Nella località di Davos, circondata dalle cime innevate delle Alpi svizzere, sono appena iniziati i lavori del World Economic Forum che si protrarranno fino al 26 gennaio.
Numerosi i leader mondiali attesi, tra cui lo stesso presidente americano Donald Trump (in cerca di consensi e appoggi sia negli USA che fuori). Ad accoglierli, come ormai prassi usuale in questi meeting internazionali, una serie di eventi di puro spettacolo e che poco o nulla hanno a che vedere con i temi in scaletta. Il primo giorno, sono attesi Cate Blanchett, Elton John, Shah Rukh Khan, tutti in Svizzera non per salvare l’economia del pianeta, ma per ricevere i Crystal Awards e intrattenere i partecipanti.
A scaldare gli animi, ha pensato l’Oxfam che ha approfittato dell’occasione per presentare il rapporto “Reward Work, Not Wealth” (Ricompensare il lavoro, non la ricchezza).
Durissime le accuse contenute nello studio, frutto tra l’altro dell’analisi dei dati incrociati di Forbes, Credit Suisse e Banca Mondiale: “Delle ricchezze prodotte l’anno scorso, l’82per cento è andato a profitto dell’1per cento dei più ricchi della popolazione mondiale, mentre i 3,7 miliardi di persone che formano la metà più povera del pianeta non ne hanno visto niente”. In barba alle promesse e alle giustificazione dei governi di tutto il mondo, le politiche adottate non sono servite a ridurre la povertà o a risolvere questo o quel problema sociale o a sanare la disparità nel mondo e nei singoli paesi. Ma anzi hanno esattamente al contrario. Lo dimostra il fatto che a beneficiare di oltre l’80 per cento della ricchezza prodotta su tutto il pianeta è solo l’un per cento più ricco della popolazione. Alle fasce più povere della società speso non rimane nulla. Neanche le briciole della ricchezza per la quale, a volte, hanno dato la vita.
Secondo Oxfam, “Il sistema economico mondiale permette a un’elite fortunata di accumulare immense ricchezze, mentre centinaia di milioni di persone penano a sopravvivere con un salario minimo”. Dai dati forniti da Credit Suisse, la ricchezza delle 42 persone più ricche del pianeta sarebbe equivalente a quella della metà più povera della popolazione mondiale. Un dato che mostra una volta di più l’innalzamento del coefficiente di Gini (e che spiega come mai questo indice importantissimo non venga quasi mai inserito nei rapporti istituzionali).
E la situazione continua a peggiorare, anno dopo anno: “Dal 2010 – affermano i ricercatori di Oxfam – il patrimonio dei miliardari è aumentato in media del 13per cento all’anno, sei volte più velocemente che le paghe delle lavoratrici e dei lavoratori che sono aumentate in media solo del 2per cento all’anno. Tra il marzo 2016 il marzo 2017, il numero di miliardari è aumentato più rapidamente che mai, al ritmo di un nuovo miliardario ogni due giorni”.
La tanto sbandierata diminuzione del numero di persone costrette a vivere in condizioni di povertà estrema è frutto solo in parte di una crescita economica, potrebbe essere frutto di un gioco di numeri ottenuto abbassando le soglie di povertà (chi, prima, era in condizioni di povertà estrema, ora non lo è più pur avendo lo stesso reddito). Anzi, secondo l’Oxfam, “le diseguaglianze sono aumentate nello stesso periodo: 200 milioni di persone in più avrebbero potuto essere salvate dall’indigenza”, si legge nel rapporto.
Diverse le cause di tutto questo. A cominciare dalla “forsennata corsa alla riduzione del costo del lavoro che porta all’erosione delle retribuzioni”. In tutto il mondo, Italia compresa, è in atto una riduzione dei salari. E poi la “negligenza verso i diritti dei lavoratori e la drastica limitazione del loro potere di contrattazione nel mercato globale”. Numerosi gli esempi di questo fenomeno in tutti i paesi del mondo, anche quelli più sviluppati, come l’Italia o gli altri paesi europei. Ma anche la crescita smodata delle multinazionali, che ha favorito “processi di esternalizzazione lungo le filiere globali di produzione” e ha concentrato la produzione nei paesi con manodopera a basso costo. E quando in questi paesi, la classe dei lavoratori comincia a pretendere maggiori garanzie e diritti, la soluzione è sempre la stessa: spostare la produzione in altri paesi (come è avvenuto in Cina e in molti paesi orientali e, negli ultimi mesi, in Africa). Il tutto grazie alla “forte influenza esercitata da portatori di interessi privati, capace di condizionare le politiche” nazionali ed internazionali.
