Miracoli non ce ne saranno per salvare il patrimonio culturale italiano. Dario Franceschini, ministro dei Beni Culturali, ha detto di non avere la bacchetta magica per salvare dalla chiusura un altro teatro italiano: il centenario Teatro Eliseo di Roma. E nemmeno ce l’ha la fatina Virginia, in arte sindaco della capitale. “Cosa serve sborsare soldi per i teatri frequentati da quattro vecchie sdentate?” ha commentato una politica forzista della mia città.
I nostri politici non sono apprendisti stregoni – vogliamo capirlo? – solo apprendisti teatranti di una scena politica oscena. Dove si recita a soggetto, secondo il copione del proprio partito. La pensano tutti sempre allo stesso modo: con la cultura non si mangia. Ma ora è di moda masticarla in bocca come un chewingum. Masticano cultura come l’inglese, biascicando come avessero la dentiera. Il risultato è che parlano a sproposito, poi sostengono di essere stati fraintesi.
“Finalmente abbiamo capito che promuovere il nostro patrimonio culturale non è peccato” ha dichiarato il ministro Dario Franceschini in un’intervista rilasciata a Vittorio Sgarbi sul settimanale Sette del Corriere della Sera. Sembra che Franceschini riduca la promozione della Cultura italiana al turismo culturale dei beni culturali visibili e tangibili, quali le opere d’arte sistemate nei musei, perché hanno un valore quantificabile. Ma il nostro patrimonio culturale è ben altro e il teatro ne fa parte.
I detrattori del teatro sono convinti che non sia importante rappresentare la vita, ma vivere. E se non si sa, come si fa? Gli antichi greci imparavano a vivere a teatro, risparmiando anche i soldi dello psicologo e per gli ansiolitici. Ma arrivò un tempo in cui Atene finì in mano a “facce di bronzo, furfanti e stranieri”. Aristofane, nella sua commedia satirica “Rane”, si appella al dio Dioniso che individua la causa nella mancanza di poeti e decide di scendere personalmente negli inferi per riportare in vita Euripide, affinché con i suoi ammonimenti, che rendono i cittadini migliori, la città possa salvarsi e mantenere il suo teatro. In sintesi: bisogna resuscitare i morti, la Cultura, per salvare “i morti di lassù”, come Aristofane chiamava i cittadini ateniesi in mano a governanti corrotti.
A questo proposito, assolutamente da non perdere “Rane” in scena dal 6 maggio all’8 luglio al teatro greco di Siracusa, come pure “Sette contro Tebe” di Eschilo e “Fenicie” di Euripide.
Ma sappiamo davvero di cosa parliamo, quando parliamo di Cultura? Crediamo sia come parlare di calcio o cibo o moda, dove ognuno esterna un’opinione, un gusto, una sensazione. E tutti credono di essere depositari della verità. Siccome quando si parla a sproposito, può però capitare anche di trovare un interlocutore istruito, è meglio non fare brutta figura e almeno sfogliare prima qualche vocabolario.
Cultura deriva da cultum participio passato del verbo colo, che significa coltivare, curare, aver cura, ma anche abitare, frequentare, e pure praticare, esercitare; per esempio: la virtù, la giustizia, i buoni costumi, lo studio. Quindi provenendo da un verbo al passato, il significato dovrebbe essere acquisito, nel senso di: colto, curato. Infatti la cerimonia religiosa che curava le cose sacre si chiamava cultus, culto appunto. La cultura è di conseguenza il complesso di cognizioni, tradizioni, procedimenti, comportamenti trasmessi da una società e pertanto è sinonimo di civiltà, in quanto patrimonio di conoscenze di chi è colto. Non mero patrimonio economico. Colto e civile sono sinonimi, tuttavia ci sono altre società che hanno subito diversi processi religiosi e politici che hanno influito sul loro sviluppo etico e sociale in modo diverso dal nostro, considerando anche il fattore progresso.
Quando un ceto dirigente è privo di cultura – con l’aggravante che le nostre università stanno sfornando laureati bookless – esso è incapace di interpretare la realtà e nemmeno di leggerla. Tantomeno ha gli strumenti per comprendere una diversa cultura. Cosa fa allora? Improvvisa servendosi della sua esperienza che poggia su principi fluttuanti, mal acquisiti o distorti, che concorrono a formare il buonismo socialista o il populismo totalitario. Masse incolte.
E’ fondamentale conoscere per essere saldi nel proprio credo, cultus, come lo è stato il premier olandese Mark Rutte e dire a chi vuole abitare i nostri paesi senza colere, rispettarli: “Se non volete integrarvi, andatevene”.