La vocazione naturale dell’Italia dovrebbe essere il turismo, ma sarebbe un errore non coniugare il turismo con la ricerca. Un turismo moderno si avvale prima di tutto d’infrastrutture adeguate a trasportare e accogliere il turista. Uno dei primi nodi da sciogliere è l’inter-modalità tra questi settori. Treni e aerei che si collegano tra di loro, strade e autostrade adeguate e ricezione adatta a un turismo di massa e quindi a basso costo. A quanto pare nonostante che si dica da tanto tempo, nulla di tutto ciò esiste in Italia, o troppo poco.
Voi vi chiederete e cosa c’entra la ricerca? C’entra e come, perché l’Italia che è uno dei paesi più richiesti dal turismo, avendo un patrimonio culturale rilevante, deve avere anche una ricerca che sia in grado di fornire adeguati supporti al settore.
Dato che mi dedico alla ricerca spaziale da una vita, vorrei far capire l’impatto che potrebbe avere la ricerca spaziale sul turismo. Fermo restando che ci possono essere anche valorizzazioni autonome, disgiunte dalle attività spaziali, penso che si possano utilmente sfruttare la tecnologia spaziale.
Com’è nota l’Italia ha un’industria aero-spaziale di rilievo seppur non adeguatamente supportata, tanto è vero che la maggiore industria spaziale italiana, l’Alenia Spazio è da qualche anno di proprietà, per il 63%, della Hales, un’industria spaziale francese.
Va comunque detto che, almeno finora, le fabbriche che stavano in Italia, continuano a stare in Italia e ovviamente la manodopera.
Ritornando all’argomento di fondo vorrei portare l’esempio di com’è stato coniugato il rapporto tra il territorio e la ricerca, portando ad esempio il caso di Tolosa.
Qui è nata la città dello spazio, accanto ai laboratori e alle fabbriche che producono satelliti e razzi vettori per l’Europa. Il visitatore che arriva alla città dello spazio si trova in un immenso parco in cui può vedere e toccare il lanciatore Ariane 5, la capsula Suyuz, il satellite European Remote Sensing (ERS) e può vedere, nei teatri immersivi a 3D, lo spazio profondo che sta indagando il telescopio Hubble o le immagini dentro la Stazione Spaziale Internazionale (ISS).
Qui il primo motore è dato dalla ricerca che diventa attrazione: la virtualizzazione è la stessa che si usa nello sviluppo dei prototipi spaziali, i manufatti sono gli stessi che sono stati usati nello spazio.
Tutto questo avviene perché c’è una ricaduta virtuosa che, attraverso la creazione di nuove aziende (spin off), produce nuova ricchezza e nuovi posti.
Un documento della NASA dell’anno scorso, sugli spin off legati all’attività spaziale, indica che a fronte dei miliardi di dollari spesi, nel 2012 c’è stato un ritorno di 5 miliardi di dollari, una riduzione di 6.2 miliardi di minori costi industriali, si sono generati 14.000 nuovi posti e sono state salvate con le nuove tecnologie 444.000 persone.
L’uso di Space Park come quelli di Tolosa o come quelli che sono dislocati in altri paesi, negli Stati Uniti ad esempio Kennedy Center, avvicina l’utente futuro alle novità che provengono dalle attività spaziali, attraverso il gioco e l’entertainement e valorizzano il territorio, ad esempio com’è stato per Tolosa.
Perché’ non si può fare anche in Italia? Ci sono delle regioni, ad esempio la Campania che ha una lunga tradizione nell’aerospazio, prima di tutto per la sua storia scientifica: tanto per citarne alcuni, da Romeo, pioniere nell’aeronautica, ma più noto per l’Alfa Romeo, Broglio, pioniere della missilistica a Napolitano, inventore della microgravità. Poi per le industrie e i laboratori di ricerca. Analogamente il Piemonte e la Lombardia. Il giusto bilanciamento tra passato e futuro attrarrebbe un numero maggiore di turisti, fermando il declino di un paese che ha tante idee ma poche realizzazioni per l’inerzia degli amministratori e le beghe politiche. Permetterebbe alle industrie di far conoscere i propri prodotti, soprattutto quelli più innovativi e darebbe un’immagine positiva del territorio soprattutto a quelli del Sud che sono sempre visti come luogo di malaffare.