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July 29, 2020
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A processo Amazon, Apple, Google e Facebook: “troppo potenti” per il Congresso

Messe sotto torchio per le pratiche monopoliste e anticompetitive sul modo di fare business: con le loro posizioni dominanti di settore uccidono la concorrenza

Alessandra LoierobyAlessandra Loiero
Time: 8 mins read

Le grandi aziende tecnologiche statunitensi sono sotto i riflettori; gli amministratori delegati di Amazon, Jeff Bezos, di Apple, Tim Cook, di Facebook, Mark Zuckerberg, e di Google, Sundar Pichai, hanno affrontato in videoconferenza le domande dei membri del Congresso degli Stati Uniti, perché messi sotto accusa dall’antitrust americano.

A Capitol Hill c’è già chi ha definito questa udienza come l’evento dell’anno.

Il deputato democratico David Cicilline, che presiede il Comitato Antitrust della Camera, ha fatto riferimento alla concentrazione del potere dei Big della Silicon Valley, e ha affermato che “queste società uccidono le piccole imprese e la concorrenza negli Stati Uniti”, ricordando i principi della libertà di mercato.

Ma i “titani imperatori dell’economia online” hanno utilizzato il patriottismo come arma per difendersi dalle accuse.

Dollari ed Euro (di Petr Kratochvil)

Jeff Bezos ha difeso Amazon affermando che “Per mantenere le nostre promesse ai clienti di questo paese, abbiamo bisogno di lavoratori americani per vendere prodotti ai consumatori americani”.

Mentre Mark Zuckerberg, affermando che “Facebook è un’azienda orgogliosamente americana”, ha lanciato un avvertimento: se il modello tecnologico americano non vince, un altro lo farà.

“Facebook rappresenta una serie di principi di base, dando voce alle persone e opportunità economiche, proteggendo le persone, sostenendo tradizioni democratiche come la libertà di espressione e di voto e consentendo un mercato aperto e competitivo”. Tutti valori sui quali si fonda l’economia USA. “All’aumentare della concorrenza globale, non vi è alcuna garanzia che i nostri valori vinceranno”.

Poi, riferendosi alla Cina ha affermato: “Questi sono valori fondamentali per la maggior parte di noi, ma non per tutti nel mondo, non per tutte le società con cui competiamo”. La Cina ad esempio costruisce la sua versione di internet su valori diversi  ed esporta questa visione in altri paesi.

A questa frecciatina, Kevin Mayer, recentemente diventato amministratore delegato di TikTok, ha accusato Facebook di utilizzare il patriottismo per attaccare l’app social TikTok, di proprietà cinese ma con sede a Los Angeles e già finita nel mirino dell’amministrazione Trump.

TikTok (di Chantelle van Heerden)

In effetti, il CEO di Facebook aveva precedentemente accusato TikTok di censurare i manifestanti.

Kevin Mayer si è difeso: “Facebook sta lanciando un altro prodotto copione, Reels (legato a Instagram), dopo che l’altro loro copione è fallito rapidamente. Ma concentriamo le nostre energie sulla concorrenza leale e aperta al servizio dei nostri consumatori, piuttosto che su attacchi maligni del nostro concorrente – vale a dire Facebook – travestito da patriottismo e progettato per porre fine alla nostra stessa presenza negli Stati Uniti”.

All’udienza manca Microsoft, accusata recentemente in Europa da Slack di bloccare la concorrenza.

Un’udienza storica che potrebbe cambiare le regole nella Silicon Valley

Dall’inizio delle indagini, iniziate oltre 13 mesi fa, sono stati raccolti 1,3 milioni di documenti, e lo scopo delle udienze di oggi è quello di rispondere a tutti i documenti raccolti.

Questa storica udienza antitrust del Congresso potrebbe spianare la strada a cambiamenti radicali rivolti alla Silicon Valley, poiché l’esito potrebbe condurre i legislatori a ripensare le leggi antitrust federali, rendendo più semplice per il governo federale sondare e penalizzare i giganti della tecnologia.

