Da parte di un Siciliano che conosce le infinite invasioni della sua isola dai tempi mitici dei Minoici della talassocrazia e dell’arrivo di Minosse, nostro primo ospite, attraverso Siculi e Sicani, Punici di Cartagine, coloni Sicelioti di Ellade tutta, Romani, Bizantini, Musulmani, Normanni, Svevi, Aragonesi, Angioini, Spagnoli, Austriaci, Borboni, etc. per finire con i Piemontesi di Savoia, per un Siciliano che è come e ancor più di New York il risultato di millenni di melting pot.
Da parte di un Siciliano che ha avuto nonno e figlio immigrati in USA e che ha seguito tutte le loro peripezie attraverso le cellette al secondo piano di Ellis Island; che ne ha rivissuto le umilianti discriminazioni, visitando il Museo che è stato allestito, onore a NY, nel luogo della miseria e della degradazione. Per lui che con dolore ha appreso come da lì passassero solo i poveri che giungevano nell’infima classe di malandati piroscafi e non i ricchi paganti in prima classe. Quanti piroscafi di bambini reclutati a Napoli!
Ad una Nazione che ha avuto il coraggio di eleggere Presidente un uomo di colore, per di più di ultimissima generazione e con radici recentissime e con un padre vivente in Kenia.
Ad una Nazione che potrebbe abbattere l’ultima barriera discriminatoria, quella del gender, proponendo con molta probabilità Ms. Clinton a Presidente democratica.
Con questi presupposti un Siciliano, che è stato da secoli razzialmente discriminato negli USA dai wasp, vuole umilmente ricordare che non si riabilita un popolo, non si riconoscono le infamie subite e i massacri patiti, non si affermano i propri diritti, togliendoli ad altri che se li sono conquistati con sacrifici inauditi, con la fatica e il sudore del lavoro, con il sangue talvolta, che se li sono ampliamente meritati per secoli in tutti gli Stati dei moderni USA, nati dalla rivoluzione liberale. Ometto di ricordare il sacrificio di Sacco e Vanzetti, ma cito per tutti il piccolo grande Fiorello La Guardia, che commuove con il suo spirito battagliero al Greenwich Village.
Il valore di una Nazione che si può dichiarare veramente civile sta nell’aggiungere onori a chi li merita e non toglierli, la democrazia e l’uguaglianza stanno nell’accrescere lode ai valori e ai meriti dei suoi cittadini tutti, nessuno escluso, non nel toglierli a qualcuno per concederli ad altri.
Perciò è semplicemente ridicolo volersi appropriare di una semplice data del calendario, il 12 ottobre, da secoli segnata per convenzione come celebrativa di un fatto storico, per esaltare una condizione di natura che nulla a che spartire con quel giorno specifico, l’Indigenous People’s Day. A parte che trovo indegno ed offensivo denominare “indigeni”, con termine spregiativo della cultura occidentale dei Bianchi, coloro che sono nativi del luogo, cioè autoctoni, per costoro questa data non significa nulla, non ha alcun valore storico o simbolico. L’adozione è soltanto una ripicca “versus” un altro popolo, gli Italiani, che hanno sofferto come e quanto loro discriminazioni e soprusi.
Sarebbe più logico celebrare la loro festa il 4 luglio, quando tutto, dico tutto il popolo americano conquistò la sua reale e vera libertà dai reali e veri conquistatori, gli Inglesi (non gli Italiani), e divenne Nazione libera con solide radici massoniche basate sui principi della rivoluzione francese e dei diritti naturali delle genti.
Per celebrare l’offesa che è stata perpetrata ai popoli del luogo che, prima degli Europei, vivevano nella loro terra da sempre, non serve perciò togliere l’onore agli Italiani che hanno fatto, sì, anche loro che la Nazione esistesse, che entrasse concretamente nella storia.
Cristoforo Colombo, partito alla ricerca del Cipango e delle Indie, allettando Isabella e Ferdinando con il miraggio di montagne di oro, si incrociò con un continente che non esisteva, perché nessuno in Occidente e nell’estremo Oriente ne aveva conoscenza, e lo collocò saldamente nella Storia.
Questo il merito reale dell’italiano Colombo. Quello che poi fecero gli Spagnoli e gli Inglesi per sete di oro, di conquista di terre ed imperi non lo riguarda e non ne è direttamente responsabile. La tragedia di intere tribù, depredate e annientate, non fu opera sua. Né fu opera degli Italiani relegarli nelle cosiddette “riserve indiane” con l’alibi mostruoso di dare loro una ipotetica Nazione. La tragedia dell’America latina e la cancellazione della cultura Inca e Azteca fu opera degli hidalgos.
