A tre mesi dalle elezioni che hanno affidato il governo del paese al partito della presidente Aung San Suu Kyi, la Birmania si è svegliata con un colpo di stato. Nella giornata che doveva rappresentare la vigilia dell’insediamento del nuovo parlamento, composto in larghissima parte dai deputati della Lega nazionale per la democrazia (LND), la giunta militare guidata da Min Aung Hlaing ha fatto arrestare Aung San Suu Kyi, U Win Myint e altri funzionari del partito.
Secondo le prime ricostruzioni, nella mattina di lunedì, l’esercito avrebbe interrotto alcune linee di collegamento dalla capitale e avrebbe bloccato le comunicazioni, oscurando le reti televisive. Al termine degli arresti, tutti i poteri dello Stato sono stati trasferiti a Min Aung Hlaing che ha annunciato lo stato di emergenza per un anno e ha affidato la presidenza ad interim al generale Myint Swe.
La tensione fra la società civile ed i Tatmadaw, le forze armate birmane, è molto cresciuta dopo le elezioni dello scorso novembre. L’LND, partito di Aung San Suu Kyi, particolarmente amata dalla popolazione, ha ottenuto 396 seggi sui 476 del parlamento, mentre il partito di riferimento della giunta militare ne ha conquistati solo 33. I Tatmadaw hanno subito denunciato irregolarità nelle elezioni, a loro opinione viziate da brogli. Per loro, milioni di bambini e persone decedute sono state registrate ai seggi, così da avvantaggiare l’LND. Gli arresti di stamattina, quindi, sarebbero volti a punire i mandanti di questa frode elettorale.
Con la fine della dittatura militare iniziata con il colpo di stato del 1962, le forze armate sono state un vero e proprio spauracchio per la società civile birmana. Già nel 1990, l’LND riuscì a vincere le elezioni, prontamente annullate dall’esercito che instaurò un nuovo governo con la forza. Aung San Suu Kyi, che sarebbe dovuta diventare presidente, vinse il Premio Nobel per la pace nel 1991 ma nel 1995 fu posta agli arresti domiciliari. Liberata nel 2010, subito dopo una tornata elettorale definita irregolare, vinse le prime elezioni libere nel 2015. Aung San Suu Kyi, che aveva promesso riforme costituzionali volte a depotenziare il ruolo dell’esercito, ha dovuto più volte scendere a patto con il Tatmadaw che, per legge, controlla i ministeri dell’Interno, della Difesa e dei Confini.
Il suo tentativo di coesistenza pacifica con l’esercito è stato al centro di controversie negli ultimi anni. La comunità internazionale ha più volte condannato la giunta militare birmana per il trattamento della minoranza musulmana dei Rahingya, arrivando alle accuse di pulizia etnica e genocidio. Aung San Suu Kyi ha sempre negato simili accuse, difendendo l’operato del suo esercito.
Adesso, mentre i leader dell’LND invitano la popolazione civile alla resistenza pacifica, la giunta militare ha dichiarato di voler riformare le commissioni elettorali per poter tornare al voto al più presto. L’intervento, per scongiurare l’insediamento di un governo da loro considerato illegittimo è stato descritto come conforme alla costituzione che prevede la convocazione dello stato d’emergenza.
Il colpo di stato getta un’ombra sulla stabilità dell’area e rappresenta la prima crisi internazionale per la presidenza di Joe Biden. Antony Blinken, Segretario di Stato di recente conferma, ha espresso “gravi preoccupazioni” sull’evento, intimando la giunta militare birmana di tornare sui suoi passi. Da Washington, la portavoce della Casa Bianca Jen Psaki ha fatto sapere che il governo statunitense conferma il suo “forte supporto alle istituzioni democratiche birmane”, sollecitando “i militari e gli altri partiti ad aderire alle norme democratiche e allo stato di diritto, e a liberare oggi i prigionieri”. Se così non sarà, il governo prenderà provvedimenti contro la giunta.
Allo stesso modo, dall’ONU si è subito levato l’appello del Segretario Generale Antonio Guterres, che si è detto turbato dal trasferimento dei poteri dello Stato all’esercito. Attraverso il suo portavoce, ha esortato la giunta militare a “rispettare il volere del popolo del Myanmar e aderire alle norme democratiche” confermando il supporto delle Nazioni Unite ai birmani “nella loro ricerca di democrazia, pace, diritti umani e stato di diritto”.
La giunta militare non si sarebbe limitata ad arrestare i membri del partito di maggioranza. “Ci sono anche disturbanti rapporti di giornalisti molestati o attaccati, e restrizioni di internet e dei social media”, ha denunciato da Ginevra Michelle Bachelet, Alta Commissaria delle Nazioni Unite per i Diritti Umani. “Ricordo alla leadership militare che il Myanmar è vincolato dalle leggi internazionali per i diritti umani, incluso il rispetto del diritto di associazione pacifica”.
Anche l’Italia ha reagito attraverso un comunicato della Farnesina, che ha denunciato le azioni dell’esercito del Myanmar, chiedendo l’immediata liberazione di Aung San Suu Kyi.