurato mandando in tilt il sistema finanziario americano e mondiale che venne sancito un venerdì pomeriggio, per la precisione il 12 settembre 2008, quando i vertici delle più importanti banche commerciali e di investimento degli Stati Uniti si riunirono negli uffici della Federal Reserve e decisero che Lehman Brothers doveva fallire aprendo di fatto la più grossa crisi finanziaria del mondo e di cui, ancora oggi, con valanghe di titoli tossici e derivati si paga ancora il salato prezzo.

Il successivo 15 settembre Lehman Brothers fu costretta a portare i libri in tribunale. Bank of America, invece, fu dirottata ad acquistare Merrill Lynch altrimenti sarebbe fallita come la Lehman ed il 22, dello stesso mese, sia Morgan Stanley che Goldman Sachs vennero salvate potendosi trasformare in banche commerciali e in tal modo poterono ottenere tutta la liquidità necessaria messa a disposizione dalla Federal Reserve, la qual cosa non era stata invece concessa alla Lehman Brothers. Nel giro di un weekend sparirono tutte le banche d’affari Usa ed il doppiopesismo di chi salvare e chi no ebbe come regista l’allora presidente della Federal Ben Bernanke e che solo molto tempo dopo ammise che dieci anni prima avevano commesso errori. Infatti, nella logica di salvataggio da parte dello Stato americano passò la perfetta nazionalizzazione di Fannie Mae e Freddie Mac, i due colossi del credito immobiliare crollati sotto l’insostenibile peso dei famosi “mutui subprime”, e che il giorno dopo il fallimento di Lehman decise di investire ben 85 miliardi di dollari per salvare dalla bancarotta il colosso assicurativo Aig.
L’abrogazione di questa importante e vitale norma ha consentito, quindi, la costituzione di gruppi bancari che al loro interno permettono, seppur con qualche piccola limitazione, di esercitare sia l’attività bancaria tradizionale e sia l’attività di investment banking e assicurativa. Da quel momento in poi scatta la corsa all’adeguamento da parte di tutti a livello planetario e, con poche varianti, ci si sta avviando a ricostruire condizioni simili a quelle degli anni ’20. La corsa all’imitazione e, soprattutto, alla grande influenza statunitense omologò tutti gli istituti di credito per cui in pochissimo tempo l’economia reale ridusse drasticamente la sua presenza sugli scenari finanziari. Tant’è vero che, ancor oggi, non tutti i rompicapo dei tantissimi titoli tossici sono stati ancora compresi. Come conseguenza partì la corsa all’oro che vide la partecipazione anche delle aziende che producevano beni reali perché la finanza d’assalto dava loro ampissimi margini di guadagno ed il parco buoi, i clienti, invitati e sollecitati ad acquistare titoli alla cui base non c’era quasi nulla.

Il secondo enorme problema che Biden dovrà affrontare in modo complementare al primo sono le enormi emissioni di debito a livello globale accentuatosi nel 2020 per l’esplosione della pandemia da Covid. I dati aggiornati alla primavera scorsa ci dicono che per le sole nuove emissioni ad aprile 2020 hanno raggiunto l’astronomica cifra record di 2.600 miliardi di dollari, superando il precedente livello di marzo che aveva raggiunto i 2.100 miliardi di dollari. Rispetto all’andamento ciclico degli ultimi venti anni si è registrato addirittura un aumento superiore del doppio e quasi la metà di queste nuove emissioni di marzo ed aprile sono state fatte dalle autorità degli Stati Uniti.
L’anno 2020 passerà alla storia come l’anno più pesante per i conti pubblici di tutte le nazioni del mondo a causa della pandemia. A settembre scorso la Buy Shares ha stilato la seguente classifica della percentuale del debito sul PIL:
- Giappone: 268,21%
- Grecia: 214,29%
- Italia: 156,92%
- Portogallo: 150%
- USA: 136,69%
- Belgio: 121,15%
- Spagna: 117,16%
- Francia: 113,16%
- Canada: 106,86%
- Regno Unito: 100,87%
Per quanto riguarda le cifre in assoluto, a quella data, si ricava che gli Stati Uniti hanno un debito pubblico di 26.710 miliardi di dollari, segue a ruota il Giappone con 12.150 miliardi di dollari; ben posizionata la Cina con i suoi 7.320 miliardi di dollari; il Regno Unito con 3.490 miliardi di dollari; chiude la classifica di testa l’Italia con 3.060 miliardi di dollari.
Per quanto concerne, invece, le percentuali del debito pubblico in rapporto al PIL il Fondo Monetario Internazionale ha stilato la sottostante classifica:
- Giappone: 266,2%
- Sudan: 259,4%
- Grecia: 205,2%
- Eritrea: 185,8%
- Libano: 171,7%
- Italia: 161,8%
- Portogallo: 137,2%
- Capo Verde: 136,8%
- Barbados: 134,1%
- Singapore: 131,2%
- Stati Uniti: 131,2%
- Bahrain: 128,3%
- Spagna: 123%
- Mozambico: 121,3%
- Bhutan: 121,3%
- Belgio: 117,7%
- Francia: 118,7%
- Cipro: 118,4%
- Angola: 120,3%
- Giordania: 88,4%
Indubbiamente Biden avrà bisogno di calma e tempo ed allora iniziare dal rimodificare il Gramm-Leach-Bliley Act aiuterà contestualmente a ridurre il debito.