Ci sono tante belle realtà italiane nel New Jersey. Alla Montclair State University il programma di italiano e la Inserra Chair negli ultimi tempi stanno proponendo una serie di iniziative per scoprirle. Questa nuova sinergia combacia con degli obiettivi del mio corso Business Italian e per capire meglio cosa significa fare business in questa zona che non solo ha una forte presenza di cittadini italoamericani ma anche una certa “italsimpatia”, ho invitato all’Università Francesco de Grossi, Senior Vice President della Safilo USA, la cui sede americana che si trova a due passi dal nostro campus, a Parsippany.
La sua testimonianza ”From Bologna to the World: Italian tradition and know-how on the international market” insieme a una sessione di domande e risposte per i miei studenti e quelli di commercio internazionale del collega della Feliciano School of Business, Ric Jensen, hanno avuto successo. Il direttor de Grossi in seguito mi ha concesso una lunga chiacchierata in cui abbiamo parlato del New Jersey e della Safilo, del mercato internazionale e della lingua e cultura italiana.

Francesco de Grossi è appassionato del Made in Italy: l’artigianato, il dettaglio, la qualità. Laureato dalla Università di Bologna, la più antica università del mondo, de Grossi è stato responsabile della Nike America, liaison del Medio Oriente. Quando era al suo 12° anno con la società americana, lo ha chiamato un headhunter proponendogli di lavorare nel New Jersey per la Safilo. Non conosceva entrambi. È stata una esperienza inverosimile. Assunto al telefono, ha preso un aereo per il NJ il giorno prima della Befana del ’97, dopo aver preso un impegno per una missione di due anni. Adesso ne sono trascorsi venti.
La Safilo nel New Jersey. Com’è che si trova qui?
“È una domanda molto interessante. Racconto quello che posso ricordare. La Safilo in America inizialmente era in mano ad un distributore. Quindi il distributore aveva scelto certe location in sintonia con il suo business. Quando è arrivata la Safilo e ha rilevato il distributore, ha lasciato gli uffici dove erano a Fairfield nel NJ, c’era una fabbrica a New York, e ha mantenuto quella a Edison.
Quando sono arrivato 20 anni fa, dal Fairfield ci siamo spostati a Parsippany. Abbiamo preso gli uffici che erano della Tiffany, gioiellieri, ed era un grosso centro distributivo al centro con tutti gli uffici intorno. E da lì abbiamo gestito la distribuzione della Safilo verso il Canada e l’America e abbiamo ora 120 negozi specializzati come occhiali da sole sotto il nome Solstice. Inizialmente quel magazzino serviva sia gli occhiali da vista che gli occhiali da sole.
Poi abbiamo rilevato un’azienda che si chiama Outlook che è più specializzata nell’entry price ed è a Denver, in Colorado e abbiamo spostato quindi la gestione del sole come magazzino a Denver. In quanto il business del sole è legato al fashion, ai department stores, vive di una necessità di volumi da gestire al livello magazzino molto legati alla fine del mese, grossi picchi mentre il business dell’ottica è molto più piatto. Quindi si cerca di essere in località, dove c’è questa flessibilità al livello di gestione di questi volumi. Poi anche il settore occhiali da sole è andato a Denver e quello da vista è rimasto a Parsippany. Adesso abbiamo chiuso anche il magazzino per la divisione ottica e tutto è a Denver. A maggio, ci siamo spostando da Parsippany a Seacaucus”.
Insomma più vicino a New York.
“Sì. L’azienda cerca anche di attirare nuovi talenti quindi studenti che escono dall’università e che hanno voglia di lavorare. L’idea è che più sei vicino alla città, più è facile che ci sia questa attrazione anche per questi giovani talenti. In più, avendo una show room in Quinta Strada a New York, da dove gestiamo i department stores, il nostro Solstice, la catena, diventa più facile per la gestione, poter aver un ufficio centrale più vicino alla città”.

Quanto è forte il legame tra la Safilo a Padova e questa filiale nel NJ?