Anche gli Italiani sono stati per secoli vittime di discriminazioni, se non di odio razziale. Per anni valse il nome di siciliano come mafioso, quando è noto che le bande criminali più feroci furono di altre nazioni europee. Si tacque di milioni di anonimi siciliani che lottarono per la legalità, che furono pure loro vittime della criminalità. Nel cancello di villa Garibaldi a Palermo c’è un a targa che ricorda il sacrificio di un grande americano di radici italiane, di Padula in provincia di Salerno, Joe Petrosino, in missione, caduto proprio nella lotta contro la mafia.
Furono anche gli Italiani a rendere grandi gli Stati Uniti con il lavoro delle loro braccia, con la genialità della loro mente. Chi giunge a NY ha l’onore di scendere al LaGuardia Airport. Chi fa un giro per la Big Apple può conoscere nelle vie, nelle piazze il nome di tanti italiani illustri, ammirare i loro insigni monumenti in tante piazze e siti rinomati, creazioni di tanti artisti e scultori. Sarebbe lungo l’elenco degli Italiani che hanno fatto grande l’America, che hanno dato il loro cuore e la loro vita. E coloro che vogliono ancora cancellare la loro gloria sanno bene che non lo meritano, perché anche loro sono stati vittime per tanti secoli di discriminazione e di terribili ingiustizie. Anche loro sono stati per decenni relegati in riserve, nei loro quartieri.
Perché allora togliere una gloria a NY, perché volere con un inutile, misero decreto consiliare cancellare l’onore meritato e dovuto ad un popolo che rese grande la Nazione, solo per remunerare un altro popolo vittima?
Forse che cancellando la gloriosa sfilata del Columbus Day, praticata in tante città degli USA, si dà maggiore onore agli sconfitti autoctoni? Così si toglie soltanto onore ad altri umiliati.
Agli zelanti americani che hanno scoperto il crimine commesso nei riguardi del popolo possessore di queste terre, che vogliono celebrare la gloria del popolo “indigeno” delle praterie e delle montagne degli Stati Uniti, vorrei indicare due possibili date alternative, per quel popolo certamente di immenso significato storico e di rilevante impatto emotivo.
La prima possibile data da celebrare con sfilate e perché non anche con una parata storica potrebbe essere il 25 giugno, ricordo di Little Bighorn.
In questo giorno del 1876, glorioso per i popoli razzisticamente detti per secoli Redskin, “Pellerossa”, i Sioux Lakota e i loro alleati Cheyenne e Arapaho sterminarono lungo il Little Bighorn River gli squadroni del Settimo Reggimento di Cavalleria del tenente colonnello George Armstrong Custer. Nel sito continua a fare bella mostra, su una base, un obelisco in due sezioni con i nomi dei caduti inglesi. Tragicamente qui si esaltano i conquistatori e non si ricorda la vittoria dei popoli che combattevano per la difesa della loro terra e dei loro pascoli.
Altra data simbolica potrebbe essere in negativo il 29 dicembre.
In questo giorno del 1890 a Wounded Knee la piccola, innocua tribù di 350 Miniconjou di Big Foot fu falciata dalle mitragliatrici dei bianchi. RedBone giustamente ha cantato We Were All Wounded at Wounded Knee. Un canto di dolore e di nostalgia che ancora oggi commuove.
A gloria della uguaglianza e della libertà in una democrazia che ha la stessa Costituzione o “legge suprema dello Stato” dal 1789, solo un preambolo, 7 articoli e 27 emendamenti (ultimo del 1992, il primo del 1791 ad epigrafe sotto la testata di questo quotidiano).
Carmelo Fucarino, siciliano di Prizzi, dopo essersi laureato in lettere classiche nell’Università di Palermo, ha insegnato lingua e letteratura latina e greca presso il Liceo classico «G. Garibaldi» della stessa città. Sensibile alla poesia, ha pubblicato la raccolta di liriche Città e ancora città e Percorsi di labirinto, e ha dato contributi a riviste del settore letterario italiano. Nel campo specifico degli studi classici ha svolto un'ampia e continua attività di saggista, e ha collaborato nella redazione di una Grammatica di greco sotto la direzione dell’illustre latinista dell’Università di Torino, prof. Italo Lana. Oggi, oltre alle congeniali ricerche e saggi sulla civiltà classica, ha ampliato il campo di indagine nel settore della storia locale con una monumentale storia di Prizzi, in tre ponderosi volumi che nella microstoria documentano la concretizzazione della macrostoria, e si è occupato con diversi contributi dell’etnologia e delle tradizioni popolari siciliane.