L’obiettivo dichiarato dell’udienza è la concorrenza, ma ci sarà anche una revisione generale delle pratiche commerciali dei giganti della tecnologia: il modo in cui gestiscono contenuti online e usano la raccolta di informazioni sui consumatori, capire se questi attori influenzano la scelta del consumatore, l’eventuale abuso di posizione dominante e l’uso della forza per soffocare i rivali più piccoli, ma anche la loro politica dei prezzi.

In effetti i 4 “titani imperatori dell’economia online” complessivamente hanno un valore di mercato di quasi 5.000 miliardi di dollari.

Il tweet di Trump sull’udienza a Capitol Hill contro i bid della Silicon Valley (29 luglio 2020)

Difficile affermare che i colossi del web non siano monopolisti e anticompetitivi, visto che oltre alla supremazia tecnologica possono vantare anche quella commerciale. Ma per i  CEO, questa è l’occasione per sostenere che il loro successo non deriva dal potere monopolistico, ma dalla loro capacità di soddisfare le esigenze dei consumatori.

Al termine, la Commissione giudiziaria  della Camera pubblicherà un rapporto su come le quattro aziende hanno evitato di assumersi le responsabilità sotto le attuali leggi antitrust, poiché queste regole sono state pensate senza tenere in considerazione aziende di tali dimensioni.

Un forse geloso Donald Trump, poche ore prima dall’inizio dell’udienza ha dichiarato: “Se il Congresso non riesce a portare correttezza e onestà nelle Big Tech, cosa che avrebbe dovuto fare anni fa, lo farò io con dei decreti”.

Gli asti tra Facebook e Google sono ormai noti, poiché sempre più spesso correggono o censurano il presidente americano per i suoi contenuti.

I timori dei conservatori

È il deputato repubblicano Jim Jordan a tornare sul tema, sostenendo che le società tecnologiche sono di parte contro il suo partito, ed esprimendo il timore che Google potrebbe personalizzare le sue caratteristiche per aiutare la campagna presidenziale di Joe Biden.

“Non faremo niente che possa inclinare politicamente le cose in un modo o nell’altro. È contro i nostri valori fondamentali”, ha risposto Pichai di Google.

Ma Jordan ha continuato, presentando un’e-mail del 2016, in cui affermava che un dirigente di Google aveva parlato della “donazione silenziosa” che Google aveva fatto alla campagna di Hillary Clinton. Ma Pichai ha risposto di non aver trovato alcuna prova di questo.

Jordan ha affermato che l’e-mail aveva fatto riferimento a Google per sollecitare le persone a votare “in stati chiave”. Ha spiegato che questo era probabilmente un riferimento agli stati altalenanti del Nevada e della Florida, il che significa che c’era stato uno sforzo per impedire a Donald Trump di vincere. “Può assicurarci che non metterà a tacere i conservatori e … non favorirà Joe Biden?” ha chiesto nuovamente il repubblicano Jim Jordan. Pichai: “Ha la mia parola”.

Ma la democratica Mary Gay Scanlon, ha insinuato che il signor Jordan stesse esprimendo “teorie cospirative”.

Il repubblicano Jordan, reagendo furiosamente, ha affermato di essere in possesso dell’e-mail, e che non si trattava di cospirazione.

L’Apple Store sulla Quinta Avenue, a Manhattan

AMAZON con Jeff Bezos

Per il CEO Jeff Bezos, colui che ha rivoluzionato il commercio a livello mondiale, è la prima volta a Capitol Hill. L’uomo è il più ricco della Terra ed è  proprietario oltre che di Amazon, anche di Washington Post. Oggi è sul banco degli imputati per le sue politiche sull’e-commerce: i legislatori sostengono che Amazon in precedenza aveva ingannato la commissione sul funzionamento interno del suo mercato online.

