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Immigrazione e terrorismo: per Minniti “la sicurezza è libertà”

Il ministro dell'Interno Marco Minniti sulla sicurezza dell'Italia, la libertà e la democrazia

Clara SalpietrobyClara Salpietro
Immigrazione e terrorismo: per Minniti “la sicurezza è libertà”

Il ministro dell'Interno Marco Minniti con l'ex ministro degli Esteri Franco Frattini alla conferenza del SIOI su libertà e sicurezza

Time: 7 mins read

Il controllo del Mediterraneo e la lotta contro i trafficanti di uomini in Libia rientra tra gli interessi nazionali dell’Italia e lo dimostra l’accordo sui migranti firmato tra Italia e Libia, che consente il controllo del confine Sud della Libia, area che potrebbe trasformarsi per i ‘foreign fighters’ in una porta d’ingresso verso l’Europa.

Questo in sintesi uno dei tanti passaggi dell’intervento del ministro dell’Interno, Marco Minniti, sul tema “Sicurezza e libertà, due facce della stessa medaglia”, tenutasi recentemente a Roma presso la sede della Società italiana per l’organizzazione internazionale (SIOI).

L’evento era collegato alla presentazione del Master in Sicurezza Economica, Geopolitica ed Intelligence e del Master in Protezione Strategica del Sistema Paese – Le infrastrutture critiche.

I lavori sono stati introdotti dal presidente della SIOI, l’ex ministro degli Esteri Franco Frattini, che ha affermato: “La svolta impressa alle strategie di sicurezza dal ministro Minniti denota una visione che non si limita alla sicurezza interna ma si estende ai temi di sicurezza internazionale, che sono intrinsecamente collegati”, aggiungendo poi che “la legislazione in materia di immigrazione approvata di recente dall’esecutivo italiano aiuterà molto lo sviluppo di una logica seria di governo su questa tematica”. “Sono d’accordo – ha concluso Frattini – con quanto sostenuto più volte dal ministro Minniti e cioè che un Paese in cui non si è liberi dalla paura non è un Paese realmente democratico. La protezione dalle minacce è uno dei pilastri della società democratica ed è dovere assoluto delle Istituzioni svilupparle in senso proprio”.

Tanti i temi su cui si è soffermato il ministro dell’Interno a partire dal rapporto tra sicurezza e libertà, per il quale “sono due facce della stessa medaglia, due grandi elementi fondativi della convivenza civile in una condizione di democrazia”.

“Considerare la sicurezza – ha sostenuto – come elemento fondativo di una comunità sociale non è così scontato. Per molto tempo c’è stato chi ha considerato la libertà sovra-collocata rispetto alla sicurezza. Il rapporto è invece più complesso. Sicurezza e libertà hanno un’eguale forza evocativa e un’eguale forza funzionale. A cambiare la visione condivisa sull’importanza di sicurezza e libertà è stato l’emergere del terrorismo sulla scena internazionale alla fine degli anni ’90 e il punto più alto è stato l’attacco di Al-Qaida alle Torri Gemelle. L’11 settembre del 2001 Al-Qaida ha pensato ad una operazione impossibile, talmente ambiziosa ed impossibile che anche gli ambienti dell’Intelligence americana e dell’FBI non l’hanno valutata correttamente, ed è stata considerata con una capacità di credibilità abbastanza bassa. L’attacco invece è stato compiuto e con un livello di perfezione ai limiti dell’impossibile, questo ha provocato nel mondo il primo grande elemento di discussione in merito al rapporto tra sicurezza e libertà”.

La situazione è diventata ancora più grave tra il 2013 e il 2014, quando Islamic State è diventato protagonista mondiale sulla scena del terrorismo internazionale. “IS è un attore diverso da Al-Qaeda – ha spiegato Minniti -, ma entrambi sono nemici mortali della democrazia e della convivenza civile. Islamic State è stato in grado di fare due cose che nessuna organizzazione terroristica aveva mai fatto: essere capace di sviluppare tradizionali campagne militari (attività simmetrica) e quindi conquistare e gestire un territorio, e contemporaneamente sviluppare una vera e propria attività terroristica (attività asimmetrica). La capacità simmetrica di Islamic State oggi è fortemente messa in discussione, infatti dal punto di vista militare IS è sulla difensiva, e probabilmente noi avremo nei prossimi mesi uno scacco, ormai già quasi realizzato, per quanto riguarda Mosul in Iraq ed è anche probabile pensare che ci sarà uno scacco per quanto riguarda Raqqa in Siria. Questo non significa che la minaccia di IS viene meno”.

