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March 15, 2018
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Contro le macchine e il liberismo, perché l’infelicità non è un destino

Bisogna scommettere, in controtendenza rispetto al modello americano, sul lavoro umano invece che soltanto sul lavoro delle macchine

Francesco ErspamerbyFrancesco Erspamer
Contro le macchine e il liberismo, perché l’infelicità non è un destino

Charlie Chaplin in a famous scene from the film "Modern Times"

Time: 4 mins read

L’abbondante nevicata che martedì ha bloccato Boston mi ha fatto tornare in mente due microstorie parallele che mi sono accadute durante le scorse vacanze di Natale: situazioni molto simili, risultati diversi. Per capire, nel confronto fra Italia e America, quali siano le strategie del neocapitalismo, ancora controverse in alcune regioni, pienamente realizzate in altre.

A fine dicembre, in Trentino, per liberare il vialetto del garage in cui avevo parcheggiato la macchina dai quaranta centimetri di neve caduti nella notte, su indicazione di un amico ho chiamato uno del posto, M., che nelle altre stagioni si occupa di legna e di potature di alberi. È venuto con la sua ruspa e ha finito in un quarto d’ora, creando anche uno slargo per manovrare. Ha voluto venti euro. Pochi giorni dopo, mentre ero ancora in Italia, ha nevicato anche in Massachusetts e per evitare di trovare al mio rientro l’accesso alla casa bloccato, ho telefonato a C., che nel resto dell’anno fa il giardiniere: mi ha risposto che aprire un passaggio appena sufficiente per il passaggio dell’auto mi sarebbe costato 350 dollari. Ovviamente la neve me la sono tolta da solo appena tornato, come peraltro ho sempre fatto.

I due servizi erano identici e in entrambi i luoghi la neve non è un evento eccezionale: perché allora negli Stati Uniti il costo sarebbe stato quindici volte superiore, e neppure rispetto a una povera provincia del Mezzogiorno ma a una delle zone più prospere d’Italia? Credo che i motivi principali siano due. Il primo è che, in assenza di qualsiasi forma di assistenza e previdenza sociale, presenti invece in Trentino, un imprenditore americano, anche piccolo o agli inizi, deve guadagnare abbastanza da pagare a sé stesso e alla propria famiglia un’assicurazione medica, mettere da parte qualcosa per la vecchiaia, eventualmente consentire ai figli di frequentare un’università.

Il secondo motivo, dipendente dal primo, è che ormai nessun imprenditore americano lavora per vivere, magari agiatamente; lavora, spesso tantissimo, per diventare ricco. L’ossessione è crescere e continuare a crescere, rinunciando alle vacanze, agli svaghi e alla vita familiare e sociale, per accumulare più in fretta possibile un capitale che gli permetta, in aggiunta al mutuo di una banca, di espandere la propria attività schiacciando o assorbendo i rivali.

Quali sono le conseguenze di queste esperienze? Che se altre nevicate mi sorprenderanno in Trentino, chiamerò subito M.; a Boston invece mi sono comprato uno sgombraneve a turbina più potente; per settecento dollari, ossia l’equivalente di due prestazioni di C., ce ne sono di ottimi.

La morale è che se si lascia fare ai liberisti e al libero mercato le macchine (ci saranno presto robot sgombraneve) prederanno il posto dei lavoratori in ogni settore, creando disoccupazione, infelicità e forti tensioni. Ovvio, le macchine sono più convenienti, non hanno bisogno di costose cure mediche e di pensioni (quando si rompono o invecchiano si rottamano) né generano figli, anche loro costosi. Esprimono compiutamente la strategia di dominio assoluto del neocapitalismo: la tecnologia avrebbe potuto emancipare i popoli, stava anzi rischiando di liberarli dalla necessità e di dare loro il tempo e l’agiatezza sufficienti per occuparsi di politica (la politica la può fare solo chi non deve faticare tutto il giorno, aveva già compreso Platone), di cultura, di sé stessi. Un processo inaccettabile per i vincenti, nome oggi che si sono dati quei sociopatici, purtroppo presenti in ogni epoca e società, che non si accontentano di avere a sufficienza ma per sentirsi vivi devono avere molto più degli altri, possibilmente tutto.

La loro strategia è alzare esponenzialmente il costo del vivere umano e di conseguenza del lavoro: sovrappopolazione, sprechi e inquinamento, migrazioni di massa, edonismo, consumismo compulsivo, hanno questo effetto, gradito al potere finanziario: moltiplicare il costo dello spazio (urbano ma anche agricolo e naturale), delle risorse (sempre più scarse), dei beni un tempo comuni e gratuiti e oggi in via di privatizzazione e comunque fatti pagare (l’acqua e le foreste, per esempio), anche del tempo. In aggiunta, i servizi pubblici sono sotto attacco, generalmente con la scusa della loro inefficienza: provocata però, intenzionalmente, da tagli di spesa (resi necessari dalla concorrenza internazionale, dicono), da un garantismo ridicolo nei confronti dei nullafacenti, e da dirigenti inetti o corrotti. Infine, l’individualismo e la crisi del senso di appartenenza (a una comunità, a una religione, a una tradizione) hanno reso la gente esclusivamente preoccupata per la propria sopravvivenza personale, giustificando spese gigantesche per la salute, la sicurezza e l’aspetto (interventi estetici, moda, status symbol).

Di conseguenza costiamo di più delle macchine, che non hanno queste esigenze e si accontentano di poco. Per competere con esse tanti sono costretti ad accettare condizioni di sfruttamento e di miseria assoluta; ma il potere non è contento: i miserabili possono diventare pericolosi. Le macchine no. E chi non le vuole è un luddista, un relitto di tempi andati, incapace di adattarsi, dunque destinato a estinguersi. E per colpa sua.

Invece non è un destino: non ci sono destini, solo scelte e responsabilità. Non credo che la scelta migliore sia rinunciare alla tecnologia. La scelta migliore, semplice ma sgradita ai ricchi e alle multinazionali, è rendere il lavoro umano competitivo dando a tutti i cittadini, di diritto, un reddito sufficiente per vivere dignitosamente, dei sistemi sanitari, assistenziali ed educativi gratuiti ma di qualità, e infine alloggi alla portata di chiunque. Perché non farlo in Italia? Perché non scommettere, in controtendenza rispetto al modello americano, anche sul lavoro umano invece che soltanto sul lavoro delle macchine? Sull’eguaglianza invece che sulla presunta (e mai verificatasi nella Storia) generosità dei miliardari?

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Francesco Erspamer

Francesco Erspamer

Nato a Bari, cresciuto a Parma e in Trentino, laureato a Roma, professore a Harvard. Mi interesso di letteratura, politica, storia delle idee e cambiamenti culturali. Insegno corsi su estetica, romanzo moderno e contemporaneo, Rinascimento, calcio. Di recente ho scritto: La creazione del passato, Sulla modernità culturale e paura di cambiare, Crisi e critica del concetto di cultura. Come Gramsci, penso che al pessimismo della ragione occorra accompagnare l’ottimismo della volontà, e come James Baldwin, che la libertà non la si possa ricevere in dono: bisogna prendersela.

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