Dallo scabro altopiano etiope ai raffinati caffè mitteleuropei, la drupa rossa regala da secoli energia e aroma. Aldilà di leggende che ci parlano di pastori erranti, capre galvanizzate dalle bacche e monaci rinvigoriti dalla bevanda, dal punto di vista botanico (dunque scientifico) la pianta del genere coffea è un arbusto della famiglia delle Rubiacee, che cresce spontaneamente nella foresta africana e affonda le sue radici, letteralmente, in Etiopia, da dove si è diffusa in Arabia e nella fascia tropicale di Africa, Asia e America.
In Italia due sono le città tradizionalmente abbinate alla tazzina: Napoli e Trieste. In quest’ultima si tiene, a cadenza biennale, TriestEspresso Expo, il più importante appuntamento a livello mondiale dedicato alla filiera del caffè, quest’anno all’ottava edizione, svoltasi dal 20 al 22 ottobre nella suggestiva location dei magazzini del Porto Vecchio. Hanno partecipato importatori/crudisti, torrefattori, produttori di macchinari per la torrefazione e l’espresso, produttori di imballaggi, tazzine e merchandising connesso, nonché rappresentanti del settore servizi, da case di spedizione a banche, assicurazioni, compagnie di navigazione, associazioni.
Parterre internazionale

Per l’inaugurazione, accanto alle istituzioni locali, anche August Parengkuan, ambasciatore della Repubblica di Indonesia in Italia, Juan Mesa Zuleta ambasciatore della Repubblica di Colombia in Italia, e Jose Octavio Cardona Leon, sindaco di Manizales (Colombia), che nel suo vibrante intervento ha incoronato la sua città capitale del caffè per la produzione e Trieste capitale per quanto riguarda gli scambi e la lavorazione: un virtuale gemellaggio transoceanico, nel segno del chicco.
Patrizia Andolfatto, direttrice Aries (agenzia speciale della Camera di Commercio di Trieste, organizzatrice, in collaborazione con l’Associazione Caffè Trieste) ritrae l’essenzialità della fiera: “Qui si punta sulla qualità: le aziende presenti sono state selezionate; non inseguiamo grandi numeri, ma eccellenza, seppure, comprensibilmente, puntiamo a crescere. Ci sono paesi nuovi che si affacciano sul mercato, non consumatori tradizionali, come Giappone e Indonesia, legati più al tè, e comunque curiosi e desiderosi di apprendere conoscenze e tecniche”. Trend confermato da Parengkuan: “L’Indonesia ha fatto parecchi sforzi per ottenere un vantaggio competitivo cercando di migliorare i propri standard qualitativi. La partecipazione qui è strategica per aumentare le esportazioni verso l’Italia”.

Antonio Paoletti, commissario straordinario della Camera di commercio di Trieste, ha esordito: “Questa è un’edizione da record, grazie al 15 per cento di spazi espostivi in più, che ci hanno permesso di accogliere 202 espositori da 20 Paesi. E questo si è tradotto anche in un aumento dei visitatori, che ha superato quota 12.500, +16 per cento rispetto al 2014″.
Ma cosa c’è oltre all’Expo, che fa della città giuliana un allettante richiamo per il settore caffè (e non solo)? “Trieste è in ascesa – ha continuato Paoletti – e offre molte opportunità dal punto di vista della qualità della vita e degli investimenti, grazie alla buona infrastrutturazione e al porto franco; per le aziende che si insediano nel nostro territorio, la Regione Friuli Venezia Giulia garantisce, infatti, l’abbattimento dell’Irap dell’1 per cento, a cui si aggiungono le occasioni legate all’alta tecnologia, per la presenza di numerosi centri di ricerca di livello mondiale”.
Pari entusiasmo nelle parole del sindaco di Trieste, Roberto Dipiazza: “I have a dream: liberare la “città proibita”, quello che fu il porto austriaco, oggi Porto Vecchio, 65 ettari sul mare. Un’area straordinaria, che oggi è stata sdemanializzata e presto diventerà parte del Comune. TriestEspresso Expo è un’anticipazione di quanto succederà nei prossimi anni, ci fa vedere cosa si può fare e si farà. Noi ci troviamo nel magazzino 26, il cuore, ma ce ne sono un centinaio di edifici attigui e analoghi; in sintonia con la presidente della Regione, Debora Serracchiani, e con il commissario straordinario dell’Autorità Portuale, Zeno D’Agostino, qui vogliamo realizzare un polo museale dedicato al mare e c’è già l’idea di portare l’incrociatore Vittorio Veneto”. Si tratta di un portaelicotteri, in servizio dal 1969 al 2003 e in disarmo dal 2006, che dal 1971 al 1987 ricoprì il ruolo di Nave ammiraglia della flotta della Marina Militare italiana; il nome è eredità della nave da battaglia Vittorio Veneto della Regia Marina italiana, il meglio della produzione navale bellica nazionale della seconda guerra mondiale, entrata in servizio nel 1940 e demolita nel 1948 a seguito dell’armistizio, dopo una lunga serie di imprese.