“Prima degli ultimi eventi di dicembre 2016 – ha raccontato il capo del Viminale -, in Parlamento avevamo comunicato che più andava avanti la pressione militare su Islamic State e più era ragionevole pensare che IS avrebbe risposto in maniera asimmetrica, che avrebbe voluto dare una dimostrazione della sua ‘esistenza in vita’ e lo ha fatto con gli attentati, come ai mercatini di Natale a Berlino. Con questi attacchi asimmetrici ha messo in luce una capacità di comando che permette di assumere decisioni anche lontano dai luoghi dove vengono compiuti gli attentati. Nel momento in cui IS è diventato un’organizzazione terroristica conosciuta nel mondo, ha potuto contare sull’attivazione di singoli soggetti che non è detto avessero un collegamento diretto con la centrale di comando. Inoltre, attorno agli attacchi terroristici ha costruito una fortissima campagna di propaganda e il punto più alto è stata la fase di giugno-luglio 2016., ministro della propaganda di IS, morto lo scorso anno in un attacco in Siria, Abu Mohammad Al Adnani aveva detto che sarebbe stato ‘un Ramadan di sangue’ e così è stato”.

Il-pubblico-intervenuto-al-sonvegno-su-sicurezza-e-libertà-a-roma-con-i-ministri-minniti-e-frattini
Il pubblico che ha affollato la sala del SIOI per l’intervento di Marco Minniti

I vari attentati di Islamic State dimostrano che esiste una strategia comunicativa come è stato confermato dal ministro Minniti: “L’atto terroristico e il racconto di esso sono due cose che hanno la stessa potenza, sono connessi. Islamic State fa un attacco drammatico e nel momento dell’azione i massacri vengono filmati e postati su internet. Il racconto dell’atto terroristico da un lato consente di fare reclutamento, dall’altro produce emulazione. Gli attentati mettono in luce che non serve una centrale operativa che impartisce ordini, ma basta andare sul web per capire come fare un attentato e, soprattutto, come metterlo in atto con quello che si riesce a trovare, ad esempio esplosivo, arma da fuoco, coltello, macchina, camion ecc”.

L’attentato di Berlino, rispetto a quello di Nizza, viene definito come il ‘massimo esempio di terrorismo spontaneo’ e a spiegare perché è lo stesso Ministro dell’Interno del governo Gentiloni.

“L’attentatore di Nizza – ha detto Minniti – aveva affittato un camion quattro giorni prima; l’attentatore di Berlino, Anis Amri, non ha affittato un camion prima, lo ha rubato in un parcheggio, ammazzando l’autista e compiendo subito dopo l’attentato”.

Come si può quindi prevenire un atto spontaneo che non ha tempi di preallarme?

Secondo il Ministro Minniti tenere attivo tutto il principio di prevenzione e di intelligence può non bastare, “la cosa drammatica – ha affermato – è che di fronte allo spontaneismo terroristico un’attività di intelligence può essere non sufficiente, pertanto è necessario il ritorno all’antico cioè il ritorno al controllo del territorio. La vicenda di Anis Amri ci fa capire che bisogna prendere delle misure che ci consentano di evitare che possa nuovamente ripetersi quanto accaduto a Berlino”.

“È chiaro che in passato – ha proseguito – abbiamo convissuto e probabilmente conviveremo in futuro con una minaccia terroristica particolarmente agguerrita. Il mio convincimento è che di fronte ad una possibile sconfitta militare di Islamic State noi ci troveremo di fronte ad una diaspora di ritorno, cioè ad un ritorno di quella parte di stranieri che sono andati a combattere in Siria e in Iraq, quelli che chiamiamo ‘foreign fighters‘. Pensate che l’intelligence ha censito 26 mila combattenti provenienti da più di 100 Paesi del mondo, è la più incredibile legione straniera che si sia mai registrata nella storia dell’umanità”.

