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May 20, 2014
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Ceto medio americano: una specie in via d’estinzione

Marcello CristobyMarcello Cristo
Time: 5 mins read

Gli americani amano le classifiche, soprattutto quelle che mostrano gli Stati Uniti al primo posto di qualcosa.

Per decenni l'America si é legittimamente autocongratulata per il suo ruolo di nazione leader nelle graduatorie economiche mondiali e per il suo indiscutibile primato nei vari parametri che misurano i livelli di sviluppo internazionale.

La settimana scorsa, tuttavia, la tradizionale egemonia economica degli Stati Uniti è stata bruscamente ridimensionata dalla notizia che, per la prima volta nella storia recente, il ceto medio americano non è più il più ricco del mondo ma é stato raggiunto e superato da quello canadese. Non solo, ma il divario tra il reddito del ceto medio americano e quello di alcune nazioni europee, come l'Olanda, la Gran Bretagna e la Norvegia, si va sempre più riducendo.

Il risultato di questa analisi realizzata dal centro di studi economici LIS (Luxembourg Income Study), è clamoroso dal momento che la crescita del PIL americano è ancora relativamente robusta, soprattutto se paragonata a quella di altre nazioni avanzate. Il problema quindi, non è tanto che l'America, nel suo insieme, sia diventata più povera ma piuttosto che la considerevole ricchezza prodotta dagli Stati Uniti resti nelle mani di pochissimi super-ricchi mentre il reddito della stragrande maggioranza della popolazione, al netto dell'inflazione, langue agli stessi livelli di vent'anni fa o nel caso di alcune fasce sociali, è addirittura diminuito.

In realtà, per quanto importante, questa notizia non è poi tanto sorprendente perché rappresenta il prevedibile sviluppo di un trend già iniziato una trentina di anni fa, quando le politiche socio-economiche americane hanno cominciato a divergere in maniera più marcata da quelle europee in direzione di un approccio sempre più liberista. I dati raccolti dal LIS, si basano su una divisione delle popolazioni dei paesi avanzati in venti fasce di reddito e, stando al tabulato messo assieme dal New York Times che riassume i risultati dello studio, fino agli anni 80 gli americani vivevano in condizioni più agiate rispetto a quelle dei cittadini di qualsiasi altro paese al mondo a prescindere dalla fascia sociale occupata. Nel 1980 l'unica eccezione era costituita dai più indigenti ed i poveri residenti in Norvegia erano gli unici a godere di condizioni economiche migliori della loro controparte americana.

Anno dopo anno, tuttavia, gli Stati Uniti hanno iniziato a perdere terreno in fasce di reddito sempre più elevate fino ad arrivare ad oggi, quando l'America ha ceduto ai vicini canadesi il primato di reddito del ceto medio. Un mutamento annunciato, quindi, ma simbolicamente importantissimo.

Sempre secondo lo studio del LIS, le cause di questi cambiamenti sono da individuare in tre fattori diversi tra loro ma che riflettono scelte politiche consapevoli attuate dai vari governi americani che si sono succeduti.

In primo luogo, i giovani statunitensi sono sempre meno istruiti rispetto ai loro coetanei provenienti da altri paesi avanzati. Mentre nella fascia di età compresa tra i 55 e i 65 anni la competenza scolastica e universitaria degli americani è ancora superiore alla media degli altri paesi presi in esame, gli studenti tra i 16 e i 24 anni si piazzano agli ultimi posti della classifica delle nazioni industrializzate e, un dato interessante a questo proposito, è che a tenere compagnia agli Stati Uniti nelle parti basse della classifica c'è, ovviamente, l'Italia.

I giovani americani saranno anche somari quanto i loro colleghi italiani ma almeno, a differenza di questi, hanno la scusa di costi universitari esorbitanti. Il costo di un bachelor (il primo livello di laurea del sistema universitario americano) si aggira tra i quindicimila (per le università pubbliche) e i settantamila (per quelle private) dollari all'anno per quattro anni. E una volta ottenuto il bachelor, gli studenti che vogliono migliorare le loro opportunitù professionali, devono prepararsi ai due anni aggiuntivi di masters che si traducono in altre decine di migliaia di dollari.

