Di lei, a oltre 24 ore dall’ennesima strage che negli Stati Uniti ha riaperto il dibattito sulla facilità di acquisto delle armi, si sanno ormai molte cose.
L’assassina, una donna transgender che ha ucciso sei persone (tre bambini e tre adulti) alla Covenant School di Nashville in Tennesse, si chiamava Audrey Hale, aveva 28 anni ed era stata studentessa dell’istituto cattolico in cui ha deciso di colpire.
Dal luogo della sua infanzia non ha fatto in tempo a uscire, uccisa dagli uomini della polizia che poche ore fa hanno rilasciato i video della sparatoria, ma grazie ad Averianna Patton, sua ex compagna di squadra di basket alle medie, sappiamo quali siano state le sue ultime parole.
“Ho intenzione di morire oggi – ha scritto Audrey alle 9.57 di lunedì – questo è il mio ultimo addio”.

Il suo era infatti un piano ben pensato. Lo dimostrano le altre armi trovate dalle forze dell’ordine nella casa in cui abitava (sette, in totale, quelle che possedeva), la mappa dettagliata della “scena del crimine” e il manifesto, del quale al momento non si hanno altre notizie, che il capo della polizia locale John Drake ha detto di aver trovato.
Non aveva precedenti penali e, come nel più classico dei copioni, i vicini di casa la descrivevano come “una ragazza molto dolce, normale, forse un pò troppo tranquilla”. “Penso che i genitori siano scioccati – ha dichiarato uno di loro ad alcuni media americani – come tutti noi del vicinato. Nulla mi avrebbe mai portato a pensare che sarebbe stata capace di un gesto simile o che lei o la sua famiglia avessero avuto accesso a una pistola”.
La madre, Norma Hale, è infatti nota nella comunità per essere un’attivista che da tempo chiede maggiori controlli sulle armi. Nel 2018, condivise sulla sua pagina Facebook una raccolta firme per tenere pistole e fucili lontano dalle scuole e vietare i caricatori ad alta capacità: proprio le stesse armi con cui, cinque anni dopo, sua figlia ha portato a termine la strage.
Come gesto simbolico, Joe Biden ha ordinato che la Casa Bianca e tutto gli uffici federali, comprese ambasciate, sedi diplomatiche e strutture militari all’estero, espongano bandiere a mezz’asta fino al 31 marzo al tramonto. Il presidente, in partenza per il North Carolina per un tour che rilancerà il suo piano di investimenti negli Stati Uniti, ha detto poi di non poter fare molto di più per frenare la violenza armata se non supplicare il Congresso ad intervenire.
“Come nazione dobbiamo a queste famiglie più delle nostre preghiere – ha continuato – dobbiamo agire fermando questa violenza armata che lacera le comunità e l’anima di questa nazione, per proteggere i nostri figli in modo che imparino a leggere e scrivere invece che a nascondersi e a coprirsi in una classe. Perché, in nome di Dio, permettiamo che queste armi da guerra siano nelle nostre strade?”.
Si tratta della 131ª sparatoria di massa negli Stati Uniti solo dall’inizio dell’anno: più di una al giorno, da quando a Times Square tutti gridavano felici per l’arrivo dell’anno nuovo. Questa volta, l’intervento tempestivo della polizia è riuscito a contenere i numeri delle vittime: dalla chiamata al 911 all’uccisione della killer sono trascorsi solo 14 minuti. La donna è stata fermata al secondo piano dell’edificio, quando si trovava ancora nell’atrio e non aveva avuto il tempo di entrare in nessuna classe.
Dei cinque agenti arrivati per primi, due l’hanno affrontata e l’hanno uccisa sul posto. A colpire gli inquirenti, stavolta, è il fatto che il colpevole non sia un uomo: dal 1979, le sparatorie di massa compiute da donne in America sono state solo 17, di cui 7 – inclusa quella avvenuta ieri – hanno avuto una scuola come drammatico teatro.
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