Marcello Cristo l’altro giorno ha scritto nel suo brillante "Cittadini di Atlantide" un articolo sul declino, vistosissimo, del ceto medio americano; sulle paurose flessioni delle possibilità economiche del ceto medio della “più grande democrazia del mondo”.
O gente, è dalla fine della Grande Guerra che non si parla d’altro che dell’America. E’ dal secondo dopoguerra che si vuole imitare gli americani. Nei film degli anni Cinquanta che arrivavano da Hollywood, ricordo che vedevamo cameriere di “diner’s” o “coffee shops”, impiegate di grandi magazzini alla guida di “Buick”, “Studebaker”, “Chevrolet”; e abitare in confortevolissimi appartamenti a Los Angeles, San Francisco, Phoenix. All’epoca era così. Quei film rispecchiavano gli Stati Uniti che con la Seconda Guerra Mondiale avevano risolto i terribili problemi della Grande Depressione apertasi nel 1929 col crollo di Wall Street. Ma fu una fase breve anche quella…
Ricordate che intorno alla metà degli anni Settanta il Comune di New York finì sull’orlo della bancarotta e che l’allora Capo della Casa Bianca Gerald Ford, succeduto nel 1974 al Richard Nixon dimissionario sotto la valanga del Watergate, un bel giorno esclamò: “Vada all’inferno, New York”!? Ricordate gli operai americani che negli anni Ottanta prendevano a picconate automobili di fabbricazione giapponese ritenute la “causa” dello sconcertante declino dell’industria automobilistica statunitense? E rammentate Bob Hope che, in televisione, esortava gli americani a “comprare prodotti americani”?
Il problema s’era bell’e creato allora. Già intorno al 1975, l’America più non era l’America… Non si trattava tuttavia un problema “nuovo”: era il rinnovarsi delle grandi crisi cicliche americane, tipo “the great scare” degli anni fra il 1847 e 1849 (se la memoria ci sorregge) e la Depressione di fine Ottocento. Per poi giungere al memorabile, tragico crack, appunto, del ’29. Numerosi immigrati italiani, irlandesi, greci, tedeschi attraverso le generazioni trovarono negli Stati Uniti quel che cercavano: un lavoro dignitoso, abbastanza ben retribuito, e spazio, spazio al loro senso d’iniziativa, al loro ammirevole coraggio, alla loro nobile volontà di rischiare. Di questo si è fatta buona letteratura, s’è fatto anche buon cinema. Ma non s’è fatta buona letteratura, non s’è fatto buon cinema sui tanti, tantissimi immigrati italiani, e non solo italiani, sfiancati, sfibrati, sfruttati dal padronato americano che in quanto a pelo sul cuore ne aveva parecchio. Non è mai stata ben diffusa la figura dell’immigrato costretto a vivere, almeno a New York, Filadelfia, Detroit, in minuscoli appartamenti privi di finestre, quindi senza luminosità, senza aria: roba che non si vedeva manco a Matera, a Bari, a Catania. Se l’America ha costituito un magnifico riscatto per masse di esseri umani giunti con tanta speranza dall’Europa, per molti altri s’è rivelata un Inferno… Basta leggere documenti riguardanti le torme di molisani e campani che fra il 1890 il 1915 rientrarono in Italia, tornarono alla Madrepatria.
A nostro avviso, c’è un vizio d’origine nella Storia degli Stati Uniti d’America. La secessione dall’Inghilterra fra il 1776 e il 1783 avvenne sulla poderosa spinta esercitata dagli illuministi americani: Jefferson, Franklin, Hamilton e altri ancora. Illuministi, sissignori. Quindi, amici e paladini di chi poco, o nulla, possedeva. Anime candide e generose le quali si facevano carico delle sofferenze degli “umili”. Non era proprio così; almeno a nostro avviso non lo era, e qui nasce il Grande Equivoco del Nuovo Mondo. A parte il fatto che nella Costituzione americana, peraltro impeccabile, illuminante in vari suoi passaggi, si stabilisce la giusta sacralità della libertà d’espressione, e si afferma che tutti gli uomini sono uguali e nascono liberi, guarda caso i “”Negroes” non vengono ritenuti “uguali” ai Bianchi e per molti di loro non c’è che una via, amara, atroce: quella della schiavitù: I Padri Fondatori, gli Illuministi d’oltre Atlantico lasciarono che per ragioni di “business” o di bassi appetiti carnali, piacenti ragazze di pelle nera fossero strappate ai genitori e consegnate al nuovo, turpe padrone… Lasciarono che il destino di molti fosse deciso da pochi. Lasciarono che fino al 1865 si commettesse uno scempio, Lo Scempio. Gli illuministi americani d’allora mostravano solerzia nel ricordarti che “anche” la Bibbia, la Sacra Bibbia, consente l’esercizio della schiavitù. Ma allora che illuministi erano, se credevano nella schiavitù?? Che illuministi erano se credevano nei ‘benefici’ del liberismo, nei ‘benefici’ del libero scambio?? Che illuministi erano se sulle banconote facevano stampare la retorica, fuorviante espressione “In God We Trust”??
Fondati sull’equivoco, gli Stati Uniti soccombero subito ai desideri del padronato… A onor del vero, il Presdidente Jefferson era stato sempre contrario alla massiccia, violenta espansione a Ovest: ripeteva che NON si doveva andare oltre gli Appalacchi, che gli Indiani andavano rispettati e tutelati, come avrebbe dovuto essere, tanta era la terra a Est del Mississippi, a sud della Mason-Dixon Line. Ma a sconvolgere la politica indiana di Washington, ci pensò nella prima metà dell’Ottocento il Presidente Jackson, Andrew Jackson, un iradiddio, un uomo (beato lui…) senza dubbi… Il distruttore.
In America il Capitale si affermò sotto Jackson. Trovò rinnovato vigore con la vittoria nel 1865 dell’Unione sulla Confederazione degli Stati del Sud dopo un conflitto immane: Gettysburg, Bull Run, Antietam, Malvern Hill, The Bloody Lane, Chancellorsville, Chickamauga, Spotsylvania…
Bellissimo, quindi, il lascito dei Padri Fondatori a eredi i quali una sola cosa concepivano: la ricchezza materiale, l’incremento, costante e massiccio, della ricchezza materiale… Nati dall’Illuminismo (ma da un Illuminismo di facciata), gli Stati Uniti abbastanza presto vollero invece consegnarsi alla Reazione. Ancora negli anni Trenta un salariato aveva soli doveri e nessun diritto… Stipendiati stessi ritenevano che le ferie pagate fossero una forma di “bieco” Socialismo… Oggi stesso, milioni di repubblicani la pensano allo stesso modo e questo ci rattrista, ci sgomenta. Essi rappresentano una plètora di individui i quali obbediscono all’ordine di votare contro i loro stessi interessi…
Disse un bel giorno l’inimitabile Mark Twain: “Se votare servisse a qualcosa, non ce lo lascerebbero fare”… L’America nelle mani del padronato: la negazione di se stessa.
Ho vissuto per dieci anni in America. Mi duole, sì, mi duole, dire che non mi ci trovai per nulla bene. Ma questo è soggettivo. Soltanto soggettivo.