“Innanzitutto, l’entità di business North America rappresenta circa il 40% per il gruppo, quindi una forte connessione specialmente adesso che siamo in una fase di forte evoluzione da quello che era una azienda a conduzione familiare alla corporation. Ci da’ sicuramente più facilità ad una gestione centralizzata, globale. Stiamo sempre di più effettuando cross-training. Abbiamo manager e persone che da Padova vengono in America per aiutare a impostare un certo flusso, per condividere esperienze, e per imparare. Cerchiamo di essere globali ma essere anche rilevanti localmente quindi è un momento importante. E’ evidente che ci sono forti connessioni e aumenteranno sempre di più. L’idea è quella che in realtà, dovunque tu sia nel mondo, lo spirito dell’azienda resta lo stesso. E’ chiaro che ci sono delle esecuzioni che sono rilevanti al livello locale ma lo spirito, i processi, i contatti, le conoscenze… è importante che siano piuttosto sviluppati”.
Il mercato americano è quello più grande?
“No, il mercato europeo è abbastanza parentetico se non leggermente più grande. Dopo di che c’è quello americano”.
E quello asiatico?
“È una scommessa nel senso che è in forte evoluzione e richiede una presenza molto specifica perché è molto variegato da un mercato a quell’altro. Le tradizioni sono molto forti per cui è un mercato che è sicuramente una scommessa per il futuro. Ci sono grandissime potenzialità. Quello che è successo in passato è che—specialmente parlando del mercato cinese che è chiaramente il mercato per eccellenza per occhiali per il futuro—le persone che potevano accedere al lusso tendevano a comprarlo all’estero, non a comprarlo in Cina. Chiaramente bisogna piano piano far crescere in maniera maggiore in modo che l’acquisto avvenga sul mercato cinese”.
Infatti. Sembra che i turisti cinesi facciano molti acquisti in America e in Italia.
“Tant’è vero che i turisti, chiamiamoli consumatori cinesi, stanno aumentando sempre di più questa fascia media per la Cina. È un processo in atto da tanti anni e sta prendendo forma notevolmente, tende a valorizzare tutto quello che è il made in Italy, per esempio, perché il made in China è ritenuto molto più a buon mercato e solitamente favorisce gli acquisti all’estero”.
In che modo rappresenta la Safilo il made in Italy?
“Ci sono due aspetti del made in… Uno è l’aspetto del paese di origine, allora è logico che il prodotto è fatto in un certo paese e porta con se le caratteristiche di quel paese.
Quando si parla di made in Italy, si parla sempre di fashion, design, qualità, dettaglio, quindi è logico che qualsiasi entità o qualsiasi industria che seguendo quelli che sono i canoni legali—non è che io possa metter una come stampa, devo avere una giustificazione produttiva, e deve anche però sopportare quelle che sono queste caratteristiche.
E’ importante, in questo caso la Safilo fa un egregio lavoro, di sposare quello che è il dettaglio, la qualità, la ricerca con il made in Italy, di non svilire quello che è la forza del made in Italy”.

Durante la sessione domande e risposte, ha affermato l’importanza di stabilire un rapporto tra i business e le università. Qual è il valore di un tal rapporto?
“Sicuramente è importantissimo visto che gli studenti studiano per poter approdare al lavoro che vorrebbero, ma diventa anche produttivo come investimento. Se so già in che azienda io potrei andare a lavorare, a quel punto si può insieme, l’azienda e l’università, formare queste figure in maniera abbastanza specifica.
Ritengo che sia importantissimo per lo studente essere presente sul posto di lavoro sin dall’inizio per avere una idea di cosa vuole dire. Molte volte ci sono delle idee teoriche di quello che voglia dire lavorare in una certa industria o in una certa posizione. Magari accade che se faccio una prova e verifico, il lavoro non è quello che pensavo, non mi piace, oppure mi piacerebbe qualcosa altro. E’ molto importante che ci siano questi test, se vogliamo live, perché aiutano a prendere la direzione corretta e l’azienda può fare delle richieste specifiche. Guarda caso la scuola dell’occhialeria che abbiamo fondato in Italia è per cercare veramente di formare il futuro lavoro di quello di cui c’è bisogno”.
Lei ha avuto qualche stage all’Università di Bologna?
