L’arte dell’imprenditorialità annovera tra i suoi protagonisti l’imprenditore immaginativo, che è un funambolo e un possibilista. Egli si muove a mezz’aria dal grattacielo delle idee per raggiungere l’edificio del prodotto o servizio scaturito dall’idea coltivata. L’imprenditore funambolo tiene un atteggiamento mentale che lo accomuna agli artisti, agli inventori e ai ricercatori. Prendendo come pietra di paragone Philippe Petit, un inimitabile protagonista dell’arte del funambolismo, l’imprenditore impara ad accettare la sorprese della vita, costringendo all’angolo quel formidabile pugile che è l’impossibile, disattendendo le regole, dipanando la matassa ingarbugliata di un problema, rifiutando di concentrarsi su quella che secondo l’educazione formale e l’opinione generale è la risposta giusta.
Una volta che gli ingranaggi della fabbrica trasformano la materia prima (l’idea) in un prodotto che il processo manageriale porta sul mercato, l’apertura mentale e la sperimentazione imprenditoriale debbono confrontarsi con i vincoli delle risorse disponibili. Sono messe a dura prova dalle regole del management la visione e la passione dell’imprenditore che viene accusato di frivolezza e mancanza di praticità. Saltare insieme, imprenditore e management, gli ostacoli che si presentano lungo il cammino che dalla produzione sbocca nel mercato vuol dire praticare l’arte della consilienza, cioè della concordanza delle evidenze mostrate dalle due parti.
Venendo meno la consilienza, all’ascesa dell’imprenditore funambulo segue la sua caduta; talvolta, il suo ritorno sulla scena dell’azienda che lo avevo destituito. Apple e Olivetti sono tra i più noti casi di conflitto tra lo spirito caloroso dell’imprenditore funambulo e il cuore freddo del corpo manageriale. Lisa (il primo computer dotato di un’interfaccia grafica con mouse, icone e finestre) e il Macintosh furono due innovazioni notevoli che non dettero i risultati attesi. Steve Jobs, Superman ovverossia il Linceo dei nostri tempi dalla vista tanto penetrante da riuscire a guardare attraverso i muri della burocrazia aziendale, si scontrò con la cultura manageriale dell’uomo, il CEO John Sculley, proveniente dall’”acqua zuccherata” (una battuta di Jobs), la PepsiCo. Quella cultura si rivelò un boomerang che riportò sul podio Jobs.
La vista acuta di Camillo Olivetti, il fondatore dell’omonima impresa, e poi del figlio Adriano permise ai due Argonauti di guardare contemporaneamente al mercato e alla società civile quali partner dell’azienda. Morto Adriano, quando poi al vertice dell’Olivetti fu chiamato Roberto, suo figlio, l’azienda era ormai prigioniera della volontà dei manager di trasformare il capitale a loro vantaggio e in tempi relativamente brevi. Oscurò la visione dell’elettronica in cui Roberto credeva non solo la cultura della capitalizzazione così intesa, ma anche l’aver ritenuto di poter sottomettere ad essa il mercato e la società, visti come due soggetti passivi. Roberto dovette lasciare il ponte di comando.
Diversamente dal realista, l’enfasi posta sulla libertà dell’agire umano nell’uso del tempo e una disposizione creativa insieme al senso della possibilità sollecita l’imprenditore possibilista a interrogarsi su come le cose potrebbero andare in ben altro modo rispetto al passato.
Il possibilista è un fanatico che si proietta nel futuro perché pensa di sapere quello che il domani potrebbe essere, mentre il realista vive nel presente percependo solo quello che è oggi. Se il realista è Homo sapiens, quindi capace di pensare intelligentemente il presente, il possibilista è anche Homo sentiens, data la sua predisposizione emozionale ad apprezzare esperienze soggettive che lo proiettano in un futuro non prevedibile ma costruibile con la determinatezza dell’agire in modo straordinario. In fondo, egli è un poeta che, secondo il pensiero Aristotele, dovrebbe preferire una probabile impossibilità ad una possibilità non convincente.
Nel suo famoso romanzo incompiuto L’uomo senza qualità, lo scrittore e drammaturgo austriaco Robert Musil paragona “l’uomo dotato di un comune senso di realtà [a] un pesce che abbocca all’amo e non vede la lenza, mentre l’uomo dotato [di] senso della possibilità tira la lenza e non immagina neppure che vi sia attaccata un’esca. Se da un lato dimostra una straordinaria indifferenza per la vita che morde l’esca, dall’altro corre sempre il rischio di agire in modo assolutamente bizzarro”. È davvero persona bizzarra, priva di qualità, il possibilista? Per i possibilisti come Maxwell Alan Lerner, noto giornalista ed educatore americano, la qualità del possibilista è generare un’idea che infonde tanto coraggio da farla partire e tanta tenacità da “continuare a seguirla fino a vedere il seme di quell’idea affiorare attraverso la superficie sporca dell’impossibilità. Poi arriva il tempo in cui la si dovrà annaffiare e fecondare fino a quando arriva finalmente il giorno della raccolta del suo frutto”. In definitiva, il possibilista scopre panorami inediti, trovandosi altrove rispetto alla prospettiva dischiusa dal tempo presente.