Come riportato dal NY Times, Amazon è accusato anche di aver abusato del proprio ruolo, sia come rivenditore, che come piattaforma che ospita venditori terzi. Infatti, la piattaforma di Amazon, indiscussa leader nella vendita online, influenza la scelta del consumatore nel farlo protendere a scegliere un servizio Amazon rispetto ad altri oggi presenti sul mercato.

Inoltre bisogna considerare che Amazon raccoglie una vasta gamma di dati, sia sui prodotti venduti da fornitori e terze parti attraverso la sua famosa piattaforma, sia sulle cose che i consumatori cercano.

Jeff Bezos si è difeso nel suo discorso, evidenziando che Amazon è uno dei principali datori di lavoro negli Stati Uniti e favorisce attraverso la sua piattaforma la crescita di due milioni di piccole e medie imprese.

Jeff Bezos, la cui enorme ricchezza si è ulteriormente gonfiata durante la pandemia, ha affermato “Credo che Amazon dovrebbe essere esaminato”.

Nelle sue osservazioni ha spiegato che “In Amazon, l’ossessione del cliente ci ha reso ciò che siamo e ci ha permesso di fare cose sempre più grandi. So cosa potevamo fare quando in Amazon eravamo in 10 persone… E so cosa possiamo fare oggi quando siamo quasi un milione. Adoro gli imprenditori in garage, ero uno di loro. Ma, proprio come il mondo ha bisogno di piccole aziende, ha bisogno anche di quelle grandi. Ci sono cose che le piccole aziende semplicemente non possono fare”.

Jeff Bezos CEO di Amazon (di James Duncan Davidson / Flickr)

Gli altri tre amministratori delegati, Tim Cook di Apple, Mark Zuckerberg di Facebook e Sundar Pichai di Google, sono ormai di casa alla sede del Congresso.

GOOGLE con Sundar Pichair

Per Google il problema riguarda il settore pubblicitario online. È il monopolista degli strumenti di pubblicizzazione e di annunci della rete. Inoltre ha il predominio dei software per smartphone. Insomma, anche Google accusata di aver abusato della sua posizione di leader del mercato.

E poi c’è YouTube, un fortissimo strumento di Google, poiché raccoglie informazioni per vendere pubblicità. Oggi al Congresso, verrà discussa anche un’eventuale scissione di Google da altre società (come Youtube) che operano al suo interno e che sono cresciute a tal punto da rappresentare esse stesse punti di squilibrio del mercato.

Sundar Pichai, amministratore delegato della società madre Alphabet, informa che l’industria della tecnologia è così veloce che non è “inevitabile” che Google andrà sempre così bene. “Il continuo successo non è una garanzia”.

“Google opera in mercati globali altamente competitivi e dinamici, in cui i prezzi sono gratuiti o in calo e i prodotti sono in costante miglioramento”.

“Il panorama competitivo odierno non assomiglia per niente a cinque anni fa, figuriamoci 21 anni fa, quando Google ha lanciato il suo primo prodotto: Google Search”.

Nelle sue osservazioni, Sundar Pichair, ha anche affermato che l’innovazione della società ha portato benefici diffusi: “Utilizzando Android migliaia di operatori di telefonia mobile costruiscono e vendono i propri dispositivi senza pagarci alcuna tassa di licenza”, ha affermato, “Ciò ha consentito a miliardi di consumatori di permettersi smartphone all’avanguardia”.

Google è anche stata accusata di collaborare con la Cina.

È stato il deputato repubblicano Matt Gaetz ad affermare che Google collaborerebbe con università cinesi e prenderebbe “milioni e milioni di dollari dall’esercito cinese”. Ma Sundar Pichai ha negato che i suoi dipendenti agissero contro gli interessi americani.

“Non stiamo lavorando con l’esercito cinese è assolutamente falso. Il nostro lavoro di intelligenza artificiale in Cina è limitato a una manciata di persone che lavorano a progetti open source” ha precisato.

