Un professore di ingegneria meccanica dell’MIT, Gang Chen, è stato scagionato dalle accuse di aver nascosto i suoi legami con la Cina nella richiesta di sovvenzioni pubbliche Usa per un valore di 2,7 milioni di dollari. Giovedì mattina, i procuratori federali di Boston hanno presentato una mozione in cui hanno chiesto alla giudice Patti Saris di far cadere il caso. La motivazione ufficiale è che l’accusa (il Governo) è in possesso di una serie di informazioni che non le permettono “di adempiere all’onere di prova processuale”, si legge nel documento.
Cheng, nato in Cina ma naturalizzato statunitense nel 2000, era finito lo scorso anno nella rete della cosiddetta “China Initiative“, una serie di misure fortemente volute dall’allora presidente Donald Trump (e proseguite sotto Biden) per impedire che la collaborazione accademica tra atenei statunitensi e aziende/università cinesi potesse inficiare la sicurezza nazionale di Washington.
Arrestato il 14 gennaio 2021, all’accademico-ingegnere fu contestato inizialmente un rapporto di “lealtà nei confronti della Cina”, secondo l’allora procuratore federale Andrew Lelling. Pochi giorni dopo, l’accusa formale fu di aver mentito su diversi rapporti economici intrattenuti con enti pubblici cinesi (e sull’esistenza di un conto corrente a lui intestato in una banca di Pechino) nell’ambito di una richiesta di sovvenzioni scientifiche al Dipartimento dell’Energia.
Secondo il New York Times, peraltro, alcuni funzionari del Dipartimento hanno ammesso che, anche se fossero stati informati dei presunti collegamenti di Cheng con Pechino, la tenuità di questi ultimi avrebbe consentito di erogare comunque le sovvenzioni in questione.
“Il Governo ha finalmente riconosciuto quello che abbiamo sempre detto: il professor Gang Chen è un uomo innocente,” ha esultato il legale di Chen, Robert Fisher.
Scagionato Chen, sono però ancora una decina gli accademici colpiti dalla China Initiative, tra cui il chimico di Harvard Charles Lieber. In nessun caso sinora le accuse si sono trasformare in una condanna, a causa dell’estrema difficoltà di collegare le collaborazioni con enti e università cinesi con una reale minaccia alla sicurezza nazionale.
Per questo motivo, il Dipartimento di Giustizia sembrerebbe voler rivedere la stretta sull’accademia – a cominciare dal nome, China Initiative, ritenuto ingiustamente discriminatorio nei confronti di una singola nazionalità.