Continua inarrestabile il flusso di migranti che attraversano il Mediterraneo diretti in Italia, sperando, forse, che questa possa essere la porta dell’Europa. Ma i paesi europei da tempo ormai hanno chiuso definitivamente le frontiere ai migranti. Ormai anche i richiedenti asilo politico o i rifugiati spesso vengono rispediti in patria o nel paese di provenienza (in piena violazione degli accordi internazionali) in cambio di aiuti finanziari. È quanto è successo con la Turchia ed è quello che sta avvenendo in Afghanistan: la Commissione Europea ha deciso di concedere aiuti economici al paese mediorientale, da anni vittima di guerre e scontri, in cambio della possibilità di rimandare in patria buona parte di quanti, giunti in Europa, sono in attesa di riconoscimento dello status di profughi o di rifugiati. L’accordo chiamato Joint Way Forward prevede che quanti vedono rifiutato il diritto di asilo (o non lo hanno ancora ricevuto) vengano rispediti a casa.
Anche in Italia il numero di richiedenti “asilo politico” e “rifugio” è in aumento. Per contro è in netto calo il numero delle istanze accolte. Segno, forse, che la maggior parte di quelli che attraversano il Mediterraneo diretti in Italia sono semplici migranti in cerca di un posto diverso dove vivere.
Nelle ultime settimane, ciò che sorprende più di ogni altra cosa è il diverso atteggiamento da parte dell’Unione Europea (e dei paesi che ne fanno parte) nei confronti di questo fenomeno geopolitico.
Se da una parte il “governo centrale” dell’Unione ha cercato in Turchia e in Afghanistan di convincere (a colpi di finanziamenti) i paesi d’origine a riprendersi i profughi, in Francia si è agito diversamente: a Calais in prossimità della frontiera con il Regno Unito, le autorità d’oltralpe hanno prima allagato i campi in cui si erano raggruppati i migranti in cerca di trovare un posto dove insediarsi. Poi hanno deciso di sfollare i pochi rimasti da quella che non a caso veniva definita una “giungla”.
Ben più radicale l’approccio della Grecia dove le autorità hanno deciso di ricorrere alle maniere forti per evitare gli sbarchi sulle coste elleniche. È emerso da una denuncia di Zach Campbell per The Intercept , che risale ad agosto, dove si parlava dell’uso di armi da fuoco contro i gommoni di migranti nel mar Egeo. Per questo, 42 parlamentari europei hanno chiesto chiarimenti al coordinamento di forze dei paesi europei di terra, d’aria e di mare, detto Frontex, con un’interrogazione al Parlamento Europeo indirizzata al Direttore Esecutivo dell’Agenzia, Fabrice Leggeri, e per conoscenza al Commissario per i diritti umani del Consiglio d’Europa, Nils Muižnieks, e a Emily O’Reilly, Mediatrice europea dal 2013.
Sconvolgente la risposta del responsabile di Frontex che ha affermato che a sparare sui barconi di migranti che tentavano la traversata dalle spiagge turche verso le isole elleniche sono stati i mezzi della Guardia Costiera greca che opera nell’Egeo “assieme a Frontex” e che, secondo il Codice di Condotta di Frontex (articolo 20/2), sarebbe giustificato “l’uso delle armi assoggettato ai principi di necessità e proporzionalità”.
Difficile quantificare i concetti di “proporzionalità” e “necessità”, ma soprattutto, è inaccettabile che, in mare aperto e a distanza elevata, dei miliari possano sparare sui motori (come prevede il protocollo) dei barconi: mirare “alla carena o ai motori fuori bordo”, come prescriverebbe il protocollo, non basta a garantire di non fare del male alle persone a bordo (basti pensare a cosa accadrebbe se la benzina che alimenta il motore, si incendiasse). A riprova di ciò, nelle scorse settimane, alcuni profughi siriani sono rimasti feriti mentre si trovavano a bordo di un vascello guidato un pescatore turco nei pressi dell’isola di Chios.
Anche in Italia non sono stati infrequenti gli scontri armati in mare aperto. Solo che a sparare, in questo caso, spesso sono navi pirata o addirittura la Guardia Costiera libica (che in diverse occasioni – e per di più in acque internazionali – ha aperto il fuoco sulle imprecazioni di una Ong tedesca che si occupa di ricerca e soccorso in mare, e nei confronti della nave Buorbon Argos di Medici Senza Frontiere).
Quanto è accaduto è la riprova che, al di là di belle parole e di promesse, l’Unione Europea è tutt’altro che “unita”. Le promesse più volte fatte dai paesi europei ad altri paesi europei di ridistribuire i migranti sbarcati in Italia e in Grecia non sono mai state realmente mantenute (solo una ridottissima parte delle migliaia di persone che avrebbero dovuto essere trasferite hanno realmente varcato la frontiera). E il modo di affrontare il problema dei migranti di molti paesi europei è ben diverso da quello italiano.
Una differenza che lascia il posto a molti quesiti: perché approcci così diversi allo stesso problema? E perché, mentre in Italia, si fa di tutto per prendere i migranti (quasi mai rifugiati o profughi) e scaricarli nei porti italiani (lo fanno anche le navi delle marine di paesi europei che partecipano a Frontex), in altri paesi si spara sulle imbarcazioni con a bordo i profughi siriani o li si rimanda nel proprio paese (ben sapendo che, in questo modo, si mettono a rischio le loro vite)?
E come mai nessuno ha posto la questione in Parlamento non quello europeo, ma quello italiano?
Tante, troppe domande sul tema dei migranti. E mentre si aspettano risposte che forse non arriveranno mai, il numero di quelli che sbarcano sulle coste del Bel Paese continua ad aumentare….