“All’epoca era sicuramente molto diverso. Non c’era questo collegamento. Innanzitutto l’Italia è sempre stata abbastanza timida in questi collegamenti, sono sempre stati dei blocchi abbastanza chiusi. Io ho fatto degli stage stagionali ma erano più per cercare di mettere da parte qualche soldo per poter mantenere la vita in generale, non dedicato a quello che poteva diventare a un futuro studio. Sicuramente, all’epoca ho viaggiato tantissimo… si parla di zaino.
Ritengo che sia molto importante proprio avere l’esperienza in quel caso del viaggio perché apre la visione non solo di quello che ci circonda ma anche di vedere le cose con occhi diversi, quindi di poter capire certi problemi e certe esigenze. Specialmente adesso in un mondo globale è una parola molto importante ma non così semplice renderla operativa e reale perché richiede la capacità di adattarsi a quello che localmente possono essere esigenza diverse”.
Com’è cambiata la sua esperienza alla Safilo da 20 anni fa ad oggi?
“In fase iniziale era più una figura di un distributore non di una filiale, anche se eravamo una filiale però si arrivava da un’esperienza da distributore. Molte delle persone che sono chiaramente passate dal distributore alla filiale avevano ancora questa mentalità o questo approccio al business. Quello che ho visto come sviluppo è che in realtà si era più un rappresentante — si faceva un ordine, arrivava un prodotto non c’era un approccio globale a introdurre la strategia dell’azienda, il prodotto, l’immagine. C’era più quello che era un obiettivo di budget, obiettivo economico. Ogni paese era lasciato a gestire molto indipendentemente il business quotidiano. Oggi questo non è più vero. Siamo un’azienda globale e come tale vogliamo che le strategie comunque vengano recepite al livello globale; poi è chiaro che ci possono essere delle esecuzioni che possono svariare a secondo delle esigenze locali però sicuramente è una presenza molto più forte. È la stessa componente presente nelle varie parti del mondo”.
Quali sono state le sue prime impressioni del New Jersey?
“Quando si parla del NJ si pensa sempre a Newark, criminalità, mafia, cemento…. non è ben visto il NJ in America. In realtà ho scoperto il NJ come uno spettacolo incredibile, dove c’è una presenza culturale molto variegata, una presenza anche chiamiamola fuori dall’America. Gioco a tennis con tutti gli americani ma c’è un sud africano, un inglese, un italiano quindi è bellissimo come mescolamento, in più è bellissimo fisicamente a me piace moltissimo l’outdoor, mountain bike, tennis, kayak, ci sono i laghi ci sono i boschi è uno spettacolo incredibile, è veramente una sorpresa spettacolare da cercar di tener segreto perché è già piccolo e c’è tanta gente, se diciamo che si sta bene poi diventa… Sono positivamente impressed”.
Cosa le manca più che altro dell’Italia?
“Ogni mese sono in Italia, non ho grosse mancanze se non quella della famiglia originaria. Sono il più vecchio di 7 fratelli e sorelle. Mio padre era pediatra (è venuto a mancare qualche anno fa) e come pediatra ha pensato di creare la clientela velocemente, meglio farla in casa”.

In famiglia in America, qual è il ruolo della lingua e cultura italiana?
“Lì sono delle scelte molto importanti. Noi per fortuna abbiamo sempre mantenuto un accento sulla heritage originale. Quindi mia moglie anglosassone ha sempre parlato inglese e io ho sempre parlato in italiano. Abbiamo fatto con i figli due anni in Italia mentre gestivo il Medio Oriente con la Nike, e lei parlava inglese e io italiano. I figli hanno imparato entrambe le lingue inizialmente. Per loro era una sola lingua, sceglievano la parola più semplice, per esempio era mela invece che apple, cheese invece che formaggio. Quando siamo arrivati qui la stessa cosa, lei ha continuato a parlare in inglese, io in italiano. Bisogna essere forti perché è chiaro per i bambini è qualcosa di diverso e possono esserci anche delle reazioni negative. Adesso i figli sono riconoscenti perché parlano la madrelingua e la “padre” lingua”.
E nel mondo del business?
“Fondamentalmente in certi settori, fashion, design, food, è essenziale. Importantissimo anche perché imparando la lingua si impara anche la cultura ed è una porta d’entrata per capire un mondo diverso”.
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