I giovani laureati americani quindi, al termine dei loro studi si ritrovano con centinaia di migliaia di dollari di debito da ripagare, prima ancora di essere entrati nel mercato del lavoro e ciò, naturalmente, costituisce un disincentivo all'istruzione superiore.

Il secondo fattore che ha inciso sui mutamenti in atto nella società americana è che le imprese ridistribuiscono una porzione più piccola del loro fatturato ai lavoratori sotto forma di salari mentre gli amministratori delegati si portano a casa fette sempre più enormi dei fatturati aziendali.

Secondo stime recenti, la media dei compensi degli AD americani è tra le cento e le duecento volte superiore rispetto a quelli del dipendente medio e, dal momento che negli ultimi tempi la crescita del PIL è stata più anemica rispetto al passato, i salari dei lavoratori sono divenuti sempre più striminziti.

Il terzo e ultimo elemento da tenere in considerazione è che il Canada e i paesi dell'Europa Occidentale perseguono politiche di ridistribuzione economico-sociale molto più vigorose. In questi paesi, i ricchi vengono tassati in maniera più incisiva e i fondi pubblici ottenuti attraverso questa pressione fiscale vengono utilizzati per creare infrastrutture e servizi che aiutano i ceti medi e medio-bassi: asili per bambini; sistemi di trasporto pubblico; strutture scolastiche e universitarie; programmi di riqualificazione professionale e, soprattutto, assistenza sanitaria pubblica che negli Stati Uniti non esiste.

In America invece, la pressione fiscale è tra le più basse di tutti i paesi avanzati e ciò si traduce in una spesa pubblica minore e in una corrispettiva mancanza di tutti questi ammortizzatori sociali.

Presi nel loro insieme, questi dati puntano tutti nella stessa direzione: quella di un radicale acutizzarsi della disuguaglianza sociale in America. Infatti, mentre tra le fasce di reddito meno abbienti gli Usa perdono terreno nei confronti degli altri paesi, i ricchi americani continuano a detenere un primato irraggiungibile rispetto alle altre nazioni avanzate. Essere ricchi in America, in altre parole, significa essere veramente straricchi.

Ci sono due prospettive interessanti che emergono da tutti questi dati. La prima è che, dopo la fine della Guerra Fredda e della drammatica contrapposizione dei due principali sistemi socio-economici del ventesimo secolo, le due super-potenze rivali, Russia e America hanno iniziato a convergere (almeno da un punto di vista strettamente economico) verso un modello plutocratico simile, basato su una marcata concentrazione di risorse nelle mani di un'oligarchia economica legata al potere politico da un'inquietante rapporto simbiotico. La sconfitta del Comunismo, cioè del controllo politico sull'economia, si è tradotta in un controllo dell'economia sulla politica: su una "privatizzazione della sfera pubblica".

Il secondo aspetto da rilevare è che questo graduale declino del primato americano si esprime in grafici e statistiche nei quali l'Italia occupa posizioni molto simili.

La classifica sui livelli di preparazione scolastica tra i paesi dell'OECD; il "Coefficiente Gini" sulla concentrazione economica tra stati; la proporzione tra i compensi degli amministatori delegati rispetto a quelli dei dipendenti, sono parametri che ci restituiscono il profilo di due paesi che si allontanano sempre più dai tradizionali principi ispiratori delle democrazie occidentali e diventano sempre più simili alle repubbliche delle banane di un passato non troppo remoto.

 

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Marcello Cristo

Marcello Cristo

Sono nato e cresciuto a Napoli dove, nella tradizione magno-greca della mia città, mi sono laureato in Filosofia. Vivo negli Stati Uniti con la mia famiglia da oltre vent'anni facendo la spola tra New York e la California. Dall’America, ho iniziato a collaborare con pubblicazioni italiane come Il Giornale di Indro Montanelli e La Gazzetta dello Sport di Candido Cannavò e poi con il quotidiano in lingua italiana degli Stati Uniti America Oggi per il quale ho lavorato come editor, opinionista e corrispondente dalla California. Nei ritagli di tempo, sto tentando disperatamente di insegnare ai miei figli il napoletano.

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