La cosiddetta ‘diaspora di ritorno’ pone la grande questione dei confini. “Da un lato il percorso di Anis Amri in Europa – ha osservato Minniti – mette in discussione il sistema di Schengen e secondo me se togliamo Schengen all’Europa, se togliamo la libera circolazione degli uomini e delle merci, l’Europa non esisterà più. Dall’altro lato se l’Europa vuole difendere Schengen deve pensare ad un sistema di controllo dei confini esterni all’Europa. Se si vuole la libera circolazione all’interno è necessario difendere i confini esterni, altrimenti le due cose non si possono gestire. Per questo motivo considero il Mediterraneo centrale un pezzo fondamentale dei confini esterni dell’Europa. Il memorandum of understanding (MoU) firmato dall’Italia con la Libia sul tema del contrasto all’immigrazione illegale, del contrasto ai trafficanti di uomini, della sicurezza in Libia, è utile per l’Italia ed è importantissimo per l’Europa. Nel memorandum si parla del controllo del confine Sud della Libia, che è un problema cruciale per l’Europa. Nel momento in cui si avverte una ‘diaspora di ritorno’ dalla Siria e dall’Iraq, il confine Sud della Libia può essere una porta d’ingresso verso l’Europa”.

In questo contesto si inserisce il rapporto tra agenda nazionale e realtà multilaterali.

“Se si vuole difendere e rilanciare – ha commentato il ministro dell’Interno – le realtà multilaterali, che hanno costituito un riferimento importantissimo e mi riferisco all’Europa, alle Nazioni Unite, devo innervarli con una forte agenda nazionale. Le due cose non sono in contraddizione. Per avvicinare la struttura multilaterale alla realtà del popolo bisogna far capire, attraverso un’agenda nazionale, che la realtà multilaterale è funzionale ad esigenze fondamentali del singolo Paese, del singolo Stato nazione. Il MoU dell’Italia con la Libia è un’agenda nazionale perché è chiaro che il controllo del Mediterraneo e la lotta contro i trafficanti di uomini in Libia è un interesse nazionale del nostro Paese. Nel momento in cui l’Italia fa questo, mettendosi in campo con una forte agenda nazionale, e nel momento in cui l’Europa fa proprio quel progetto, ha reso più evidenti gli interessi di un Paese e l’azione e gli interessi di una realtà sovranazionale”.

In merito al controllo dei confini, Minniti ha precisato che “bisogna pensare a qualcosa che ci consenta di ragionare su principi che non vanno sottovalutati. So bene che il mondo migliore possibile è quello senza confini, però i confini sono un elemento di vita e di protezione per una comunità. Governare i flussi migratori come fanno le grandi democrazie, i grandi Paesi, consente di avere delle politiche di integrazione. L’approccio dei confini aperti, del ‘venga chiunque’, è il contrario delle politiche di integrazione e l’opposto di integrazione si chiama disintegrazione”.

Sulla base delle varie tematiche trattate, a conclusione del suo intervento il ministro Minniti ha focalizzato nuovamente l’attenzione sul tema iniziale: il rapporto tra sicurezza e libertà. “A mio avviso – ha sostenuto – nelle società moderne libertà e sicurezza o viceversa sono due aspetti del bene comune. Sicurezza e libertà sono tenuti insieme non dalla ‘e’ congiunzione ma dalla ‘è’ terza persona del verbo essere: cioè sicurezza è libertà. Non c’è alcuno tipo di sicurezza se non è garantito un principio di libertà. Quando una democrazia è costretta a scegliere tra dare più sicurezza ed avere meno libertà o viceversa è una democrazia che inizia ad avere una malattia. Dal momento che noi siamo profondamente democratici, il compito di fondo che dobbiamo avere è prevenire queste malattie. Dobbiamo difendere i presupposti di una democrazia senza perdere gli strumenti della democrazia. Perché una democrazia che risponde a coloro che la assalgono, siano anche i terroristi più sanguinari, perdendo un pezzo di sé stessa è uno strumento che inizia a diventare debole”.

“Una democrazia che per difendersi – ha concluso il ministro dell’Interno – deve rinunciare a sé stessa, è una democrazia che si sta perdendo; è il miglior favore che si può fare ai nemici della democrazia. Noi che viviamo in un Paese democratico non abbiamo altra alternativa che quella di difendere le democrazie con le armi della democrazia”.

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Clara Salpietro

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