Sapore di mare
Il commissario straordinario dell’Autorità Portuale di Trieste, Zeno D’Agostino, ha ribadito l’emozione di “entrare in Porto Vecchio e vedere la vita”. Trieste non è capitale del caffè a caso: “Il caffè è una delle merci più preziose che transita in questo porto, oltre agli altri traffici; altissimo valore aggiunto nel porto è, inoltre, l’attività svolta da Pacorini Silocaf, che valuta la qualità di ogni singolo chicco e seleziona. Abbiamo rivalutato l’utilizzo dei punti franchi e lo proponiamo alle imprese del caffè, potenzialità peculiari da sfruttare: qui si possono svolgere attività uniche, come quelle di manipolazione e trasformazione delle merci, e possiamo avvalerci di un’agile logistica. Nel primo semestre 2015 il volume di traffico di caffè è stato pari a 50.949 tonnellate mentre nel primo semestre 2016 è pari a 66.093 tonnellate, con un incremento del +29,72%. Complessivamente nel 2015 nel Porto di Trieste sono state movimentate 108.696 tonnellate”.

Una meta, dunque, quella triestina, che si candida ad un rinnovato ruolo chiave in campo commerciale, riallacciando il filo storico con l’epoca austriaca, che, facendo leva su una strategica posizione geografica, fece di quello locale il porto principale dell’impero, nonché, di riflesso, intersezione culturale fra latini, germanici e slavi. Fabrizio Polojaz, presidente Associazione Caffè Trieste, la più antica d’Italia (125 anni, la terza per anzianità in Europa dopo Amburgo e Amsterdam), mette ancora più a fuoco le motivazioni che, nei secoli, hanno fatto di questa città il faro del caffè: “Trieste è frontiera multietnica: qui abbiamo imparato a fare il caffè buono per tutti, grazie a conoscenze stratificate nel tempo, mercantili e produttive”.
Un caffè in triestino

Nei dintorni immediati della scenografica piazza Unità, gravitano alcuni tra i caffè – inteso come locale di degustazione – più suggestivi e carichi di anedottica culturale, per la frequentazione, tra gli altri, di illustri nomi della letteratura. Può sorgere il dubbio di non saper scegliere tra il caffè – inteso come bevanda – più buono, soprattutto per il turista, ma Polojaz scioglie con semplicità il dilemma: “La scelta si basa solo sul gusto personale, perché il caffè medio, a Trieste, è comunque superiore rispetto alla media qualitativa. Diciamo che un americano qui trova la manna, considerando quanto adesso anche negli USA l’espresso fatto come si deve, sia di moda e giustamente apprezzato”. Divertimento addizionale, è la decodificazione delle varianti: per fingersi disinvolti indigeni, non ordinate un caffè macchiato caldo, ma un “capo”, e per immergervi ancor di più nel clima, chiedetelo “in b”, ovvero nel bicchierino di vetro sfaccettato, nel “bicierìn”. Già, qui c’è un vero dizionario della tazzina e, soprattutto, c’è l’idea della pausa caffè rituale, non volante: bere un caffè è un momento di relax, di coccola personale, di corretto godimento di una buona bevanda.
Sostenibilità in compresse
Polojaz ci porta alla scoperta non solo dei lati serenamente terapeutici di una meditata degustazione, ma anche di un bel progetto green presentato in anteprima a TriestEspresso Expo: Tablì, la prima compressa di caffè totalmente ecologica, essendo al 100% naturale e biodegradabile, senza additivi, priva di protezione e contenimento (quindi senza rivestimenti inquinanti, che siano in alluminio, carta o plastica). In altre parole: non ha involucro, ma non si sbriciola e si colloca perfettamente nell’apposito vano sia della macchina espresso che della moka.

“Volevamo trovare un modo per la produzione e il recupero di caffè che rispettasse completamente l’ambiente – spiegano Massimo Chenda, Fabrizio Polojaz e Andrej Godina di Caffemotive, rispettivamente project leader e curatore commerciale e scientifico del progetto – e abbiamo così iniziato un percorso sperimentale con Andrea Bacchi, responsabile R&D, riuscendo a brevettarne il processo e a realizzare la prima macchina Genesi I, che usa un’innovativa tecnologia di compattazione, in grado di dare forma e consistenza al caffè macinato senza alterarne la resa in tazza o il gusto, ma anzi assicurandone un’estrazione perfetta. La forza di Tablì, inoltre, è che sarà declinabile in molteplici versioni”. Bacchi, cordialissimo progettista, ci ha svelato che la lampadina per questa invenzione (ora supportata sinergicamente da Altromercato) si è accesa per caso, una notte, grazie ad un sogno, ad una sveglia e ad un esperimento col microonde… evidentemente riuscito!
Caffè in numeri
A TriestEspresso Expo era presente anche Robério Oliveira Silva, direttore generale dell’International Coffee Organization, Mr. Coffee, su platea mondiale, che ha snocciolato dati importanti e che supportano quanto già descritto dai rappresentanti delle realtà locali: “Il porto di Trieste rappresenta il 25 per cento dell’importazione italiana di caffè e l’Italia ha un ruolo importante, in quanto patria dell’espresso. Trieste è la capitale del caffè d’Italia, ci sono molte aziende, realtà e istituzioni collegate al settore, tra cui l’Università del caffè di Illy Caffè.

