L’abbiamo detto e lo ribadiamo: mentre la politica siciliana continua ad affossare l’Isola (Eurostat ha certificato che la Sicilia, in termini di occupazione, è all’ultimo posto in Europa), ci sono imprenditori siciliani che fanno miracoli. E che ottengono grandi successi, nonostante le difficoltà legate a una terra nella quale è difficile operare tra tasse alle stelle e altre difficoltà logistiche (per esempio, la viabilità stradale delirante). E’ il caso di Franco Di Miceli, imprenditore del vino tra i primi a scommettere sui vitigni dell’Etna quando tutti a abbandonavano quella che a Catania e dintorni viene chiamata “la Montagna”. Franco Di Miceli, agronomo ed enologo, titolare delle ‘Cantine Patria’, con sede a Castiglione di Sicilia, sull’Etna, si è inventato il vino senza alcol. Un prodotto che ha già venduto a un emiro del Qatar.

Il Commendatore Franco Di Miceli
Insomma, il Commendatore Francesco Di Miceli, che nel mondo del vino è conosciuto come Franco, ha inventato un prodotto da vendere agli arabi che, notoriamente, non consumano alcol. A noi la notizia ha un po’ incuriosito, perché un vino senza alcol può sembrare una mezza contraddizione. Soprattutto in una Sicilia dove i vini, per tradizione, sono ricchi di zucchero che si trasforma, appunto, in alcol. Vini, quelli siciliani, che in un passato non lontano, proprio per la buona concentrazione di zuccheri e di alcol, andavano a rinforzare i vini un po’ ‘deboli’ della Mitteleuropa (ancora oggi c’è chi sostiene che certe uve siciliane particolarmente ricche di zuccheri alimentino, sottobanco, la produzione di vini liquorosi e di altri prodotti: ma questa è un’altra storia).
A noi, oggi, interessa la storia di questo vino siciliano senza alcol. E, naturalmente, la storia di chi lo produce. Cioè l’avventura imprenditoriale di Franco Di Miceli, che in realtà ha mosso i primi passi a Monreale con il papà Bernardo Di Miceli, ch assieme ad altri agricoltori, nel 1950, rileva un feudo del duca Papè. Ma, forse, Monreale a Franco Di Miceli andava un po’ stretta. Così nel 1998 si trasferisce sull’Etna, scommettendo sulla vecchia cantina ‘Torrepalino’ con sede a Solicchiata, contrada di Castiglione di Sicilia, provincia di Catania, paese di profumi e colori che si staglia nel versante nord etneo, a circa 700 metri sul livello del mare. Il luogo è semplicemente eccezionale, se è vero che Castiglione di Sicilia è adagiato tra il Parco dell’Etna, il Parco fluviale dell’Alcantara (l’unico Parco fluviale della Sicilia) e il Parco dei Nebrodi. Ragazzi, paesaggi unici (soprattutto se ci si affaccia dall’anfiteatro che Franco Di Miceli ha realizzato sempre dentro l’azienda, luogo dove vino e cultura s’incontrano tra spettacoli musicali e teatrali).
In questi luoghi vedono la luce vini eccezionali: i bianchi e i rossi dell’Etna che anche Franco Di Miceli produce con successo. E qui è nato anche il vino senza alcol. Creatura complicata, a quanto ci racconta il protagonista: “Eh già – ci dice Franco Di Miceli – perché il vino senza alcol non nasce certo dal nulla. Al contrario, è il risultato di una sperimentazione che portiamo avanti da almeno nove anni”. Nei laboratori delle ‘Cantine Patria’, per la cronaca, operano biologi, chimici e naturalmente enologi. A cominciare dallo stesso amministratore unico della società che, come già ricordato, è un enologo. La domanda, a questo punto, è d’obbligo: Commendatore, ma come avete fatto a creare un vino senza alcol? Franco Di Miceli sorride: “Questo, se mi consente, è un segreto. Quello che posso dire è che abbiamo lavorato sodo con alcuni enzimi. Operando con uve acerbe”.
Piano piano cominciamo ad entrare tra i ‘segreti’ di un prodotto che non è ancora contemplato dalla legislazione italiana. Proviamo con qualche battuta a sollecitare il Commendatore: “Sa – osserviamo – nell’Unione Europea si possono produrre succhi di frutta senza frutta, cioccolato senza cacao, formaggi senza latte e anche vini senza uva. Tutto sommato ci siamo…”. Franco Di Miceli torna a sorridere: “Calma – replica – il nostro vino senza alcol è prodotto dall’uva. Dall’uva verde, ancora non matura e, quindi, priva di zuccheri. Ma è sempre un vino prodotto dall’uva”.
Inutile insistere sulla combinazione degli enzimi e, in generale, sulle tecniche enologiche con le quali alle ‘Cantine Patria’ sono arrivati a produrre il vino senza alcol. Ma almeno – torniamo alla carica – ci dice quante bottiglie ne avete già venduto? “Quasi centomila bottiglie – ci risponde Di Miceli -. Tutte vendute a un emiro del Qatar. E’ lui che ha commercializzato il nostro prodotto. E’ rimasto molto soddisfatto. Tanto che ne vorrebbe un container al mese. Insomma, circa quattordici mila bottiglie ogni trenta giorni. Un bel numero, no?”.
Affare fatto, allora? “Diciamo che stiamo trattando – ci risponde sempre Di Miceli -. Sa, produrre questo particolare vino ha un costo. Stiamo discutendo per metterci d’accordo sul prezzo”.
A quanto ci racconta Di Miceli, le prime sperimentazioni sono state fatte con vini bianchi prodotti con una serie di cultivar o varietà: Chardonnay, Catarratto e altri vitigni. “Adesso – aggiunge – stiamo lavorando sui vini senza alcol monovarietali bianchi e rossi. Il Nero d’Avola, il Nerello Mascalese e il Merlot per i rossi e il Catarratto, il Caricante, l’Insolia, lo Chardonnay e qualche altra cultivar per i bianchi”.
Lo confessiamo: non abbiamo gustato il vino senza alcol. In compenso, visto che Di Miceli è un grande esperto, gli abbiamo chiesto ‘lumi’: ma alla fine ‘sto vino senza alcol che sapore ha? Il manager delle ‘Cantine Patria’ ci racconta che il prodotto mantiene un sapore di uva. Anche se il tono classico del vino non va certo perduto: “Nel Nero d’Avola senza alcol – racconta – si sente sempre il gusto della fragola. Ma è un po’ diverso: magari un po’ addolcito”.
A conti fatti, come dire?, gli arabi, ormai, non avranno più alibi. Non potranno affermare: “Il vino no, perché è una bevanda alcolica”. Non è un caso, volendo, che questo prodotto sia germogliato proprio in un’Isola, la Sicilia, che con il mondo arabo ha un legame antico e forte. Anche se non mancano quelli che vorrebbero sminuire la presenza della cultura araba nell’Isola, peraltro rafforzata dal ‘Percorso arabo-normanno’ che l’Unesco, di recente, ha inserito nella propria lista dei beni culturali da tutelare. Con riferimento, soprattutto, alle cattedrali di Palermo, Monreale e Cefalù.