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George H. W. Bush, addio al presidente che non commise le colpe del figlio

Bush senior, morto a 94 anni, non un gigante della storia USA ma la sua presidenza riafferma che alla Casa Bianca competenza e carattere sono cruciali

Stefano VaccarabyStefano Vaccara
George H. W. Bush, addio al presidente che non commise le colpe del figlio

George H.W. Bush: nato il 12 giugno 1924, Milton, MA. Morto il 30 novembre 2018, Houston, TX. Presidente USA: 20 gennaio 1989-20 gennaio 1993

Time: 3 mins read

Quest’articolo lo apriamo col famoso detto ribaltato: le colpe dei figli non dovrebbero ricadere nel giudizio che la storia deve ai padri!

George H.W. Bush, 41 esimo presidente degli Stati Uniti, è morto venerdì sera all’età di 94 anni. Solo pochi mesi dopo la scomparsa della moglie Barbara, morta in aprile all’età di 93 anni, dopo 73 anni di matrimonio.

George Bush è stato alla Casa Bianca dal 1989 al 1993. Prima, dal 1980 al 1988 era stato il vicepresidente di Ronald Reagan, dopo essere stato a capo della Cia, ambasciatore alle Nazioni Unite, ambasciatore a Pechino.  George Bush sarà sempre ricordato anche per essere il padre del 43esimo presidente George W. Bush; ma quel suo legame di sangue non bastò al 41esimo presidente per convincere il figlio a non commettere uno degli errori più gravi della storia degli Stati Uniti.

George Bush, per preparazione, esperienza e carattere, fu il presidente adatto al momento dello scoppio del cosiddetto “nuovo ordine mondiale”, che si aprì con il disordine dello sgretolamento dell’impero sovietico,  simboleggiato dal crollo del muro di Berlino nel 1989. Bush, come Reagan, sostenne la “Perestroika” di Gorbaciov e poi, al crollo sovietico avvenuto troppo in fretta, cercò di contenere il dominio dell’unica superpotenza rimasta dopo la vittoria della Guerra Fredda.

Questo “self-containment” fu evidente quando nel 1991, alla fine della trionfante operazione “Desert Storm” con cui, con la copertura dell’ONU, si cacciò l’Iraq di Saddam Hussein dal Kuwait invaso l’anno prima, Bush rispettò il mandato della risoluzione del Consiglio di Sicurezza e non perseguì fino a Baghdad il nemico in fuga. Forse unico presidente ad aver avuto nel giro di pochi mesi una così alta popolarità per aver vinto una guerra così ben preparata (Bush riuscì a far schierare nel deserto a suo fianco persino la Siria di Afez Assad ) ed esser allo stesso tempo riuscito a perdere le elezioni per la riconferma, quando dovette cedere la Casa Bianca ad uno sconosciuto governatore dell’Arkansas, lo stato più povero degli USA, di nome Bill Clinton. “It’s the economy, stupid”, fu il celebre slogan con cui i democratici del ticket Clinton-Gore superarono nel 1992 l’eroe della guerra del Golfo, anche se si deve ricordare che Bush in realtà, più che per l’efficacia del messaggio dei democratici, perse le elezioni soprattutto per la partecipazione del terzo candidato indipendente, il miliardario texano Ross Perot, che gli tolse molti voti fondamentali.

In realtà, Bush rappresentò l’ultimo rappresentante alla Casa Bianca di un establishment legato ad un partito repubblicano conservatore e moderato. Dopo la sua sconfitta, quando il figlio e governatore del Texas G.W. Bush si fece avanti al posto dell’altro figlio, Jeb, governatore della Florida e invece molto più simile al padre, i repubblicani ormai avevano spalancato definitivamente la porta a quel processo già iniziato da Reagan: il corteggiamento di fasce di elettori con posizioni più estremiste, quelle che anni dopo diventeranno la base elettorale di Donald Trump.

G.W. Bush, nella sua reazione al mondo post 9-11, non imparò la lezione del padre ma seguì le ideologie “neo-con” di uomini che avevano pur fatto carriera con Bush senior, come Dick Cheney e Donald Rumsfeld. L’invasione dell’Iraq del 2003, di cui il Medio Oriente e tutto il mondo pagano ancora gravissime conseguenze per le instabilità che provocò, è il sigillo di quello scritto all’inizio: le colpe del figlio in questo caso nel giudizio della storia saranno ancora più gravi proprio perché il padre non le avrebbe mai commesse.

A firma di Donald e Melania Trump, dal G20 in Argentina, è stato diramato uno dei pochi messaggi giusti di questa attuale presidenza, in cui si sottolinea come “con giudizio, buon senso e impassibile leadership Bush ha guidato il nostro Paese e il mondo verso una pacifica e vittoriosa fine della Guerra fredda”. E anche il presidente francese Macron ha sottolineato bene, in un suo messaggio, quanto Bush sr avesse a cuore l’alleanza con l’Europa, a differenza invece non solo di Trump, ma possiamo dire di tutti i presidenti dopo George H. Bush che non hanno più considerato l’alleanza (non solo militare ma di valori) atlantica come primaria.

George Bush non è stato un gigante alla Franklyn Delano Roosevelt, ma nei due secoli e mezzo della vicenda degli Stati Uniti d’America e della loro formidabile democrazia, può anche lui essere ad esempio di quanto sia fondamentale avere alla guida della nazione, nei momenti cruciali della sua storia, un  leader competente, pronto a riconoscere le decisioni giuste invece di essere impedito da interessi personali o da mancanze caratteriali.

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Stefano Vaccara

Stefano Vaccara

Sono nato e cresciuto in Sicilia, la chiave di tutto secondo un romantico tedesco. Infanzia rincorrendo un pallone dai Salesiani e liceo a Palermo, laurea a Siena, master a Boston. L'incontro col giornalismo avviene in America, per Il Giornale di Montanelli, poi tanti anni ad America Oggi e il mio weekly USItalia. Vivo a New York con la mia famiglia americana e dal Palazzo di Vetro ho raccontato l’ONU per Radio Radicale. Amo insegnare: prima downtown, alla New School, ora nel Bronx, al Lehman College della CUNY. Alle verità comode non ci credo e così ho scritto Carlos Marcello: The Man Behind the JFK Assassination (Enigma Books 2013 e 2015). Ho fondato e diretto (2013-gennaio 2023) La VOCE di New York, convinto che la chiave di tutto sia l’incontro fra "liberty & beauty" e con cui ho vinto il Premio Amerigo 2018. I’m Sicilian, born in Mazara del Vallo and raised in Palermo. I studied history in Siena and went to graduate school at Boston University. While in school, I started to write for Il Giornale di Montanelli. I then got a full-time job for America Oggi and moved to New York City. My dream was to create a totally independent Italian paper in New York to be read all over the world: I finally founded La VOCE di New York. In 2018 I won the "Amerigo Award". I’m a journalist, but I’m also a teacher. I love both. I cover the United Nations, and I correspond from the UN for Radio Radicale in Rome. I teach Media Studies and also a course on the Mafia, not Hollywood style but the real one, at Lehman College, CUNY. I don't believe in "comfortable truth" and so I wrote the book "Carlos Marcello: The Man Behind the JFK Assassination" (Enigma Books 2013 e 2015). I love cooking for my family. My favorite dish: spaghetti con le vongole.

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