TriestEspresso Expo ricopre, dunque, un significato storico collegato a questo commercio. Il mercato tra il 2015 e il 2016 ha subito una contrazione, il consumo ha raggiunto livelli record, mentre la produzione ha subito un rallentamento. Questo è il secondo anno consecutivo nel quale i consumi hanno superato la produzione, ma non c’è carenza, grazie agli stock immagazzinati. L’aumento della domanda ha avuto effetti contrastanti sui prezzi, che tra ottobre 2014 e inizio 2016 avevano subito una caduta in conseguenza delle forti esportazioni, mentre ora abbiamo un rialzo. A lungo termine ci sarà un aumento della domanda di caffè e, per le molte sfide che ci aspettano, è essenziale, per garantire il futuro della filiera, la collaborazione tra pubblico e privato”.
Un affare di famiglia
Uno scorcio sul panorama attuale è stato offerto anche da Enrico Venuti, presidente CdA della storica azienda Sandalij Trading Company, che ha festeggiato a TriestEspresso Expo i settant’anni, sigillati da una miscela stupenda, Ossimoro, copyright Edy Bieker, maestro assaggiatore e amministratore delegato. “Il nostro mercato – ha raccontato Venuti – è rappresentato da un 60 per cento di torrefazione italiana e il resto proveniente dall’estero, tra USA, Australia, Russia, Israele, Europa dell’Est: un mercato globale, questo perché si sta diffondendo la cultura dell’espresso all’italiana. Una bevanda diventata un trend, un cult, specialmente negli Stati Uniti: è cool andare bere un espresso, inteso però non come fugace intermezzo della giornata lavorativa, come da noi, bensì come rito, sull’esempio del tea time inglese”.


La solida base Sandalij è radicata nel passato: dal 1946 Antonio Sandalij avviò una società di import-export di chicchi crudi nel porto di Trieste, facendone l’attività di famiglia per le generazioni successive; attualmente è in grado di offrire più di un centinaio di tipologie di caffè, tutte accuratamente vagliate. Nessuno dei lotti viene acquistato solo su descrizione, ma tutte le varietà e origini vengono assaggiate con il sistema espresso e, se approvate, i campioni di pre-imbarco e sbarco sono ri-testati in laboratorio. Una scrupolosa attenzione accompagna la ricerca, il reperimento e l’importazione, nonché la creazione di miscele: un esempio di zelo aziendale che spiega bene perché Trieste è diventata la città del caffè, aldilà della sua marina.
La storia d’Europa… nei fondi di caffè
Poter risalire nella propria genealogia fino al Medioevo è cosa rara e suggestiva: può vantarla Alberto Gattegno, presidente onorario dell’Associazione Caffè Trieste (titolo assunto alla scadenza del mandato ufficiale), incarnazione di 60 anni nel settore e memoria di tre generazioni. Allo stand Sandalij abbiamo incontrato un uomo-icona del vincolo tra caffè e città, il cui racconto ci porta nell’impero ottomano alla metà dell’Ottocento, precisamente a Salonicco, l’antica Tessalonica, “uno dei pochi posti dove gli ebrei erano accettati”, ci ha spiegato Gattegno. La città ha infatti ospitato, fino alla Seconda guerra mondiale, un’importante comunità ebraica di origine sefardita (unico esempio conosciuto nella diaspora, in cui una grande città ha conservato una maggioranza di popolazione ebraica per secoli), giunta principalmente a seguito dell’espulsione dalla Spagna nel 1492, col decreto di Alhambra.

