The best chapters of Italian history have been written by people who knew how to weave intelligence and vision — who were able to fight for change, instead of protecting the status quo.
Sergio Marchionne
Fondate da artigiani e operai, le imprese del Nord Est a seguito della successione del fondatore si sono trasformate da imprenditoriali in manageriali. Per tradizione mai interrotta, i discendenti si autodefiniscono imprenditori, ma il più delle volte costoro sono proprietari, capi d’azienda, datori di lavoro e azionisti che hanno appresso nelle scuole di business l’arte manageriale. Sono essi gli esperti delle cose dure di oggi. Circondata da un mare d’incertezze e rischi, l’impresa manageriale è guidata da convinti sostenitori dell’idea che le conoscenza esistente sia la prima e, spesso, l’unica fonte dell’innovazione. Similmente al lignaggio mitologico del Nibelungo, i manager detengono il vasto tesoro costituito da clienti e consumatori. Tuttavia, ad appropriarsi del tesoro del Nibelungo, sarà Siegfried, l’innovatore visionario.
Le aziende manageriali innovano rispondendo ai desideri del cliente. Conoscendo il mercato, la conoscenza accelera l’innovazione incrementale – ciò che rende più appetibili i prodotti per i consumatori che desiderano versioni migliorate di quelli già disponibili sul mercato. I dirigenti ben informati sono soggetti a ignoranza razionale che si manifesta allorché il costo dell’uscita dalle mappe di conoscenza orientate al mercato e dell’ingresso nel campo dell’ignoranza creativa è ritenuto troppo elevato. Una volta che il percorso da esplorare è stato disegnato sulla mappa, il saper arrivare al traguardo è ciò che determina il successo o il fallimento dell’innovazione incrementale.
Per concentrarsi intensamente sui compiti che devono essere padroneggiati al fine di ottimizzare le prestazioni e l’efficienza, i manager restano rinserrati come in una rocca nell’assunto che i consumatori saranno fedeli e, pertanto, non abbandoneranno i marchi che conoscono e amano. E’ questo compiacimento che acceca i manager impedendo loro di scrutare l’orizzonte lontano. Il manager soddisfatto non vede la necessità di creare un nuovo itinerario, né riconosce le minacce da parte di quei soggetti fuori dagli schemi, generatori di percorsi innovativi che fanno intravedere i mercati di domani.
Eventi che hanno stravolto i paesaggi industriali restano il più delle volte relegate nella cantina della storia. Nel Settecento, Sir Richard Arkwright rivoluzionò l’industria tessile mandando in rovina gli artigiani bolognesi dei mulini per la lavorazione della seta. La comunità bolognese seppe, allora, trarre lezioni da quell’evento. Oggi, però, le macchine per l’imballaggio e il confezionamento sono una stella fissa nel cielo stellato dell’industria bolognese. In tutto il Nordest, più manageriale che imprenditoriale, le stelle fisse non mancano. E il Nordest italiano non è certo un’eccezione. A scala internazionale, ad esempio nel mondo della telefonia mobile, una delle industrie in più rapido movimento nella nostra epoca, l’autocompiacimento, ben sintetizzato nell’espressione “il ciclo degli smartphone è vivo e vegeto” e la mancanza di sufficiente attenzione alle minacce (si pensi agli orologi intelligenti e agli occhiali collegati a Internet) hanno causato il deragliamento di due attori che in precedenza erano potenti: l’uno, BlackBerry, che nel 2009 deteneva circa il 22% del mercato degli smartphone e l’altro, Nokia, in caduta libera dalla sua considerevole quota di mercato di quasi il 44% nel settore degli smartphone nel 2008 a un esiguo 3% nel 2013. Nel suo massimo splendore nel 2008 il gigante finlandese aveva venduto circa 468 milioni di telefoni cellulari, ma le vendite erano già scese a circa 120 milioni nella prima metà del 2013.
Riassumendo, il management si è posto al centro dell’azienda nordestina che le ruota intorno. Il management l’ha fatto riuscendo a conferire un indiscutibile valore di verità a tre metafore culturali: l’efficienza dei mercati, la razionalità dell’Homo Oeconomicus e il movimento spontaneo dell’economia verso uno stato ottimale. Per quanto ben vestite con dati e modelli statistici, queste metafore stanno perdendo il loro prestigio con la rivoluzione copernicana in corso. Il geocentrismo del management lascia il posto all’eliocentrismo del nuovo imprenditore che emana immaginazione, intuizione e ispirazione, suscitando reazioni imprenditoriali.
Mentre in passato il management generava posti di lavoro, oggi è l’imprenditore innovativo che crea idee potenti che si trasformano rapidamente in azioni. Ideazione è la nuova parola d’ordine del lavoro, e lo sperimentatore che impara sperimentando la sua capacità di immaginare e tracciare percorsi innovativi subentra all’esperienza del manager. Nel corso della sperimentazione le idee, culturalmente diverse tra loro, sono fili che s’intrecciano in modo da formare progetti di business con forte impatto sul tessuto aziendale.
L’ideazione accelera la crescita dell’attività dell’impresa e promuove anche spin-off (imprese controllate dalla casa madre o entità da lei indipendenti) e start-up (creazione d”impresa da parte dei dipendenti). Gli spazi liberi per collaborazioni proficue ottengono risultati sorprendenti. Pensiamo alla Firenze rinascimentale dove l’ideazione compie l’intero ciclo, dalla generazione dell’idea alla sua realizzazione, e oggi agli ecosistemi come IdeaSpace a Cambridge nel Regno Unito e Vivid Ideas a Sydney in Australia.
L’ideazione avrebbe successo se il management si distaccasse da un approccio razionalista e adottasse un comportamento post-razionalista. È ciò che sta accadendo nel Nordest? Lì si sta dando il benvenuto alle nuove imprese imprenditoriali?