Sundar Pichai CEO di Alphabet (Flickr)

FACEBOOK con Mark Zuckerberg

Facebook oltre che rispondere all’acquisizione di Instagram nel 2012 e Whatsapp nel 2014, dovrà affrontare anche la polemica politica negli USA: secondo la Casa Bianca i social network vogliono zittire e censurare le posizioni dei conservatori.

Zuckerberg ha affermato che “Le società non sono cattive solo perché sono grandi”, anzi ha spiegato che molte grandi aziende non esistono più, proprio perché hanno fallito nella concorrenza. La concorrenza è vitale per Zuckerberg. La grande tecnologia non soffoca la concorrenza, “semmai”, dice “la grande tecnologia è possibile solo grazie alla concorrenza”.

“La nostra storia non sarebbe stata possibile senza le leggi statunitensi che incoraggiano la concorrenza e l’innovazione. Credo che una politica di concorrenza forte e coerente sia vitale perché garantisce che il campo da gioco sia uniforme per tutti. Su Facebook, competiamo duramente, perché siamo contro altre aziende intelligenti e innovative che sono determinate a vincere”.

Per quanto riguarda la seconda accusa, Zuckerberg ha detto “Riconosciamo di aver la responsabilità di fermare chi cerca di interferire o mettere in pericolo, tramite la disinformazione o i discorsi che incitano a all’odio e alla violenza”; ha poi messo in evidenza l’importanza di Facebook nella questione sulla giustizia razziale. Inoltre ha anche sottolineato come i suoi social network sono stati in grado di “contrastare gli spam e i contenuti dannosi”.

Zuckerberg ha anche però riconosciuto di avere molto da lavorare.

Mark Zuckerberg aveva già dovuto affrontare l’accusa sulla protezione della privacy in Europa nel 2018.

L’UE aveva ritenuto che i dati di utenti europei, potevano essere stati violati e usati impropriamente. Gli eurodeputati avevano discusso, chiedendo a Facebook di chiarire come venivano gestiti i dati e come la società pensava di rispettare il Regolamento generale sulla protezione dei dati nell’era digitale, che sarebbe entrato in vigore a partire dal 25 maggio 2018 in tutta l’UE.

Mark Zurckerberg CEO di Facebook (di Anthony Quintano – Flickr)

APPLE con Tim Cook

La mela di Apple, è sotto accusa per le sue politiche sull’app store, che monopolizza la scelta del consumatore in fatto di applicazioni.

Il colosso tecnologico creato da Steve Jobs fissa i prezzi, senza confrontarsi con il mercato perché dispone di soluzioni proprie che funzionano solo sui suoi dispositivi.

Cook nel suo intervento ha spiegato che Apple non ha il monopolio in nessuno dei settori in cui opera. Nel mercato degli smartphone “completamente competitivo” ha precisato che “la mela” è dietro un Samsung e Huawei. E anche Cook appellandosi al patriottismo americano, come Zuckerberg e Bezos, ha precisato che Apple è una società “univocamente americana”.

In difesa alle politiche dei prezzi, ha invece affermato che “Nella storia di oltre 10 anni dell’App Store, non abbiamo mai aumentato la commissione o aggiunto una sola commissione. Anzi, l’abbiamo ridotta per gli abbonamenti e abbiamo esentato ulteriori categorie di app”.

Tim Cook CEO di Apple (di iphonedigital – Flickr)
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Alessandra Loiero

Alessandra Loiero

Laureata all’Università Cattolica di Milano interfacoltà di Scienze Politiche e Sociali e Scienze Linguistiche e Letterature Straniere. Per la Voce di New York si occupa di Nazioni Unite e Politica Estera. Attualmente frequenta il corso di specializzazione in Geopolitica presso la Scuola di Limes. Alessandra earned an interdisciplinary degree from the Catholic University in Milan, in the faculties of Political and Social Sciences and Linguistic Sciences. Her work for La Voce di New York deals with the United Nations and Foreign Policy. She is currently attending a postgraduate course in Geopolitics at the Limes School.

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