Il fatto che un banchiere prudente come Mario Draghi, presidente della Banca centrale europea (Bce), inviti gli stati europei in crisi a cedere ulteriori quote di sovranità economico-finanziaria alle istituzioni dell’Unione, è indizio di quanto la situazione nel vecchio continente sia critica e priva di prospettiva. Affermando che la ripresa continentale ha bisogno di più sovranazionalità così da consentire all’Unione le riforme strutturali che gli stati latitanti non sanno fare, Draghi sa di rischiare, perché ha contro la maggioranza dei governi e dei ceti burocratici, ligi al loro inveterato potere. L’affermazione vale per i paesi di nuova democrazia, ma anche per quelli che, come il nostro, hanno ceti dirigenti che continuano a tutelare i loro privilegi attraverso la retorica nazionalista e il corporativismo.
Ancora una volta, nella storia recente dell’Europa, l’inconcludenza dei politici forza l’economia, in particolare la finanza, a uscire allo scoperto per tirar fuori la gente da stagnazione e recessione e restituire loro un futuro. Fu così con Jean Monnet e Jacques Delors. Oggi tocca al presidente italiano della Bce. Ci dice che senza innovazioni politiche drastiche nell’Ue, la situazione europea attuale, causa anche le guerre che si vanno sommando (da Medio Oriente e Africa, ad Europa centro-orientale e Asia) non può che peggiorare.
Sul piano politico, l’ennesima prova è venuta dall’ignavia di fronte alla tragedia umanitaria che ha investito etnie e religioni nell’area siro-irakena controllata o minacciata dall’avanzata di Isis e, prima, dall’incapacità di iniziativa sulle crisi israelo-palestinese, siriana, libica. Mentre Obama bombarda l’emiro e fionda aiuti alimentari ai fuggiaschi, la diplomazia europea conferma la vergogna del suo vuoto di potere e azione.
Sul piano economico, il rallentamento cinese, la stagnazione russa, l’indebolimento della curva di sviluppo degli emergenti, l’altalenante crescita statunitense, indeboliscono il punto di forza della ripresa europea: le esportazioni. E’ vero anche per la Germania; quando registra minore domanda esterna (come ora) rallenta e fa rallentare gli europei dai quali importa. In questo clima, non si riescono a creare le condizioni per mettere in ordine la finanza pubblica (serve la crescita, anche per rafforzare con le imposte da produzione e consumo le casse dell’erario) generando lavoro e ricchezza. Per fare un esempio, in Italia chiudono circa mille imprese al giorno; quando sentiamo Renzi chiedere a cittadini e imprese altri 16 miliardi per il 2015, ci domandiamo da dove pensa che tireremo fuori quei soldi.
Come molti predecessori (lodevoli eccezioni, nel suo schieramento politico, Letta e Prodi), Renzi appare impaniato nelle beghe del cortile nazionale, e dimentica che l’economia ai nostri giorni si fa a Bruxelles, Londra, Pechino, Washington. La nostra presidenza del Consiglio dei Ministri Ue sta scivolando via senza nessuna influenza e abbiamo anche rimediato il rigetto del piano sull’uso dei fondi comunitari 2014-2020 (in gioco 41 miliardi e mezzo della Commissione, che raddoppiano con il contributo nazionale), nonostante la censura di un anno fa del commissario Hahn sul nostro orientamento in materia. Renzi vuole giocarsi il prestigio italiano sulla candidatura Mogherini ad Alto Rappresentante della politica estera intergovernativa. E’ un incarico che non ci porterà niente, mentre ci lascerà scoperti in Commissione sui fondamentali portafogli economici e finanziari.