A questo flusso migratorio si unì anche la famiglia Gattegno: l’appartenenza ad un gruppo circoscritto, mantenne più tracciabile la catena generazionale ed è così che oggi Alberto Gattegno può provare le sue radici così profonde. “Il mio bisnonno mandò mio nonno Benveniste a Trieste, allora fulcro commerciale dell’impero austriaco, un mercato rampante nell’Europa dell’epoca, in ascesa, a fronte del declino dei vicini veneziani, per aprire una filiale del commercio zuccheri, di cui ci occupavamo” e con azzeccata intuizione, Benveniste abbinò allo zucchero il caffè, inserendosi nel fiorente settore.
Il 17 settembre 1891 nacque a Trieste l’Associazione degli interessati nel commercio del caffè, presieduta da Tönnes Konow; “Il gruppo visse anni d’oro fino allo scoppio della Prima guerra mondiale e vide mio nonno diventare presidente, dal 1925 al ’34; poi, con l’introduzione delle leggi razziali, iniziarono i momenti duri: il nonno dovette dare le dimissioni, la famiglia si rifugiò in Svizzera e là io frequentai la prima elementare. Rientrammo dopo la Seconda guerra mondiale, nel ’45 mio padre Silvio venne eletto alla presidenza dell’associazione e mantenne la carica fino al ‘62”.
Nel frattempo Alberto Gattegno, dopo la maturità classica, cominciò l’apprendistato nell’attività, imparando dal basso il mestiere. “Mi arruolai volontario per il servizio militare, in cavalleria, in tal modo acquistai la cittadinanza italiana, essendo noi ancora spagnoli, pellegrini in Europa dopo la fuoriuscita nel Quattrocento. Prima di arrivare a Salonicco, i miei avi si erano fermati in Nord Europa, poi a Costantinopoli, che ancora non si chiamava Istanbul”. La malattia e la scomparsa del padre lasciarono sulle spalle del giovane Alberto l’azienda di famiglia, “ma io già lavoravo altrove, dunque liquidai la mia attività e mi dedicai alla vendita del caffè”. Negli anni Ottanta entrò nell’Associazione come consigliere e nel 1993 fu eletto presidente, fino al 2003. Tante e originali le “invenzioni” di Gattegno per promuovere e valorizzare il settore, dai corsi sul caffè alla stessa biennale TriesteEspresso Expo, oltre a una lunga serie di articoli per Il Sole 24 ore, pubblicati mensilmente per una decina d’anni, a fare il punto sulle dinamiche del mercato del chicco.
Passeggiate al caffè
Vetrina di attualità e opportunità, TriestEspresso Expo 2016 si è rivelata anche una meritata valorizzazione del Porto Vecchio. C’è, in questa manifestazione, una pluralità di significati, che spaziano dal commerciale al culturale, e non solo per chi beve caffè: segnali di attività importanti, in un contesto economico nazionale ed esterno che ancora fatica a ritrovare energia motrice. Usciti dall’area Expo, il congedo – e non poteva essere altrimenti – è con un ultima tazzina alla Mokape: ultima moda, non poteva mancare anche qui il food truck dedicato. Chiuse le porte di questa edizione dell’Expo, l’aroma d’espresso resta a Trieste dove in ogni momento dell’anno si può vivere l’esperienza del caffè e ripercorrerne la storia nelle tante caffetterie della città.

Nel centro di Trieste, si può fare un gustoso e affascinante tour dei locali storici. Partendo dalla scenografica Piazza Unità – tre meravigliose quinte architettoniche fronte mare – la prima tappa è il Caffè degli Specchi, inaugurato nel 1839, frequentato da Joyce, Kafka e Svevo. A breve distanza, su via Battisti, il Caffè San Marco risale al 1915 ed era ritrovo di giovani e studenti, di intellettuali e irredentisti: funzionava anche come laboratorio di produzione di passaporti falsi per permettere la fuga in Italia dei patrioti antiaustriaci. Anche qui bevevano il loro bicierìn Svevo, Joyce, Kafka e, in tempi più recenti, Claudio Magris.
Nella vicina piazza Tommaseo si trova l’omonimo Caffè Tommaseo, il più antico della città: 1830. Pochi passi ed ecco, in galleria Tergesteo, il Caffè Tergesteo, 1863, e, accanto alla chiesa serbo-ortodossa di San Spiridione, il Caffè Stella Polare, aperto nel 1865 e, dopo la Seconda guerra mondiale, convertito in sala da ballo frequentata dai soldati anglo-americani e dalle ragazze del posto: un vero palcoscenico per incontri, che, nella migliore delle ipotesi, sfociarono nel happy ending nuziale.

Rimaniamo in centro e troviamo il Caffè Urbanis, del 1832, caratterizzato da un mosaico a pavimento dalle simbologie marine e mitologiche; entrare nel Caffè Torinese invece significa rivivere traversate d’altri tempi, circondati dagli arredi creati nel 1919 dall’ebanista triestino Giuliano Debelli, già curatore degli interni dei transatlantici di lusso, Saturnia e Vulcani.
Dulcis in fundo, la pasticceria Pirona, sorta nel 1900 in stile liberty, subito meta di nobiltà e borghesia e frequentata, ormai è intuibile, da intellettuali e scrittori, fra tutti James Joyce, che, dal 1910 al ’12, abitò al numero 32 della stessa via, largo Barriera Vecchia.