Questo non solo nei paesi in via di sviluppo (ai quali sono stati concessi limiti di gran lunga inferiori a quelli ragionevoli sia sotto il profilo sociale che sotto il profilo dell’impatto ambientale e sulla salute), ma anche in molti dei paesi cosiddetti “sviluppati”. A cominciare dall’Italia dove, secondo Oxfam, “a metà 2017, il 20per cento più ricco degli italiani deteneva oltre il 66per cento della ricchezza nazionale netta. Nel periodo 2006-2016, il reddito nazionale disponibile lordo del 10per cento più povero degli italiani è diminuito del 23,1per cento”. L’Italia si conferma uno dei Paesi più disuguali d’Europa, la globalizzazione neoliberista tanto osannata e pronunciata, a conti fatti, è servita solo a peggiorare la situazione e a favorire le fasce più abbienti della popolazione scaricando il peso degli errori legati a ingiuste e ingiustificate speculazioni finanziarie (e non solo) sulle spalle dei poveri, dei lavoratori e della classe media, che ora non ce la fanno più a sopravvivere.
I numeri del rapporto lasciano a bocca aperta: in 4 giorni, un amministratore delegato di una delle prime 5 firme della moda mondiale guadagna quanto guadagna in tutta la sua vita un’operaia tessile di uno degli stabilimenti da dove escono i prodotti venduti da quella stessa azienda. Poca la differenza negli “evoluti e sviluppati “ USA, dove un amministratore delegato guadagna in media in un giorno quanto un operaio in un anno. “Il boom dei miliardari non è il segno di un’economia florida, ma il sintomo di un sistema economico in crisi. Le persone che producono i nostri vestiti, assemblano i nostri telefoni e coltivano il nostro cibo sono sfruttati per assicurare un approvvigionamento continuo di prodotti a buon mercato e ingrossare i profitti delle multinazionali e dei loro investitori miliardari” ha detto Winnie Byanyima, direttrice generale di Oxfam International.
Il rapporto non ha mancato di sottolineare anche le differenze tra i sessi: “Oxfam parla alle donne di tutto il mondo, dove le ineguaglianze rovinano l’esistenza. Delle operaie delle fabbriche di vestiti, in Vietnam, che lavorano così lontano dalle loro case per guadagnare un salario così magro che non possono vedere i loro bambini per mesi. Delle operaie dell’industria avicola degli Stati Uniti che sono obbligate a portarsi la carta igienica per poter andare nelle toilettes. Delle impiegate negli alberghi in Canada e nella Repubblica Dominicana che tacciono sulle molestie sessuali di cui vengono fatte oggetto per timore di perdere il loro posto di lavoro”, ha detto Byanyima. Prima dell’inizio dei lavori per il World Economic Forum, il delegato dell’Oxfam ha invitato i leader mondiali a “limitare le remunerazioni degli azionisti e dei dirigenti di impresa e garantire alle lavoratrici e ai lavoratori un salario minimo “vitale” che permetta una qualità della vita decente” e ad “eliminare il gap salariale tra le donne e gli uomini e proteggere i diritti delle lavoratrici”.
Nel rapporto di Italia si parla poco. Ma in una lettera aperta ai politici del Bel Paese Oxfam Italia non ha dimenticato di fare un accenno alle prossime elezioni che si svolgeranno a marzo, chiedendo di dire “chiaramente quali misure concrete intendono mettere in atto per ridurre le disuguaglianze nel nostro paese”. Un invito finora rimasto inascoltato.
Di tutto questo, però, nei prossimi giorni, nella cittadina di Davos, coperta da una soffice coltre di neve, i leader provenienti da tutto il mondo non parleranno. Terranno sermoni sull’economia digitale (un modo per fare più soldi anche quando i soldi non ci sono?). Sui nuovi sistemi energetici (dopo il fallimento della COP23 e il passo indietro degli USA c’è poco da dire e molto da fare). Parleranno del “paradigma salute” (a che serve parlare di “Reshaping the industry”, rimodellare l’industria della salute, o di “Incentives for sustainable implementation” o di “Technologies for a more equitable healthcare eco system” quando nel mondo sono sempre di più le persone costrette a scegliere se mangiare o curarsi?). E di “Deal based global order” (e in Europa c’è chi pensa ancora di poter fermare il TTIP!). Non mancheranno discorsi sul “Towards better capitalism”, su un mondo che viaggia verso un capitalismo “migliore”! I partecipanti parleranno perfino del problema “migranti” (tema politically correct irrinunciabile) e di “stabilizzare il Mediterraneo”, ma in due sessioni separate: come se i due problemi non avessero niente in comune.
Nessuno, negli incontri appena iniziati, pare parlerà dei poveri che sono sempre di più e sono sempre più poveri e dei ricchi sono sempre più ricchi. E questo anche nella ridente cittadina di Davos, incorniciata dal panorama idilliaco delle Alpi innevate.